Caro Bocca, sono spiacente di non aver potuto rispondere, come mia abitudine e come peraltro doveroso, il giorno successivo alla pubblicazione nella Nuova Sardegna dell’articolo sul presidente utopista. Le consultazioni, di cui è stato testimone, si sono protratte sino a sabato senza soluzione di continuità, dalle 6 del mattino alle 23, con le rappresentanze più diverse della società sarda.
Oggi domenica, pur impegnato nella redazione del programma di governo, riprendo il filo del discorso che la brevità e le continue interruzioni dei nostro incontro hanno sospinto nelle riserve mentali più che nei chiarimenti dell’intervista. Che dirle? Grazie di quell’ “utopista” che, almeno in parte, non disconosco. Mi piace credere che ai di là dell’orizzonte visibile vi sono strade che portano alla felicità, al sereno convivere tra gli uomini, al rispetto delle cose semplici ma essenziali perché i principi etici si trasformino in norma di vita.
Il mio impegno costante è raggiungere quell’orizzonte e poi il successivo e così avanti finché ne avrò forza. È difficile essere sardisti se non si crede a questa verità. Ma ciò che vedo lo riconosco, lo valuto criticamente consapevole che solo la realtà, per quanto spigolosa, conflittuale e dura, costituisce base pressoché esclusiva per costruirvi ipotesi di valenza politica.
I sentieri dell’impossibile portano al nulla mentre noi sardisti chiamiamo il nostro popolo a prendere coscienza di sé perché, forte della ritrovata unità, diventi protagonista dei proprio destino determinandone la crescita economica, culturale e civile in un confronto continuo e aperto con il contesto umano nel quale è inserito.
Ciò nell’intento di dare e ricevere quanto capacità, fantasia e genialità creativa sono in grado di esprimere. Ci spiace di non essere capiti o di non esserlo appieno, perché lei in fondo, ha già capito. Ha intuito di noi la parte essenziale prevalente “la passione reale per la nostra isola e per la sua gente”. Una passione che non si chiude nei confini territoriali, nelle coste sarde, ma diventa valore universale nel quale si riconoscono minoranze presenti e fervidamente attive all’interno dei grandi e piccoli stati multinazionali.
Lei ci rimprovera però un certo velleitarismo perché poniamo il problema della zona franca, dei bilinguismo, senza peraltro essere in grado di dare risposte adeguate alla ristrutturazione industriale o all’emigrazione di massa. Perché si è astenuto dal farmi domande cosi rilevanti? Per non mettermi in imbarazzo? Certo, le mie risposte non sarebbero state né semplici e, forse, neppure appaganti. Soprattutto perché le decisioni in queste materie non dipendono da noi ma da poteri esterni alla Sardegna.
Con quali devastanti risultati è ormai da tutti risaputo: su mobilitazione di vasti settori produttivi, cassa integrazione quale premessa di licenziamenti, 130.000 disoccupati. Agli strumenti sperimentati e falliti proponiamo proposte nuove volte non a contrapporre la Sardegna e i suoi interessi all’economia italiana, ma a individuare possibili soluzioni che, facendo uscire l’isola dal sottosviluppo, aiutino l’Italia a realizzare i necessario riequilibrio tra le diverse parti del territorio.
Zona franca: non la definirei un’utopia. Il fatto che mezza Italia, da Genova a Catania cerchi di contenderla alla Sardegna ne dimostra la validità più che il velleitarismo dei suoi sostenitori. Non è un’ideologia, ma solo uno strumento che può concorrere con altri a promuovere lo sviluppo e a interrompere la spirale involutiva dell’isolamento. In questa prospettiva il mare cessa di essere prigionia per diventare forza reale capace di collegarci al contesto territoriale e umano che ci circonda.
Bilinguismo: davvero lei ha saputo che io non so parlare in sardo? Non l’ho ammetterò mai, anche per non deludere quanti mi contestano sin anche il diritto di pensare in sardo. Non creda caro Bocca alle panzane di chi dipinge i sardi come tante tribù incapaci di dialogare tra loro perché parlanti lingue diverse, reciprocamente incomprensibili. La verità è che le varianti della lingua sarda sono unificate da una comune sintassi e morfologia e dalle stesse regole grammaticali.
Un tempo si legiferava anche in sardo; uno dei più significativi codici del diritto Intermedio, la “carta de logu”, è scritto in un sardo terso, essenziale. pienamente comprensibile da nord a sud, dall’est all’ovest dea nostra Isola. Certo la lingua si è fermata perché è stata bandita e messa fuori legge ormai da cinque secoli. Che male c’è se i sardi che ancora la parlano in una percentuale superiore al 78 % intendono riappropriarsene e crescere con lei?
Dovremo affrontare il problema della grafia e procedere, senza atti di imperio ma con la progressione che altri popoli hanno sperimentato, al pieno recupero di un valore immateriale capace di promuovere più di ogni altro l’unità reale della nostra gente.
Circa gli altri quesiti le dirò che la risposta sardista non si ispira né alla bacchetta magica e neppure al terrorismo, ma a un duro, severo, costante confronto con il governo denunziandone gli abbandoni, l’indifferenza e, spesso, l’ostilità. Siamo altresì impegnati ad aprire nuovi spazi all’iniziativa del potere autonomistico e delle forze sociali molto confidando nella crescente forza unitaria dei sardi. Questo non significa che vogliamo chiuderci in una solitudine sterile e conflittuale, incapace di avvalersi di quelle vaste solidarietà che la società italiana è in grado di esprimere. È vero esattamente il contrario. Semmai paventiamo la disattenzione e l’indifferenza per i nostri problemi, siamo consapevoli che troppo spesso i valori peculiari della nostra realtà non vengono né recepiti né capiti, temiamo insomma il separatismo delle istituzioni statali. Siamo però certi che come nel passato riusciremo a stabilire con le componenti più avvertite e creative presenti e attive in tutti i partiti, intese capaci di promuovere quei processi di reale unità che passano attraverso il comune patrimonio di giustizia e libertà.
Principi che i sardisti hanno onorato contribuendo a scrivere significative pagine della storia democratica italiana, subendo il carcere fascista, l’emarginazione civile, l’esilio, la lotta di liberazione e partecipando all’elaborazione della carta costituzionale. E dentro la carta costituzionale noi stiamo facendo sardismo.
Caro Bocca, ma noi facciamo sardismo dentro la Costituzione – La Nuova Sardegna – 11 settembre 1984
25 Febbraio 2025 by