Il Partito Sardo d’Azione si prepara al suo congresso per il mese di marzo. La pubblicistica prevede scissioni disgreganti e taluno, dalle colonne di autorevole quotidiano, sollecita chiarimenti pacificatori per scongiurarne la diaspora.
Non so, tutto è possibile, ma per quanto mi è dato capire non vi sarà alcuna scissione perché, se proprio la si vuole definire così, è già avvenuta. Scissione comunque è un nome grosso, sproporzionato, (stiamo mica parlando di Lussu!) dato che tutto si riduce a qualche centinaio di militanti che, di fatto, sono già usciti dal Partito. Hanno, infatti, assunto posizioni politicamente rilevanti in netto contrasto con precisi, impegnativi deliberati congressuali e contrastato linea e conseguenti scelte della dirigenza.
Mi sia poi consentito di amaramente sorridere sull’enfatizzazione giornalistica relativa ad un presunto confronto fra posizioni, ideologicamente inconciliabili all’origine di questa secessione.
Evidentemente chi scrive queste cose fa ricorso, per comodità letteraria 0 per altro, a categorie concettuali che hanno ben scarso rapporto con la realtà.
Questa evidenzia, ormai da anni, una crescente crisi che ha tormentato il Partito inaridendone le sorgenti politicamente pensanti, a causa di contrapposizioni personali che con il patrimonio di valori ideali – posti a base della sua fondazione e delle esaltanti battaglie affrontate in oltre settanta anni di storia – non hanno proprio nulla a che fare.
L’oggetto del contendere non s’incentra né sulla riforma dello Stato, né della Regione o sul ruolo delle comunità locali, sulla politica energetica, marittima o sulla disoccupazione, ma più semplicemente sul fatto che alcune persone – che da qualche anno determinavano la linea del Partito, nominando, revocando, sostituendo ed espellendo dirigenti – hanno dovuto prendere atto di aver perso tale potere per cui, per continuare a primeggiare, hanno dovuto assumere ed operare scelte in contrasto con le direttive degli organi di partito ed in particolare con il deliberato dell’ultimo congresso che ha confermato alcuni punti cardine cui attenersi nel fare politica sardista. Fra le altre quella di schierarsi a sinistra non già per accodarsi ai partiti che tali storicamente si definiscono ma per riaffermare la scelta popolare che è all’origine del Partito e combattere il conservatorismo incancrenito delle destre.
Voglio chiarire che per noi fare politica di sinistra oggi in Sardegna significa contrastare l’esistente e schierarsi a difesa di un popolo che vive l’iniqua emarginazione praticata dai governi dello Stato in misura e forme diverse negli oltre centotrenta anni della sua storia, determinando sottosviluppo, disoccupazione, emarginazione, dissanguamento finanziario, sotto-capitalizzazione dell’imprenditoria e così continuando.
Per fronteggiare mali strutturali così profondi e diffusi, il Partito Sardo non postula certo i piani quinquennali di staliniana memoria, ma una politica dinamica che lungi dal fare guerra al capitale (piuttosto evanescente nell’economia sarda) ne sollecita l’afflusso attraverso investimenti governati dalla Regione ma, in larga misura, di provenienza esterna.
Ecco perché, sin dal primo costituirsi del Partito ci si è sempre battuti per la zona franca sarda – istituto considerato strumento capace di contribuire allo sviluppo dei paesi ove la povertà è endemica, ma largamente utilizzato anche nei paesi della ricchezza ove la zona franca è operante da secoli: Amburgo; Brema, Rotterdam, Anversa; le esperienze sono così positive che molte economie nel mondo – soprattutto dopo gli anni Ottanta – vi stanno facendo ricorso. Si pensi ai circa duecento punti franchi degli Stati Uniti d’America, alle decine fioriti nel territorio francese, in Inghilterra, Irlanda, Austria, per non parlare della Cina comunista.
Politica delle imprese quindi come fattore capace d’imprimere, attraverso fantasia creativa, professionalità, studi di mercato ed alleanze nazionali ed internazionali, un ruolo all’economia sarda cui il Mediterraneo offrirà importanti opportunità in settori vitali quali il marittimo e l’aereo: settori suscettibili di grandi potenzialità di sviluppo internazionale, data la centralità geografica della Sardegna. Ciò risponde per altro agli indirizzi dei padri fondatori. Non è male ricordare che Camillo Bellieni nel 1922 scriveva “Come altrove abbiamo già detto, il nostro autonomismo è preparazione all’internazionalismo, non in nome di un astratto ideale umanitario, ma come accordo d’interessi per la creazione di una forma statale che superi le attuali divisioni nazionali”.
Tutto quanto abbiamo detto presuppone uno Stato profondamente innovato.
La crisi dello Stato centralista, travolto da inefficienza, corruzione, elefantiasi frustrante e defatigante ha aperto il confronto sulla sua riforma; meglio sarebbe dire: rifondazione. Mentre con la riforma si migliora l’esistente con la rifondazione lo si cancella per creare un’istituzione nuova, moderna, dinamicamente democratica. Cambia, come oggi si usa dire, la filosofia. Il potere sovrano non cala più dai vertici soggiogandone i cittadini, ma nasce come diritto primigenio dei cittadini medesimi che decidono in piena libertà le istituzioni del buon governo sia in sede comunale che regionale e federale. Fermo restando che agli enti locali vengono riconosciuti tutti i poteri amministrativi nell’ambito dei rispettivi territori ed alle Regioni potere legislativo, di programmazione, vicario e di controllo riducendo all’essenziale compiti di pura gestione, al governo federale sono attribuiti poteri che per loro natura non possono essere decisi e praticamente risolti a livello regionale.
Nello Stato Federale il potere centrale è, di norma, comprensivo di Governo, Parlamento, Corte Costituzionale e Capo dello Stato. Ebbene il Parlamento di uno stato così concepito è sempre bicamerale: Camera e Senato; la prima rappresentativa dei cittadini, costituita da un numero di rappresentanti regionalmente proporzionato al numero dei votanti, mentre il secondo è pariteticamente rappresentativo delle Regioni, (due senatori per ciascuna Regione).
La Corte Costituzionale è infine composta da giudici eletti in numero paritetico dalle due camere.
Il Capo dello Stato può essere eletto dal Parlamento – come in Germania – o direttamente dal popolo, come in America ed in Francia.
La proposta federalista ha in Sardegna illustri precedenti sin dal secolo scorso nelle figure di due grandi politici: Giovanni Battista Tuveri e Giorgio Asproni.
Torniamo al Congresso.
Chiarita la posizione del Partito dalla quale, a parole, non credo si discosteranno neppure gli scissionisti, non resta che prendere atto che la politica che stanno praticando li allontana da questa linea anni luce.
L’aver, con il voto di un consigliere regionale eletto nelle liste del Partito Sardo, l’On. Efisio Serrenti, fatto cadere una giunta della quale facevano parte due assessori sardisti e ciò non in base a esperienza dimostratasi negativa, ma ancor prima che la Giunta assumesse la responsabilità di governo e favorire poi, sempre con il determinante voto del consigliere eletto nella lista sardista, una giunta della quale fanno parte, con personalità di Alleanza Nazionale, un forte nucleo di berlusconiani, dimostra come siano appunto lontani anni luce dai valori del sardismo che in tale giunta ha rifiutato di esservi rappresentato.
Alleanza Nazionale è la discendente, riveduta, corretta (e migliorata) del residuato ideologico fascista espresso sino ad ieri dal Movimento Sociale Italiano. Non discutiamo persone né legittimità democratica che rispettiamo, ma dobbiamo confermare che si tratta di una forza politica antitetica al sardismo. Del Berlusconismo poi che dire ? Un partito nato, alimentato, finanziato da un grosso operatore economico che dopo aver beneficiato largamente dei favori dei governanti della prima Repubblica (i giudici dicono anche “colluso”‘) vorrebbe sommare nella persona del capo-finanziatore oltre il massimo potere economico anche quello di governo. Secondo i dati ufficiali, è l’uomo più ricco d’Italia; dispone di aziende nell’edilizia, editoria, etc, ma soprattutto dispone del più del più vasto ed articolato sistema d’informazione privato italiano. Giornali e televisione. Una concentrazione di poteri mai verificatasi prima nella storia italiana. Oggi è di fatto, padrone di un grande partito.
Questo signore sembra molto interessato alla Sardegna. Ha dichiarato che il suo avvenire è nel turismo; ed è sincero.
Ha, infatti intrapreso una grossa iniziativa turistica accanto alla Costa Smeralda; ricoprire di case, alberghi, campi da golf, piscine, strade e quant’altro le colline antistanti il mare di Cugnana che chiamerà Olbia 2. Il Sindaco – del suo partito – è d’accordo.
Diamogli anche la Regione e siamo certi che apprezzerà Arbatax, Villasimius, Bosa, Santa Teresa e così continuando.
Il Presidente della Regione e la Giunta che potranno fare: dirgli di no? Perché come li ha creati li distrugga? Sotto le sue bandiere, la Sardegna diventerà così l’eden dei vacanzieri serviti dai camerieri sardi.
Certo, crediamo anche noi – e non da oggi – alla rilevante potenzialità del turismo ma lo consideriamo componente importante di un complesso economico ben più articolato nel quale i sardi saranno produttori d’industria, agricoltura, tecnologia, trasporti, cultura, in un contesto internazionale che ne fa dei protagonisti e non solo gestori di trattorie, pensioni e camerieri.
Chi vuole vada pure a celebrare il nuovo principe. Lui accetta tutti. Da Bossi, che ieri chiamava Giuda, a Pannella che per la vocazione alle droghe libere definiva sacerdote di morte. Figuriamoci se non accetta sardisti convertiti. Per noi non sono esperienze nuove. È capitato anche con un altro potente: Mussolini; anche allora si sono trovati sardisti che l’hanno seguito. Quello almeno non perseguiva interessi personali ma la gloria dell’onnipotenza. Sappiamo com’è finita.
Quanto sarebbe opportuno riflettere e imparare dalla storia!
Preparazione al Congresso nazionale del P.S.d’Az. – Nuoro – 24 febbraio 2000
16 Aprile 2013 by