No caro Columbu. Senza sviluppo c’è l’emarginazione – L’Unione Sarda – 21 ottobre 1988

Pubblichiamo un intervento del presidente della giunta regionale Mario Melis in risposta all’articolo di Michele Columbu («L’Unione Sarda» del 23 ottobre)

Se ne avvertiva il biso­gno. Taceva da troppo tempo (mesi, anni?). Le sortite di Michele Columbu fanno vibrare l’atmo­sfera, catturano l’inte­resse con un gioco di vivide luci che somiglia a un fuoco d’artificio. Ec­co, un fuoco d’artificio: dura poco, non lascia tracce ma, mentre ris­plende, affascina. Mi pia­ce soprattutto questo suo interrogarsi su temi che solitamente gli sono estranei, non avendo mai nella vita – salva la bre­ve esperienza di sindaco in Ollolai – assolto a compiti e impegni opera­tivi nel corso dei quali bisogna costruire svilup­po nel progresso, giorno dopo giorno, in umiltà e con fervido impegno.
Che quella di Michele sia la parola di un amico non c’è dubbio, perché tale espressamente e pubblicamente si dichia­ra. Le sue preoccupazio­ni sembrano essenzial­mente due:
1. che io possa fare pericolose confusio­ni tra progresso e sviluppo
2. che i reflui del caprolattame di Manfredo­nia siano, contro il pare­re degli scienziati, peri­colosi per la Sardegna.
Voglio tranquillizzar­lo. Non ho mai accettato la logica dello sviluppo quale si è affermata in Sardegna, imposta pre­valentemente dai domi­nanti interessi esterni, non solo nel corso dei millenni, ma in larga mi­sura anche nei pochi decenni dell’autonomia. 
Non l’industria chimica in sé, ma il suo tumultuoso e abnorme espandersi ha offerto motivi di legit­timo allarme ai sostenito­ri di un progresso che appariva sempre più sa­crificato a un modello di sviluppo incoerente alla nostra Isola.
Ma oggi l’industria chi­mica c’è e – pur avendo promosso uno sviluppo distorto, fragile, mono­corde – viene considera­ta non qualcosa da abbat­tere, ma da arricchire e diversificare, rendendo­la feconda attraverso proiezioni produttive su­scettibili di mobilitare occupazione, tecnologie, professionalità e quindi cultura, cioè progresso.
La verità è che un certo tipo di sviluppo ha carat­teristiche planetarie e in­veste l’umanità, global­mente. Sottrarvisi è pu­ramente illusorio, posto che si tradurrebbe più semplicemente in sotto­sviluppo e nei dolorosi processi che ne conse­guono: emarginazione, subalternità, disoccupa­zione, sconfitta. Certo, l’emarginazione ci ha per qualche verso salvaguar­dato da contagi stravolgenti, preservando in larga misura il nostro patri­monio etnostorico, la nostra identità culturale e quindi il suo più alto valore: la soggettività politica del popolo sardo.
Ed è proprio su questo patrimonio che noi possiamo e dobbiamo fare conto con tutte le nostre forze. Essere sardisti oggi significa, appunto, questo: costruire un domani sulle solide fondamenta della sardità.
Gli interessi che andremo a definire non posso no esaurirsi nella solitudine della nostra Isola, ma debbono partire da a questa per collegarsi al mondo. Uno sviluppo che dia finalmente serenità a ai sardi mettendoli al riparo dalla disoccupazione e dalla subalternità. E se lo sviluppo della Sardegna deve essere coerente agli interessi del suo popolo non può presumere di rincorrere quello altrui: sarebbe facilmente travolto e inglobato. Tali interessi devono trovare il loro epicen­tro in Sardegna attraverso proposte e soluzioni originali e specifiche, capaci di esprimere le forze potenziali intrinseche alla peculiarità sarda. La letteratura del nostro partito è, in proposito, illuminante: non credo
che io e Michele possiamo avere dubbi in proposito.
Scendo ora al tema certamente meno suggestivo e gratificante, insomma al caprolattame. Informo Michele Columbu che non ho concesso né ho alcuna intenzione di concedere autorizzazioni al trasporto in Sardegna dei residui di produzioni se questi risultassero — dall’indagine che deve ancora essere fatta — , tossici è nocivi o pericolosi.Voglio solo aggiungere che a definirli “non tossici né nocivi” sono stati l’Istituto superiore della Sanità, il Centro nazionale delle ricerche, l’Istituto di idrobiologia del mare di Bari e altri.
Gli scienziati incaricati dalla giunta regionale debbono ancora andare a Manfredonia a espletare le loro indagini. Per noi farà testo il loro giudizio. Se il problema sarà ancora attuale. Pare infatti che sia superato.
Michele è amico mio. Ha per me un «inguaribile riguardo sentimentale e partitico», per cui escludo che questo nostro dialogo possa essere catalogato come una polemica sardista. Antonio Simon Mossa, che Michele cita, più che maestro è stato il mio profeta. Con lui ho vissuto un’incancellabile peregrinazione fra i sardismi d’Europa alla ricerca delle scaturigini profonde del sardismo da lui assunto quale valore universale dei popoli inglobati all’interno di Stati nei quali una etnia dominante pretende di cancellare e assorbire le altre. Un sardismo fatto di solidarietà, se­condo le più belle tradizioni di una terra nobile e generosa, dalla quale siano finalmente cancellati i residui di un retaggio respinto dalla coscienza dei più: sparare da dietro il muro.