Lettera ai sardisti
Cari amici,
in vista dell’imminente congresso del Partito sardo d’azione, ritengo opportuno richiamare la vostra attenzione su alcune premesse:
il partitismo così come organizzato dopo la seconda guerra mondiale, è entrato in una crisi disgregante che, quantomeno apparentemente, sembra irreversibile.
I casi più clamorosi della D.C. (dissoltasi in almeno 6 o più partitini – in litigiosa lotta fra loro – sprezzantemente definiti dai loro stessi alleati “cespugli”), del P.C.I. (costretto da eventi storici internazionali ad abbandonare la sua matrice ideologica, cambiare nome, simboli ma, soprattutto contenuti ed obiettivi, perdendo non solo diffusamente consensi, ma subendo scissioni destinate a produrne di ulteriori: Bertinotti – Cossutta), del P.S.I. disperso fra gruppetti di ex militanti di cui uno visibile perché inserito nella maggioranza di governo ma non per questo più forte delle sparute aggregazioni concorrenti) sono solo esempi di un malessere che ha travolto anche socialdemocratici, repubblicani e liberali.
Solo i partiti etnici sono sopravvissuti conservando nome, simboli traguardi: Partito Sardo, Unione Valdotaine, Sud Tiroler e, da ultimo Lega Lombarda.
Sarebbe però pericolosa illusione credere che la crisi non li abbia egualmente e duramente investiti mettendone in discussione la sopravvivenza. Basti pensare che il Partito sardo nel giro di tre legislature, è sceso da 12 consiglieri regionali a 10, poi a 4 e infine a 3 di cui, nelle ultime due legislature, almeno uno si è dissociato o veniva emarginato dai colleghi.
Inutile ricordare il caso ultimo, peraltro largamente preannunziato dalla partecipazione degli onorevoli Serrenti e Bonesu al Foro delle opposizioni (in contrasto con la linea del partito); ancora: l’alleanza dell’on. Serrenti con la lista Grauso alle comunali di Cagliari, il passaggio dello stesso on. Serrenti, immediatamente dopo le elezioni regionali, allo schieramento opposto a quello scelto dal partito; la sua elezione a Presidente del Consiglio, il suo voto contrario, determinate, per la caduta della giunta nella quale il partito era rappresentato da un suo assessore. Tutti questi eventi fanno parte ormai della storia – piccola storia! – del partito.
Per quel che mi risulta pesanti tensioni rendono abbastanza precaria l’organizzazione sia dell’Unione Valdotaine (che mal convive con il Partito popolare valdostano), che del Sud Tiroler (che ha registrato scissioni non rilevanti ma pur significative).
Sarebbe troppo facile ma ingannevole limitarsi ad attribuire la responsabilità di questo processo disgregante solo alle persone resesi protagoniste dei singoli episodi posto che il fenomeno ha una genesi più vasta e profonda e va ricercata nel modus operandi dei partiti. La verticalizzazione dei poteri al loro interno ha progressivamente espropriato i militanti della reale possibilità d’influire sulle decisioni assunte dalla dirigenza legittimata ormai dal controllo delle tessere rilasciate o revocate a seconda della maggiore o minore vicinanza del militante alla dirigenza.
Basta pensare alla sospensione della tessera inflitta ad un gruppo di dirigenti cagliaritani colpevoli di aver sostenuto in un giornale l’opportunità di designare come assessore tecnico il prof. Bandinu. Ciò, guarda caso, alla vigilia del congresso di Chia.
Certo il Partito Sardo sta attraversando una grave crisi interna ed esterna. L’immagine nell’opinione pubblica non è buona. D’altra parte 8 segretari nazionale eletti e cacciati in meno di 10 anni costituiscono un sintomo abbastanza significativo.
Dobbiamo prendere coscienza che anche il nostro partito ha sofferto delle crisi che hanno funestato in misura maggiore le altre forze politiche.
È quindi venuto il momento di darci un tipo di organizzazione diverso; non ho la pretesa di avere pronte le soluzioni ma è certo che dobbiamo far circolare dentro il partito l’aria vivificante della democrazia limitando i poteri della direzione nazionale ai grandi indirizzi ideologici, obiettivi e strumenti di sviluppo lasciando alle sezioni ed ai militanti larghi spazi d’iniziativa, proposta e dibattito, posto che pur essendo noi un partito a forte connotazione popolare non siamo inquadrabili nella classica distinzione di destra o sinistra; il nostro è un partito di liberazione nazionale. Investe tutti i più rilevanti interessi materiali ed immateriali del popolo sardo. Da noi può convivere il socialista ed il liberale sempre che entrambi vogliano uno Stato sardo che attraverso il rapporto federale con l’Italia, entri di pieno diritto, come soggetto protagonista, nella Federazione Europea senza per questo rinunziare al suo ruolo mediterraneo.
La collocazione geografica è importante per tutti i popoli; per noi è problema di sopravvivenza. Siamo al centro del Mediterraneo nord occidentale. Ne dobbiamo costituire il cuore pulsante. Ai nostri porti, ammodernati, ingranditi, resi tecnologicamente avveniristici, dovranno approdare le grandi navi d’oltre oceano per depositare – e quindi distribuire – le merci dirette ai paesi rivieraschi mediterranei dai quali dovranno affluire le merci dirette, attraverso le stesse grandi navi, nei paesi di oltre Oceano.
Per 2.500 anni dominatori esterni ci hanno espropriato, oltre la libertà, il vitale rapporto con il mare, chiudendoci nella prigionia delle coste ed anzi facendoci fuggire anche da queste. Fatta eccezione per Cagliari, Alghero e Palau (oltre l’isola di S. Pietro e La Maddalena), nessun paese della Sardegna è sul mare. Ci hanno inculcato la paura del mare mentre questo è vita, rapporto con il mondo, commercio, cultura, solidarietà.
Sovranità non significa solitudine ma libertà e quindi responsabilità. Dobbiamo tornare ad essere il centro del dibattito federalistico.
Oggi sembra che il Presidente del Piemonte e quello della Lombardia, due regioni che hanno colonizzato l’Italia per 130 anni, vogliano insegnarci il federalismo.
La verità è più semplice: vogliono stringere rapporti più saldi fra le regioni del Nord per meglio sottomettere le regioni del Sud. Lo stanno facendo attraverso le banche (il CIS è diventato per il 53% lombardo, il Banco di Sardegna per una cifra imprecisata, intorno al 30% emiliano).
Vorrei sapere che fine faranno gli oltre 12.000 miliardi di risparmio sardo. Dove e a quali operatori saranno concessi e a quali condizioni.
È bello che le regioni si aiutino fra di loro ma è molto pericoloso stringere patti contro le altre. Se va avanti il discorso iniziato dai presidenti di Lombardia e Piemonte, non si penserà certo alla Calabria, ma a rendere più potente il sistema economico finanziario del Nord a danno del Sud.
Questo è separatismo reale; peggio: colonialismo; vogliono questo. Il federalismo è invece solidarietà. Chi ha di più sostiene chi ha meno (non è più il caso delle regioni del Nord perché compreso il Veneto ed il Friuli – si legga l’ultimo libro-censimento di G.A.Stella – importano mano d’opera dal Centro Africa per garantire la produttività delle nuove fabbriche non frontegiabile con i loro abitanti tutti super occupati).
Allora che fare? Posto che con la propria forza elettorale il Partito sardo non è in grado di incidere sui grandi interessi che condizionano lo sviluppo della Sardegna e che il futuro dipende solo dai suoi cittadini, è compito del Partito sardo incalzare gli altri partiti operanti nell’Isola, perché rompano il rapporto di dipendenza con i loro omologhi italiani e regionalizzino le rispettive organizzazioni.
Insieme a loro studiamo un programma di sviluppo sardo sia sul piano istituzionale che economico-sociale e culturale, ponendo al centro il federalismo come matrice di sovranità e solidarietà in un quadro internazionale che ci veda protagonisti operosi e decisionali sia in Europa che nei rapporti con in paesi rivieraschi del Mediterraneo.
A suo tempo, nel convegno organizzato dal Gruppo Europeo Arcobaleno da me rappresentato proposi, senza opposizioni formali dei partecipanti Massimo D’Alema per i D.S., Del Turco (oggi Ministro del Tesoro) per il P.S.I., Bettini per i Verdi, Orlando (Sindaco di Palermo) per la Rete, il testo seguente:
1- La Repubblica Federale Italiana è costituita dall’unione politica delle Regioni storiche di diritto ordinario e speciale e si fonda sulla solidarietà.
2 – È riservata al potere federale la competenza esclusiva nelle seguenti materie: Politica estera; Difesa nazionale; Programmi economici generali e, d’intesa con le regioni interessate, azioni di riequilibro economico-sociale; Politica monetaria;Pubblica istruzione di grado superiore; Tutela dei diritti fondamentali politici e sociali dei cittadini; Polizia federale; Lavori pubblici di rilevanza nazionale; Provvedimenti essenziali perla salvaguardia e l’esistenza dello Stato;
al potere federale è riservata altresì la competenza legislativa in tema di ordinamento giudiziario. ordinamento civile, penale, amministrativo e relative sanzioni e procedure.
3 – Tutte le competenze non specificate nell’art.2 sono riservate al potere delle Regioni federate.
A queste è riservato altresì il potere legislativo concernente nell’ambito dei rispettivi territori nelle seguenti materie: Ordine e sicurezza pubblica; Ordinamento civile, penale, amministrativo e relative sanzioni.
4 – Alle Regioni Sardegna, Sicilia, Friuli Venezia Giulia, Trentino Alto Adige e province autonome di Trento e Bolzano è riconosciuto, nell’ambito dello Stato federale, uno status di autonomia speciale quale risulta dai rispettivi statuti che hanno rilevanza costituzionale.
Alle stesse Regioni vengono riconosciute tutte le competenze; diritti e doveri presenti e future nelle altre Regioni federate, purché non in contrasto con i rispettivi statuti.
5 – È in facoltà delle Regioni Federate realizzare consorzi o stipulare accordi interregionali per il perseguimento di comuni obiettivi; tale facoltà è pure esercitabile con regioni di altri stati membri dell’Unione Politica Europea e, previ accordi con il governo federale, con regioni di paesi terzi.
6 – Il Governo della Repubblica Federale à affidato al Presidente del Consiglio che esercita collegialmente con ministri – non parlamentari – da lui designati.
Presidente del Consiglio è eletto dalle camere riunite che gli accordano la fiducia sulla base di organico programma di legislatura.
Le stesse camere possono revocargli la fiducia a condizione che eleggano nel contempo il suo successore.
È in facoltà del Presidente del Consiglio dimettere e sostituire membri del suo Governo.
7 – L’iniziativa legislativa federale spetta al Governo, ai componenti del Parlamento Federale, ai Parlamenti delle Regioni federate e ai cittadini che sottoscrivano la proposta legislativa in numero non inferiore a 50.000.
8 – Il potere legislativo federale è esercitato dal Parlamento che si articola in due bracci: Camera dei deputati, proporzionalmente rappresentativa dei cittadini; Senato, pariteticamente rappresentativo delle Regioni federate.
9 – L’esecuzione delle leggi federali, come l’attività amministrativa nel suo complesso, è, di norma, riservata alle Regioni federate.
10 – Il Capo dello Stato è eletto dalle Assemblee legislative federali e dalle Regioni federate con voto qualificato.
11 – Alla Federazione, fatte salve le deroghe disposte in favore della Regione Sarda e delle aree poste fuori della cinta doganale, è riservato l’accertamento e la riscossione dei dazi doganali e monopoli fiscali; la Federazione ha altresì competenza concorrente con le Regioni federate per tutte le altre entrate costituite da imposte, tasse e contributi; con la legge finanziaria viene fissata annualmente la quota di entrate riservata allo Stato federale per l’assolvimento dei suoi compiti istituzionali; il venti percento di tutte le entrate fiscali è comunque riservato allo Stato federale per promuovere il riequilibrio economico-sociale delle Regioni o aree svantaggiate sì da garantire a tutti i cittadini le pari opportunità.
12 – Il potere giurisdizionale è affidato ai giudici e viene esercitato dalla Corte Costituzionale, dai Tribunali delle Giurisdizioni ordinarie e speciali; i magistrati sono nominati in conformità all’ordinamento giudiziario; sono indipendenti e soggetti alla legge.
I giudici della corte Costituzionale sono eletti a metà dalia Camera dei deputati e metà dal Senato.
Credo che oggi, almeno in parte lo modificherei. Ma ripeto. Non pretendo di avere in tasca la soluzione ideale. È materia sulla quale discutere fra di noi e con gli altri. Dobbiamo raggiungere tutti insieme una forza di 700.000 – 800.000 cittadini votanti. Nessun governo oserà chiuderci la porta in faccia. Infatti non si tratta di dire no a 15 – 18 deputati ma al popolo di Sardegna. Diverrebbe un fatto internazionale che ci metterebbe al centro dell’attenzione europea, mediterranea e, per tanti versi, mondiale.
Non tarderebbero ad interessarsi di noi tanti nuovi amici che oggi, per come si volge la politica sarda, ci ignorano. Noi siamo in grado di diventare il centro, il cuore di una nuova civiltà. Dobbiamo essere degni del nostro tempo!