Questo non è il solo motivo per cui ci poniamo in posizione critica verso il Governo dell’on. Craxi, ma saremo ben lieti di modificare il nostro parere e di dare un voto di consenso e di sostegno al Governo ove questo dimostrasse, al di là delle parole rituali che ormai annoiano ed infastidiscono ogni sardo, stanco del ritualismo, una volontà reale ed un impegno concreto per dare risposte positive alle attese del nostro popolo.
Dicevo non l’unico motivo. Infatti, mentre registriamo con la necessaria attenzione e speranza l’assunzione della Presidenza del Consiglio da parte di un socialista, non possiamo sottrarci al sospetto di trovarci dinanzi all’ennesima operazione trasformistica che le forze conservatrici tentano per infrenare l’empito di profondo rinnovamento della società italiana.
D’altronde la storia dei Governi italiani è contrassegnata dall’emergere di forze di sinistra che, una volta al Governo, fanno politica di destra. Né dal discorso programmatico dell’on. Presidente è consentito trarre indicazioni suscettibili di offrire prospettive di soluzione al problema sardo.
Per intendere in tutta la sua ampiezza la sconvolgente crisi che ha investito il nostro popolo ricorderò che nel rapporto con 1 milione e mezzo di abitanti, gli oltre 500.000 emigrati, 118.000 disoccupati, di cui circa la metà in attesa di prima occupazione. La struttura agricola fondata su una zootecnia nomade povera ed arcaica, dal settore minerario a quello della metallurgia e della chimica in via di liquidazione per iniziativa e volontà delle PP.SS, il sistema portuale insufficiente, inadeguato e, come tale, chiuso ad un moderno e dinamico rapporto con le economie esterne e quindi causa esso stesso dell’isolamento economico della Sardegna. Il sistema dei collegamenti pubblici che per velocità commerciali, costo e capacità di trasporto, sono assolutamente sperequati rispetto ai ritmi e ai parametri del nostro tempo sì da determinare l’estromissione dell’economia sarda dal territorio nazionale chiamandoci, per entrarvi, a pagare un pedaggio supplementare che si trasforma una grave pregiudicante diseconomia esterna.
Altro elemento che offende la dignità stessa del popolo sardo, oltre che danneggiarne l’economia, è la prevaricante, sproporzionata presenza militare nel nostro territorio, terrestre, marittimo ed aereo.
Appare di tutta evidenza come la nostra Regione sotto questo, come per altri aspetti, sia considerata un’area di servizio e non già la sede di un libero popolo che, profondamente impegnato nella sua vocazione di pace, non si sottrae comunque al proprio dovere di solidarietà nazionale ma, nel rispetto delle proporzioni che incombono su tutte le collettività regionali. Le esperienze passate ci lasciano molto scettici circa la volontà e la stessa capacità del Governo di affrontare e risolvere con spirito di equità e democrazia il problema sardo (…)
centralità mediterranea della nostra Isola ed un ruolo coerente a tale “Status”. Denunziando il fallimento delle tradizionali politiche fondate sulle incentivazioni contributive, rivendichiamo un’autonoma capacità di promuovere lo sviluppo attraverso la libertà dei nostri commerci con l’istituzione nel territorio dell’Isola del regime di zona franca doganale.
La Sardegna diverrebbe così punto di forza dell’economia mediterranea, momento di incontro e sintesi di popoli, commerci, scambi e culture diverse.
Da momento di crisi endemica si trasformerebbe in momento di propulsione dello sviluppo e della crescita civile, espressione della civiltà occidentale volta verso i Paesi ed i continenti della vicina Africa ed Asia Anteriore.
Dovrà ripensare il Governo, per una reale integrazione dei sardi nell’economia e nel contesto socio-politico italiano, ad una nuova politica dei trasporti marittimi che oggi ci emargina, ci penalizza e ci considera, di fatto, fuori da quella italiana e mediterranea.
D’altra parte l’opinione pubblica, non solo italiana ma europea ha assistito quest’anno al drammatizzarsi del flagello degli incendi estivi che, da alcuni decenni, stanno diventando fatto endemico sempre più allarmante per la loro potenza devastatrice.
Ma il Governo dello Stato, nonostante le più vive e tempestive sollecitazioni del potere regionale, si è dimostrato insensibile, tutto sommato indifferente e, comunque, intempestivo.
Per aver negato lo scorso anno alla Regione uno stanziamento di una decina di miliardi, oggi registriamo una catastrofe ecologica che gli esperti valutano non inferiore agli 800 miliardi.
Ebbene on. Presidente alle aspettative del popolo sardo, dei suoi disoccupati, delle centinaia di migliaia di emigrati, alle minacce dei grandi manager di Stato che preannunziano la smobilitazione dell’apparato industriale pubblico e quindi l’ulteriore drammatizzazione e disintegrazione del tessuto economico, sociale ed umano della nostra Isola, all’attesa delle masse popolari che dalle solitudini delle nostre campagne, come dagli assolati e depressi centri urbani, attendono più di una parola di solidarietà, un’indicazione per riprendere con forza e con impegno il cammino di quella che, con incrollabile fede, i sardi si ostinano a chiamare “Rinascita”, nel suo programma non si fa il più vago riferimento.
Ella non ci da risposte, mentre sembra chiamarci ad un regime di austerità e di rinunzia, che, a questo punto, si trasforma in una vera e propria sfida e, direi, in una provocazione.
Ascolterò con estremo interesse la sua replica on, Presidente, nella speranza di cogliere un’attenzione e un impegno che abbiamo il diritto e il dovere di chiederle in termini di concretezza per fronteggiare la congiuntura e per costruire, nei fatti, un domani che non sia precario ma si realizzi nel concorso attivo e fecondo di partecipazioni molteplici e diverse che veda i sardi protagonisti dell’esaltante processo di liberazione nazionale nel momento stesso in cui si creavano presupposti e basi della Costituzione Repubblicana.
Ed a scrivere questo documento che apre una nuova pagina di storia c’eravamo anche noi con la forza delle nostre idee, con la fede profonda degli ideali che da sudditi ci fa cittadini, da oggetto soggetti e protagonisti.
E se il potere ci è stato, di norma, ostile paventando i fermenti innovatori e rivoluzionari volti a scardinarne le vecchie strutture imprigionate in una visione elitaria e pietrificata dello Stato, a rompere il gelo della nostra solitudine sono stati uomini quali Antonio Gramsci, Pietro Gobetti, Gaetano Salvemini, Guido Dorso, Oliviero Zuccarini, Lelio Basso, La Malfa e tanti altri che attraverso i fogli prestigiosi di “Ordine Nuovo”, “Rivoluzione liberale”, “Critica Sociale”, “Rivoluzione Meridionale” e così via dialogavano e si confrontavano con noi, in un rapporto fervido attraverso il quale si andava costruendo la democrazia italiana.
Il bipolarismo politico, ma soprattutto il sistema di potere clientelare possessivo instaurato dalla D.C. hanno attenuato per un non breve arco di tempo la tensione di lotta nel nostro popolo.
Non s’è però attenuata la nostra testimonianza che con rigorosa coerenza ha ricordato ai sardi il dovere civile di riconquistare ogni giorno la propria libertà, in un impegno costante attraverso il quale si realizzano, ampliandone gli spazi, le istituzioni autonomistiche; ci si confronta e ci si integra con gli altri rifiutandone i condizionamenti e l’assistenzalismo ingeneroso e degradante elevato a sistema di governo.
Ed i sardi si mostrano ormai sempre più attenti e vigili nell’interpretazione del proprio ruolo in un processo di assunzione progressiva di responsabilità che vede emergere ogni giorno di più i grandi temi che il sardismo propone alla democrazia italiana ed europea.
Tutto questo ha un significato politico preciso.
Sbagliano perciò quei politici, ed anche certa stampa invero sussiegosa e paludata, che, o per colpevole disinformazione o, più probabilmente, per rimuovere il problema ignorandolo, riferendosi alla nostra prorompente affermazione, la qualificano fenomeno protestatario e localistico, quasi a significare che sia chiuso ed oppresso da una visione provinciale miope dei problemi, noncurante ed estraneo alle correnti di pensiero ed alle problematiche di respiro europeo e mondiale.
È questa incapacità di capire che crea tensioni e chiude il dialogo.
Noi siamo tornati in queste aule parlamentari da protagonisti consapevoli della responsabilità storica che grava su di noi per ciò che siamo stati ed abbiamo rappresentato, per ciò che sapremo essere e dovremo rappresentare.
Siamo qui non per contrapporci e, men che mai, per stemperare la nostra amarezza in querimonie, ma per riaffermare i valori di un’autonomia che, passando per l’indipendentismo, realizza i postulati di una moderna democrazia federalista.
Noi siamo diversi dialetticamente e duramente contrapposti ai partiti che chiamerò italiani e non nazionali perché Nazione affermiamo essere, quanto meno in divenire, l’insieme umano con la sua cultura, le tradizioni, la storia e territorio dell’Isola nostra.
Rifiutiamo perciò obbedienza e subalternità a qualsivoglia Segreteria partitica romana e sosteniamo che esiste un insanabile contrasto fra il centralismo dei partiti ed il vigoroso svilupparsi della democrazia regionale.
È ben difficile fare una politica autonoma se autonomi non si è.
D’altra parte crediamo fermamente che l’unità si realizza nel consenso di soggetti diversi e mai nella prevaricante autorità dei pochi.
Certo governare una democrazia pluralista che si realizza nel convergere, integrarsi e, quindi reciprocamente sostenersi, di poteri diversi che nel loro insieme formano lo Stato, è difficile e complesso. Il semplice è certo più facile, ma ripeterò con Lussu citando Paul Valery, “il semplice è sempre falso”.
Il nostro impegno in questa aula sarà quello di riconquistare al popolo dei sardi il rispetto e l’amore della sua cultura, delle sue tradizioni, il valore essenziale ed irripetibile della sua identità etnica perché attraverso questa consapevolezza si riappropri con la forza irresistibile della libertà, degli strumenti operativi dello sviluppo economico sociale e civile.
Lotteremo per liberarci definitivamente dei condizionamenti esterni e di quelle forme di solidarietà vischiosa che si traducono in assistenzialismo volto a garantire non lo sviluppo ma la semplice sopravvivenza in un clima, più che di subalternità, di vera e propria sudditanza coloniale.
I problemi non possono essere più aggirati ma affrontati e risolti nella chiarezza perché emergono responsabilità e ruoli.
Ripeto: noi vogliamo essere soggetti e non oggetto di storia, protagonisti ed artefici del nostro destino di popolo. Tutto questo non per contrapporci, non per ricercare momenti di antitesi o di rottura, ma per dialogare e per meglio collaborare con gli altri. Noi siamo ansiosi di ricevere, così come di offrire, i contributi di cultura, progresso e sviluppo che fantasia e genialità creativa di ciascun popolo è in grado di offrire.
Ma per ricevere, come per dare, dobbiamo esistere e noi questo vogliamo, per questo siamo qui.
Ed in questo spirito, come nel passato, impegneremo ogni nostra energia per migliorare, per rendere più giuste, democratiche, moderne ed efficienti le istituzioni dello Stato pur nella previsione del superamento di questo in una prospettiva di più vaste aggregazioni di popoli a livello europeo e mediterraneo.
La legislatura che ci attende ci offrirà opportunità per meglio articolare e chiarire la proposta politica sardista ma, sin da ora, diciamo che nello spirito di un regionalismo che deve ancora realizzarsi proporremo, in sede di riforma costituzionale, la trasformazione del Senato in Camera pariteticamente rappresentativa delle Regioni ed anche delle Nazionalità presenti in Italia.