Senza collegamenti un paese resta chiuso in se stesso e condannato all’isolamento; entrano in crisi i commerci e la capacità di partecipare all’espansione economica e alla crescita della civiltà contemporanea.
È il problema della Sardegna.
Non occorre che mi soffermi a ricordare le gravi insufficienze costituite dallo scarso numero di navi in servizio di linea fra i porti sardi ed il Continente italiano. A soffrirne è certamente il traffico passeggeri, con incisive conseguenze sullo sviluppo della pur fiorente industria turistica isolana, ma in misura certamente maggiore ne soffre l’attività commerciale. Il movimento delle merci da e per la Sardegna paga diseconomie altissime per tre ordini di motivi: insufficienza, lentezza ed alto costo dei trasporti.
Viviamo in un’epoca estremamente dinamica nella quale la rapidità fa premio su tutti gli altri fattori dei costi produttivi. La velocità del trasporto è divenuta ormai l’elemento fondamentale del commercio. Questo è tanto più vero per le merci deperibili che debbono arrivare sui mercati entro tempi tecnici molto ristretti, pena il declassamento o addirittura la perdita della merce stessa. Una cosa, infatti, è arrivare sul mercato con le primizie dell’agricoltura, fresche e ancora profumate di orto; altra cosa è trasportarle surgelate.
La velocità del trasporto si traduce, in ultima analisi, in un minor costo di questo per la migliore utilizzazione del mezzo (nave, treno, articolato) e dei suoi addetti. Ma quando i mezzi di trasporto sono insufficienti, le merci debbono fare lunghe soste di attesa; e poco rileva che il mezzo sia veloce se non è sufficiente. Questo concetto è ben presente nella politica del trasporto dei Paesi a più avanzato indice di sviluppo e, per la verità, anche in Italia. Fra Milano, Bologna, Firenze, Roma e Napoli corrono treni passeggeri e merci veloci, moderni, adeguati alla domanda di trasporto.
Per garantire la sufficienza, oltre che la velocità, si è provveduto prima a raddoppiare, poi a triplicare e ora a quadruplicare tutte queste linee.
Una moderna rete di autostrade integra in modo articolato e organico l’intero sistema dei trasporti, per cui ogni giorno, sulle strade ferrate e sulle autostrade, un fiume ininterrotto di automezzi e di treni convoglia flussi di traffico dal Nord al Sud Italia e viceversa nel breve volgere di ore.
Questa politica, che pure varca il mare raggiungendo la Sicilia, nella quale sono in corso di realizzazione importanti autostrade che ne fasciano le coste e l’attraversano all’interno, purtroppo non approda in Sardegna. Quasi a significare che la Sardegna è pur essa Italia, ma un’Italia minore, subalterna e, comunque, costretta a pagare alti costi aggiuntivi per collegarsi con il restante territorio nazionale.
Nel corso di questa legislatura, da qualche anno a questa parte (’77-’78), nel periodo estivo, salvo scioperi, non si verificano più le sconvolgenti ammucchiate di migliaia di persone sui moli di imbarco di Civitavecchia, Olbia, Genova e Porto Torres. Per tali periodi, il servizio è stato potenziato e migliorato.
Sulla linea passeggeri più importante d’Italia, la Olbia-Civitavecchia (circa un milione e 500.000 passeggeri l’anno), alle antiquate navi del tipo «CITTÀ», sono subentrati i moderni traghetti “G. Deledda” e “G. Verga” capaci di trasportare ciascuno 1000 passeggeri e 400 autovetture in luogo delle 50 che trovano posto anche sul ponte di coperta delle vecchie motonavi. Con la legge sul finanziamento e potenziamento delle FF.SS. — approvata nel luglio di quest’anno — il Governo ha assunto formale impegno di allestire finalmente la 5° nave traghetto da immettere sulla rotta G. Aranci-Civitavecchia.
Ciò nonostante siamo ancora ben lontani dalla soluzione dei nostri problemi. Attualmente i servizi di linea pubblici assorbono circa il 20% del traffico merci da e per il continente; il restante 80% si affida all’armamento privato i cui costi sono così alti da rendere il commercio sardo largamente antieconomico. Di certo, quello al più alto indice di costo in tutta Italia.
Le conseguenze negative si riflettono inesorabilmente sugli investimenti, sulla produzione, e sul reddito. Gli operatori economici infatti, siano essi industriali o agricoli, non potendo giungere sui mercati con prezzi concorrenziali, rinunziano preventivamente a realizzare in Sardegna impianti produttivi: quindi non si creano nuovi posti di lavoro. I giovani vengono ributtati nella sconfitta della disoccupazione non trovando più neppure nell’emigrazione soluzione al loro problema.
Quando noi affermiamo che a pari percorrenza chilometrica debbono corrispondere uguali costi di trasporto, diciamo una cosa giusta, non solo sul piano economico, ma soprattutto essenziale sul piano politico e sociale. Le «ferrovie» della Sardegna, come le «autostrade», sono sul mare e non si vede allora per quali motivi lo Stato italiano pratichi per la loro gestione in terraferma costi sociali, mentre a noi Sardi riservi tariffe molto vicine ai costi economici senza peraltro garantire neppure la sufficienza del trasporto. Da un calcolo, approssimato per diffetto, la Sardegna paga un costo aggiuntivo, per il solo trasporto marittimo, di poco inferiore ai 100 miliardi annui rispetto a quello che pagherebbe invece per la ferrovia o su normali strade statali o autostrade. A tale somma, da considerarsi danno emergente, deve aggiungersene un’altra di certo maggiore, costituita dal lucro cessante, cioè da quelle produzioni agricole e industriali non attive per l’antieconomicità del trasporto marittimo. In breve, ogni tre anni, la Sardegna perde mediamente una somma pari al finanziamento di un intero piano di rinascita.
Si tratta di un vero e proprio strangolamento che sta soffocando la nostra regione e uccidendone l’economia. Il suo ritardo in termini di sviluppo, rispetto alle altre regioni italiane, va infatti aumentando. Il discorso economico però si paga in prezzi politici. Più l’Isola si stacca economicamente dall’Italia, ancor più se ne distacca politicamente mentre cresce nell’animo dei sardi l’amarezza e la sfiducia, e si accendono fiamme d’insofferenza che possono divampare in incendio di ribellione e di indipendenza. Fu democristiano, l’onorevole Del Rio, a denunziare, nella sua responsabilità di presidente della Giunta regionale, come in Sardegna il più duro separatista sia lo Stato italiano che ignora i sardi. L’onorevole del Rio oggi però tace, e il suo silenzio può ben interpretarsi come rassegnata accettazione di sconfitta o, più semplicemente, quale silenzioso compromesso fra politica e potere.
Certo la nostra classe dirigente, per lunga tradizione, è disposta a un siffatto mercato. Solo la denunzia sardista persiste e tiene vigile l’attenzione dei sardi impegnandosi in una lotta generosa e difficile, spesso contrastata in modo assurdo da larghe fasce dello stesso popolo sardo, irretite e tradite dai partiti nazionali, incapaci di mantenere gli impegni che, a puro scopo elettorale, assumono in Sardegna.
È naturale che una lotta così tenacemente combattuta non resti del tutto sterile. Qualche risultato sembra delinearsi: il potenziamento dei servizi sulla Olbia-Civitavecchia, come il recente stanziamento per la 5° nave traghetto, sono certamente il frutto anche di questa lotta e della presenza sardista nel parlamento nazionale. Si deve altresì ricordare che la V Commissione della Camera, presieduta dall’on. Lucio Libertini, nel corso di un’indagine conoscitiva ha messo a fuoco questi problemi; fra le soluzioni indicate primeggia l’equiparazione delle tariffe marittime per merci e passeggeri a quelle ferroviarie. Sono questi alcuni effetti positivi della lunga opera di sensibilizzazione che il Partito Sardo ha avuto il compito di promuovere.
Nell’indagine è emerso di prepotenza un altro problema che i sardisti denunziano nel Parlamento italiano da ormai trent’anni: la rettifica e l’ammodernamento della rete ferroviaria sarda.
Siamo infatti l’unica regione italiana ferma da 100 anni. I nostri treni marciano a una media di 40-45 Km/h.; i più veloci raggiungono i 50. La loro capacità globale di trasporto è di mezzo milione di tonnellate l’anno, esattamente come 100 anni fa.
Oggi si parla finalmente di elettrificazione e naturalmente di rettifiche del tracciato e di sostituzione dell’armamento. Perché a nulla varrebbe sostituire i locomotori diesel con quelli sospinti dall’energia elettrica se non venissero rettificate le paurose pendenze e i tortuosi tracciati che, per esempio si snodano da Borore verso l’altipiano di Campeda.
Il problema non investe solo i trasporti esterni alla Sardegna, ma altresì, e in misura altrettanto rilevante, quelli interni.
Si è detto delle ferrovie ma non va sottovalutato il problema delle strade ordinarie. Vaste zone della Sardegna sostanzialmente permangono nella loro triste e gravosa condizione di isolamento. Il Gerrei, il Sarcidano e l’Ogliastra attendono ancora la via di comunicazione che le colleghi a Nuoro e a Cagliari con percorsi economici e rapidi. Queste e altre sono zone suscettibili di un vigoroso sviluppo ma costrette oggi a subire l’emarginazione e la paralisi economica per mancanza di strade.
Trasporti – Il Solco Periodico del Partito Sardo d’Azione – ottobre-novembre 1978 -nn.1/2
13 Marzo 2025 by