Nuoro, 5 giugno 2003
Il dibattito passionalmente polemico sul simbolo dei Quattro Mori, bandiera gloriosa del sardismo – (ed oggi della Sardegna) – offre non pochi motivi di riflessione ed approfondimento.
Scelto negli anni Venti sin dal costituirsi in partito, i Sardisti ne hanno acquisito il legittimo uso esclusivo. Di più: proprio in virtù del loro rivoluzionario ed eroico azionismo i Quattro Mori, nell’immaginario popolare, hanno emblematicamente rappresentato l’intero movimento regionale federalista sardo.
È certamente merito sardista l’aver dato al popolo, nel corso della violenta transizione involutiva dal regime morarchico-giolittiano all’oscuro tunnel della dittatura fascista, il senso alto della politica non più finalizzata esclusivamente alla conquista di seggi elettorali, ma al dischiudersi di nuovi orizzonti di democrazia per la cui conquista i Lussu, Bellieni, Giacobbe, Pintus, Oggiano e un’infinità di altri, sfidavano l’arroganza del potere pur consapevoli dei sacrifici che questo comportava: galera, esilio, perdita del posto di lavoro, emarginazione sociale. Un operaio di Cagliari, certo Melis, si lasciò trafiggere dall’asta di un gagliardetto fascista che rifiutò di salutare.
Forti del loro insegnamento, i giovani del secondo dopoguerra, negli anni Cinquanta e successivi decenni (sino agli Ottanta), abbiamo accettato, con inesausto entusiasmo, la solitudine, l’emarginazione e, non di rado, lo scherno ironico di maggioranze localmente forti in virtù di avvilenti subalternità a poteri esterni.
Continuavamo, in larga misura inascoltati e duramente combattuti, a professare i valori dell’autonomia federalista diffondendo appelli all’unità del popolo considerata, allora come ora, l’unica forza capace di rompere l’accerchiamento del sottosviluppo e conquistare il diritto all’autogoverno in un rapporto di pari dignità, poteri e solidarietà con le altre regioni italiane ed europee.
Il Partito sardo, sin dagli anni Venti, fu in Italia ed in Europa, pur nell’imperversare di nazionalismi militarmente armati, unico e solo, con profetica intuizione della storia, a parlare di regionalismo internazionalista finalizzato a costruire per gli ex nemici una comune patria europea radicata sulla solidarietà dei popoli più che sulle artificiose strutture statuali.
Eravamo e siamo ovviamente consapevoli che l’unità dei sardi si conquista dando vita ad organizzazioni di lotta politica (partiti, movimenti, associazioni culturali etc.) germinati nei fermenti vitali di problemi, aspirazioni, speranze, volontà di lotta maturati in seno alle masse popolari; soggetti politici non scudieri del potere romano, ma protagonisti attivi di scelte che pur facendoli attenti osservatori del multiforme evolversi di processi esterni all’isola, sappiano incidere positivamente sullo sviluppo sardo liberi da condizionamenti gerarchici e, nel contempo, aperti a solidarietà di per sé capaci di moltiplicare le forze dei singoli in virtù del reciproco sostegno. Il che è l’essenza dell’agire politico.
In sostanza il ruolo storico del Partito sardo è stato quello di seminare e diffondere fra le forze organizzate la cultura dell’autonomia non con l’intento di assorbirle ma più semplicemente di renderle indipendenti dalle rispettive direzioni romane.
Il successo non è mancato. Quanti in Sardegna, in Italia e all’estero esponevano ed espongono sui cristalli della loro autovettura il simbolo dei quattro mori con scritte quali “Deo so sardu” senza per altro avere in tasca la tessera del Partito sardo? Diciamolo, perché è un successo sardista: i quattro mori non sono più soltanto il simbolo del Partito che primariamente si è con loro identificato, ma patrimonio gelosamente amato da ogni cittadino sardo. Sono considerati espressione visibile di sentimento e volontà di lotta volta a sconfiggere subalternità, rassegnazione, indifferenza; una ribellione nel cui orizzonte risplende luce di libertà non più oppressa dal sottosviluppo né dalla foschia di poteri che arroganti o subdolamente ambigui, la condizionino.
È abbastanza frequente che altri partiti si approprino nella propaganda elettorale di temi e obiettivi sardisti. L’accusa di plagio insincero e strumentale viene a loro rivolta a causa di un diffuso ricorso alla dissimulazione di sé per carpire l’altrui fiducia. È una prassi assai praticata, non solo in politica. Ciò non autorizza però i sardisti a diffidare e respingere tutti coloro che ne usano il linguaggio e fanno propri i loro obiettivi pur senza averne la tessera o con la tessera di altri partiti. Prendiamo atto preliminarmente che tutto ciò costituisce riprova che avevamo e abbiamo ragione, ma altresì che tutti hanno diritto, pur conservando la loro militanza liberale o socialista, laica o cattolica, di rifiutare qualsivoglia dipendenza da gerarchie romane ed europee, ricercando nella realtà sarda risposta e soluzione ai mille problemi che ancora la assillano. Sono i nuovi protagonisti della nostra vittoria. All’interno dei rispettivi partiti, movimenti ed organizzazioni incalzano i loro dirigenti richiamandoli al dovere dell’autonomia.
Oggi su questa strada si sono incamminati i diessini sardi dichiarandosi, pur federati, rigorosamente indipendenti dalla segreteria romana. È un fatto politico rilevante di cui tutto il movimento regional-sardista dovrebbe seguire gli sviluppi con fervida speranza; dico speranza perché alle parole debbono seguire fatti coerenti quando, per esempio, dovesse accadere – come più volte in passato – che la Dirigenza romana privilegi interessi lesivi di quelli. Non sarà che l’inizio di un’esperienza difficile ma creativamente innovativa che costituirà pietra angolare della politica sarda nel suo complesso. Non v’è altra strada.
I partiti in Sardegna, quale che ne sia l’ispirazione ideologica, debbono rompere il cordone ombelicale che li rende subalterni a dirigenze esterne. Questo non significa che diventino componenti o correnti del Partito sardo. Impensabile! Non vogliamo ripetere certo le esperienze del Partito unico! Ben più ricco e fecondo si prospetta invece il confronto su problemi e proposte prefiguranti il nostro futuro, svolto fra sardi, nell’unico intento di giovare al popolo di Sardegna. Diventeremo tutti sardo-centrici senza per questo chiuderci nella sterile solitudine dell’isolamento, ma piuttosto protagonisti attivi nel dare il nostro contributo all’elaborazione delle grandi correnti di pensiero che internazionalmente alimentano il fiorire delle civiltà e le più alte conquiste dello spirito.
E i Quattro Mori? Consentite questa testimonianza. Negli anni Settanta, durante un mio intervento al Congresso degli emigrati sardi in Svizzera, feci loro dono della bandiera dei quattro mori.
L’intera assemblea balzò in piedi come all’improvviso inatteso apparire di persona intensamente amata e fra grida di Forza Paris, applausi e lacrime di commozione, salutarono il simbolo della patria lontana, del villaggio natio, del focolare gioioso e protettivo da cui un destino amaro ed implacabile li aveva allontanati. I Quattro Mori, per tutti coloro che li conoscono, rappresentanovalori di sardità. Questo non significa che abbiano cessato di essere il simbolo di cui il Partito sardo è geloso custode e che continua a distinguerlo dagli altri.
Ma vivo il sogno di un futuro – spero non lontano – nel quale il sardismo diffuso diventerà patrimonio e forza ideale dei partiti operanti in Sardegna. Pur fra diversità ideologiche sarà non solo facile, ma del tutto naturale, realizzare – quando saranno chiamati a difendere interessi vitali e globali del popolo sardo – mobilitarne le masse e combattere unitariamente nel loro interesse.
In tali circostanze i Quattro Mori, per moto spontaneo, diventeranno la bandiera di quanti , credendo e identificandosi in loro, li assoceranno al proprio simbolo per combattere in unità di popolo, le grandi battaglie di giustizia e libertà professati dal sardismo con o senza tessera di Partito. In mezzo secolo di storia repubblicana i partiti hanno diviso i sardi, contrapponendoli sterili battaglie dirette dalle segreterie romane. Solo la magia dei Quattro Mori potrà mobilitare le diverse componenti sociali e ideologiche della nostra società per restituire alla Nazione sarda la forza vincente dell’unità.