Pubblichiamo un intervento del presidente della giunta regionale Mario Melis in risposta all’articolo di Michele Columbu («L’Unione Sarda» del 23 ottobre)
Se ne avvertiva il bisogno. Taceva da troppo tempo (mesi, anni?). Le sortite di Michele Columbu fanno vibrare l’atmosfera, catturano l’interesse con un gioco di vivide luci che somiglia a un fuoco d’artificio. Ecco, un fuoco d’artificio: dura poco, non lascia tracce ma, mentre risplende, affascina. Mi piace soprattutto questo suo interrogarsi su temi che solitamente gli sono estranei, non avendo mai nella vita – salva la breve esperienza di sindaco in Ollolai – assolto a compiti e impegni operativi nel corso dei quali bisogna costruire sviluppo nel progresso, giorno dopo giorno, in umiltà e con fervido impegno.
Che quella di Michele sia la parola di un amico non c’è dubbio, perché tale espressamente e pubblicamente si dichiara. Le sue preoccupazioni sembrano essenzialmente due:
1. che io possa fare pericolose confusioni tra progresso e sviluppo
2. che i reflui del caprolattame di Manfredonia siano, contro il parere degli scienziati, pericolosi per la Sardegna.
Voglio tranquillizzarlo. Non ho mai accettato la logica dello sviluppo quale si è affermata in Sardegna, imposta prevalentemente dai dominanti interessi esterni, non solo nel corso dei millenni, ma in larga misura anche nei pochi decenni dell’autonomia.
Non l’industria chimica in sé, ma il suo tumultuoso e abnorme espandersi ha offerto motivi di legittimo allarme ai sostenitori di un progresso che appariva sempre più sacrificato a un modello di sviluppo incoerente alla nostra Isola.
Ma oggi l’industria chimica c’è e – pur avendo promosso uno sviluppo distorto, fragile, monocorde – viene considerata non qualcosa da abbattere, ma da arricchire e diversificare, rendendola feconda attraverso proiezioni produttive suscettibili di mobilitare occupazione, tecnologie, professionalità e quindi cultura, cioè progresso.
La verità è che un certo tipo di sviluppo ha caratteristiche planetarie e investe l’umanità, globalmente. Sottrarvisi è puramente illusorio, posto che si tradurrebbe più semplicemente in sottosviluppo e nei dolorosi processi che ne conseguono: emarginazione, subalternità, disoccupazione, sconfitta. Certo, l’emarginazione ci ha per qualche verso salvaguardato da contagi stravolgenti, preservando in larga misura il nostro patrimonio etnostorico, la nostra identità culturale e quindi il suo più alto valore: la soggettività politica del popolo sardo.
Ed è proprio su questo patrimonio che noi possiamo e dobbiamo fare conto con tutte le nostre forze. Essere sardisti oggi significa, appunto, questo: costruire un domani sulle solide fondamenta della sardità.
Gli interessi che andremo a definire non posso no esaurirsi nella solitudine della nostra Isola, ma debbono partire da a questa per collegarsi al mondo. Uno sviluppo che dia finalmente serenità a ai sardi mettendoli al riparo dalla disoccupazione e dalla subalternità. E se lo sviluppo della Sardegna deve essere coerente agli interessi del suo popolo non può presumere di rincorrere quello altrui: sarebbe facilmente travolto e inglobato. Tali interessi devono trovare il loro epicentro in Sardegna attraverso proposte e soluzioni originali e specifiche, capaci di esprimere le forze potenziali intrinseche alla peculiarità sarda. La letteratura del nostro partito è, in proposito, illuminante: non credo
che io e Michele possiamo avere dubbi in proposito.
Scendo ora al tema certamente meno suggestivo e gratificante, insomma al caprolattame. Informo Michele Columbu che non ho concesso né ho alcuna intenzione di concedere autorizzazioni al trasporto in Sardegna dei residui di produzioni se questi risultassero — dall’indagine che deve ancora essere fatta — , tossici è nocivi o pericolosi.Voglio solo aggiungere che a definirli “non tossici né nocivi” sono stati l’Istituto superiore della Sanità, il Centro nazionale delle ricerche, l’Istituto di idrobiologia del mare di Bari e altri.
Gli scienziati incaricati dalla giunta regionale debbono ancora andare a Manfredonia a espletare le loro indagini. Per noi farà testo il loro giudizio. Se il problema sarà ancora attuale. Pare infatti che sia superato.
Michele è amico mio. Ha per me un «inguaribile riguardo sentimentale e partitico», per cui escludo che questo nostro dialogo possa essere catalogato come una polemica sardista. Antonio Simon Mossa, che Michele cita, più che maestro è stato il mio profeta. Con lui ho vissuto un’incancellabile peregrinazione fra i sardismi d’Europa alla ricerca delle scaturigini profonde del sardismo da lui assunto quale valore universale dei popoli inglobati all’interno di Stati nei quali una etnia dominante pretende di cancellare e assorbire le altre. Un sardismo fatto di solidarietà, secondo le più belle tradizioni di una terra nobile e generosa, dalla quale siano finalmente cancellati i residui di un retaggio respinto dalla coscienza dei più: sparare da dietro il muro.