Intervento sul tema della Zona Franca

ZONA FRANCA (1984)

Non credo di dovermi soffermare, in questo momento, sui motivi di fondo che hanno indotto forze politiche, sociali e ambienti scientifici ad occuparsi a fondo delle ipotesi di realizzazione in Sardegna dell’istituto della Zona franca: ricordo solo che l’argomento è ormai entrato nell’agenda dei lavori ufficiali della Giunta regionale e del Consiglio e che, per ciò stesso questi organismi hanno il dovere di realizzare tutti i necessari approfondimenti e di pervenire alla attuazione dell’istituto della zona franca, ovvero alla sua negazione definitiva. Ma, evidentemente, una scelta consapevole tra tale alternativa non può che essere preceduta dall’acquisizione di ogni elemento significativo per la valutazione.
Sulla base di questa esigenza ho incaricato due noti esperti della materia – Mr. Van Soest, direttore del porto di Rotterdam e il prof. Giampaolo Ladu, dell’Università di Pisa di fornirmi le indicazioni di base che avrei trasmesso immediatamente alle forze politiche.
I due esperti, in effetti, mi hanno fatto pervenire il rispettivo documento che, devo subito dire, contiene indicazioni incoraggianti sull’opportunità dell’istituzione della zona franca in Sardegna.
Più esattamente, il documento trasmessomi dal prof. Giampaolo Ladu, rappresenta un’analisi sintetica delle ragioni che rendono opportuna l’istituzione della zona franca in Sardegna e dei vantaggi che aprirebbe all’economia e alla società isolana. Peraltro, la relazione esclude a priori ogni tentativo di esprimere valutazioni di tipo quantitativo e rinvia ad una successiva analisi l’individuazione delle condizioni normative e di operatività della zona franca in Sardegna.
Il documento di Mr. Van Soest è analitico e puntuale per vari aspetti relativi al funzionamento pratico della zona franca alla luce della normativa esistente con particolare riferimento alle direttive della Comunità Economica Europea. Per la verità, il Van Soest, presenta anche una specifica ipotesi della istituzione della zona franca in Sardegna che si compendia nella seguente formula: “Le istanze pubbliche delegate istituiscono la Regione della Sardegna come zona franca per merci le quali saranno fissate per certe aree ben definite della zona con le istruzioni specifiche e con le relative condizioni”. Questa formula non deve indurre a credere che il Van Soest escluda la cosiddetta zona franca industriale, al contrario, nella sua ipotesi, come in quella del prof. Ladu, la zona franca doganale e industriale costituiscono un tutt’uno.
Più esattamente, dall’esame combinato delle relazioni ricevute si evince che, sulla base di un’interpretazione moderna della zona franca, due sono le prospettive perseguibili proficuamente:
a) si tratta, innanzitutto, di disporre di un sistema combinato di incentivi e servizi che induca gli operatori del commercio internazionale a servirsi della Sardegna quale area opportuna e conveniente per l’arrivo, il deposito e il trattatamene di materie prime, semilavorati e merci in genere;
b) si tratta, congiuntamente, di consentire che il sistema combinato di incentivi e servizi non esaurisca la sua potenzialità in un mero vantaggio a favore degli operatori del commercio internazionale, bensì contribuisca, decisamente, alla valorizzazione del potenziale economico della Sardegna e, in particolare, costituisca un presupposto dell’auspicato sviluppo endogeno dell’Isola.
Orbene, la documentazione ricevuta presenta utili indicazioni per affrontare e risolvere tutti i problemi che si pongono con riferimento a ciascuna delle due prospettive ma, mentre come riferimento alle problematiche dello sviluppo socioeconomico endogeno esiste la possibilità di utilizzare interessanti contributi scientifici e operativi (già formulati anche validi studiosi della Sardegna), con riferimento al sistema combinato di incentivi e servizi per attrarre in Sardegna i traffici internazionali, non esistono supporti né scientifici, né operativi.
È soprattutto su quest’ultimo aspetto che, come consiglia Mr. Van Soest, occorre realizzare un’indagine puntuale che dia conto, innanzitutto, delle correnti di traffico che arrivano e che partono dal Mediterraneo o che, comunque, si svolgono al suo interno, al fine di individuare, da un lato, le potenzialità del commercio internazionale concernente il citato bacino e, dall’altro lato, quanta parte di tale potenzialità può essere ragionevolmente convogliata verso la Sardegna posto che, mentre la nostra Isola tarda a prendere una decisione, altri si sono mossi nella stessa prospettiva e già hanno attivato il differenziale per attrarre i traffici commerciali e favorire nuovi insediamenti di imprese.
In effetti, occorre attendere che il prof. Ladu presenti la sua relazione articolata e definitiva e che si realizzi lo studio di fattibilità consigliato da Mr. Van Soest.
Per questi motivi, non pare opportuno procedere immediatamente ad una discussione in Consiglio dell’argomento, posto che ancora esiste la mancanza di alcuni dati quantitativi e qualitativi fondamentali senza i quali ogni decisione potrebbe subire il sospetto di essere preconcetta o, comunque, non sufficientemente suffragata dagli indispensabili elementi empirici.
Al contrario, pare opportuno, così come prospettato dagli stessi esperti, di consentire ad essi l’acquisizione degli elementi di cui ancora non dispongono in modo che fra non molto le scelte del Consiglio possano risultare più adeguatamente documentate.
Per quanto il punto di vista del Partito Sardo sia noto e alla base del disegno di legge che è stato presentato e che in fondo ha aperto il dibattito su questo tema, prima abbastanza sopito e direi nell’inerzia più totale delle forze politiche e delle forze sociali, una volta superata la stagione della consulta che pure si era posto, era in termini particolarmente appassionati e di confronto molto intensi; ero venuto qua, dico sinceramente, con molta umiltà per ascoltare, per sentire le osservazioni a quel disegno di legge, perché quello è il disegno di legge sulla zona franca, e là comincia e si chiude; tutte le altre sono osservazioni che noi ascoltiamo con grande attenzione, con grande umiltà, anche se con particolare predilezione appunto per il progetto di zona franca doganale sintetizzato nel disegno di legge che ho avuto l’onore e l’opportunità di presentare durante la mia prima esperienza parlamentare, e che il partito sta riconfermando in questa sede.
Che il punto di vista del Partito Sardo sia la zona franca integrale non mi pare che vi possano essere dubbi, neppure sul piano storico, perché basta rileggere lo Statuto che nel Venti venne licenziato alle stampe in previsione della formazione del Partito Sardo d’Azione per leggere parole di questo tenore, di questa intensità nel progetto di Statuto dei combattenti:
“Se il Governo nella sua insipienza e nella sua inerzia dovesse ancora una volta rifiutare, non accogliere questa istanza di libertà dei commerci della Sardegna…”, questa è l’espressione usata nello Statuto, per essere ancora più precisi: “per l’uscita della Sardegna dall’unione doganale italiana, si ricorrere ad altri mezzi, sinanco alla violenza perché ai sardi sia restituita finalmente giustizia”.
Ora, credo che più chiari di così, i padri fondatori del partito non potessero essere. E noi ora siamo su quella linea, senza violenze, ma su quella linea, senza tentennamenti, senza incertezze, con convincimenti profondi, e continueremo a “batterci perché riteniamo, sinché non ci convinceranno del contrario con argomenti che siano veramente validi, ma non di puro e semplice conto del mercato perché non è soltanto in questi strumenti che si esaurisce il problema zona franca, ma senza però neppure lasciarci trascinare troppo dalla mitizzazione zona o punti franchi, posto che 1a zona franca è uno strumento dell’economia, e dobbiamo verificare se questo strumento è valido e capace di rompere 1a spirale di sottosviluppo, di offrire opportunità che sino ad ora le varie politiche che sono state praticate non solo non hanno offerto, ma ci hanno fatto scivolare nel sottosviluppo e nella emarginazione di cui stiamo pagando le conseguenze, di cui abbiamo già pagato pesantissime conseguenze a che cosa, allo sviluppo degli altri, perché mentre noi registravamo il sottosviluppo, si realizzava lo sviluppo di chi sul nostro sottosviluppo faceva le proprie fortune. Ad esempio il Centro Europa che si sviluppa col lavoro del Sud Europa importando lavoratori, creando migrazioni in massa nell’ordine di milioni e milioni di persone, e creando così la concentrazione industriale fra le più alte del mondo; a partire da Milano, senza bisogno di arrivare nel Centro Europa, abbiamo uno degli indici di concentrazione industriale tra i più alti del mondo, certo uno dei più alti d’Europa; e tutto questo lo si è realizzato importando masse di lavoratori, desertificando il Sud, sconnettendolo, lacerandolo nei tessuti sociali, creando insomma il vuoto.
E noi continuiamo a dire: “Se ci danno il contributo, e se ci danno anche il sussidio e il tasso agevolato….”; questa è una economia di postulazione di sussistenza, di assistenza, di arresa alla benevolenza altrui, un’autonomia dipendente, un’autonomia che nega sé stessa, che si nega programmaticamente, che si affida alle dipendenza esterna, che rinuncia istituzionalmente a realizzarsi, e a porsi come forza di riscatto e di crescita e di protagonismo necessario delle popolazioni, del popolo sardo, nella sua unità, nella sua identità, nella sua irripetibile solitudine nel contesto umano e non solo mediterraneo.
Quindi, vedo con piacere, che siamo tutti d’accordo, quanto meno le grandi forze politiche prevalenti oggi nel quadro politico sardo; allora la libertà dei commerci è un fatto valido.
Punti franchi, porti franchi, zone franche: che significato hanno? È solo ,un fatto quantitativo, non c’è nessuna differenza giuridica; quindi non ho capito questi problemi che si è posto il nostro onorevole Presidente della Giunta Regionale, è solo un problema di estensione: la zona franca in genere, comprende un territorio più ampio del punto franco che è invece limitato    ad un’area territorialmente più limitata; basta vedere tutta la letteratura in materia di zona franca o di punti franchi o di libertà doganale che, appunto, chiariscono con assoluta precisione che non ci sono differenze sul piano giuridico; e allora la Comunità Europea non è che abbia grandi differenze da fare, e se ha da fare delle opposizioni, le fa per il punto franco come per la zona franca, quindi smettiamola di chiamare a testimone l’alta autorità del MEC perché veramente ricadiamo in un provincialismo e in un riduttivismo del ruolo delle istituzioni e del potere autonomistico che sinceramente la Sardegna non merita ma, anzi, merita diversa grinta e diverso nerbo.
Il problema della zona franca è un problema di cultura autonomistica e noi sardisti, io credo, soffriamo come la Sardegna stessa dei mancati approfondimenti della cultura autonomistica; perché ho la sensazione che la classe dirigente sarda si sia lasciata dominare prevalentemente dai problemi economici e abbia trascurato quelli culturali, tant’è che l’autonomia oggi è un simulacro, senza grandi capacità di incidere nella sostanza dello sviluppo e delle grandi scelte della Sardegna. Anche in materia di zona franca, la stiamo concependo come una Sardegna che si fortifica, che alza una sorta di frontiera per sfidare il mondo: 1a zona franca è uno strumento al servizio dell’economia mediterranea, perché se così non fosse, se non offrisse un servizio che crea solidarietà internazionali, fallirebbe, sarebbe condannata alla distruzione prima ancora di cominciare; o è accolta dal consenso europeo e dal consenso mediterraneo, o non ha ragione d’essere; deve essere un servizio, un elemento di propulsione, di stimolo, di espansione dell’economia, deve determinare i processi di crescita generalizzati.
La zona franca è un momento di incontro e un momento di snodo degli scambi mediterranei tra l’Europa, l’Africa, i paesi rivieraschi del Mediterraneo e gli stessi paesi d’oltreoceano che possono trovare in Sardegna, attraverso quel tanto giustamente studiato terminal della navigazione oceanica, il punto di irradiazione dei commerci d’oltreoceano e di raccolta di queste merci, che dal Mediterraneo debbono andare verso gli altri mari e lontane terre.
Oggi ci sono navi da 50 – 100 mila tonnellate che se si fermano un giorno hanno una perdita secca di 60 -70 milioni; sono navi destinate, per loro natura, a navigare in continuazione, quando entrano in un porto devono fermarsi poche ore, il tempo di scaricare, ricaricare e ripartire ma proprio in tempi funzionalmente ristretti. Queste non sono navi che possono fare il giro dei porti, devono trovare un unico porto, un unico punto di irradiazione dei commerci, e quanto di meglio della Sardegna nella sua strategia mediterranea; il suo isolamento marittimo non è un punto di debolezza, ha un punto di forza; il mare è uno strumento di forza dell’economia sarda, utilizziamolo non come barriera invalicabile ma come porta spalancata verso il mondo che è oltre Gibilterra e il Canale di Suez.
Volevo anche dire che è giusto che 1a CEE stabilisca principi in virtù dei quali si devono creare condizioni di parità, tali da non turbare il mercato come potrebbe fare una zona franca, ma 1a CEE prevede anche delle eccezioni, ad esempio per ragioni storiche: le città anseatiche avevano l’autonomia doganale dal 1600, e nessuno si è sentito di decretarne 1a morte, la lega anseatica è stata rispettata così, com’era e ha continuato a vivere in tutte le città dove era rappresentata, a Rotterdam, Anversa, Amburgo ecc.
Ma ci sono molti altri punti franchi in Europa che sono stati creati dopo 1a CEE, per ragioni sociali ad esempio. La CEE non è affatto ostile, e capisce che lo strumento zona franca pub essere la chiave che spalanca la porta della prigionia del sottosviluppo, quindi non vedo perché non dovrebbe concederla alla Sardegna. Naturalmente si tratta di porre la proposta credendoci, documentandoci, dimostrando come la Sardegna è oggi un mercato marginale e, in virtù di questa marginalità, tutto costa di più, tutto è antieconomico, e nessuna possibilità concreta vi è di sviluppo reale se non in termini di assistenza.

Perché non siamo per i punti franchi: perché dovremmo fare le frontiere all’interno della Sardegna; dovremmo fare le cinture militari intorno ai punti franchi per controllare che non escano prodotti in franchigia doganale; creiamo di nuovo i poli di sviluppo; creiamo ancora i punti di macro-aggregazione demografica per fare esplodere tutte le contraddizioni dì questa Sardegna che si desertifica gonfiandosi solo in alcuni punti; soprattutto ingrassiamo gli avvocati con i processi per il contrabbando in tutti i tribunali della Sardegna; avremo tutte le forze dei vigili della finanza schierati da un capo all’altro, da un porto all’altro della Sardegna. Il problema non è di ettari, ma di uomini e di destinatari dei servizi dello sviluppo economico, di dare al milione e mezzo di abitanti della Sardegna l’opportunità e gli strumenti per determinare tale sviluppo.
E poi bisogna fare attenzione alle frasi fatte. Si parla di zone franche che vivono dello sfruttamento del lavoro, e non c’è niente di più falso: il Giappone è sostanzialmente una gronde zona franca, io ci sono stato, ho visto, sono entrato nelle case di operai e di altri lavoratori, ed ho trovato un tenore di vita abbastanza alto. Non c’è sfruttamento del lavoro in Giappone, forse c’è a Manila, a Singapore, nella Corea del Sud, forse c’è in tutto il Sud-Est asiatico, che pero sta crescendo ad un ritmo del 10-12% di reddito annuo contro il -1 della Sardegna, lì lo sviluppo è un fatto positivo.
L’Europa, è un dato che sta emergendo con assoluta certezza, viene progressivamente emarginata nello sviluppo del mondo, oggi gli interlocutori son l’Asia sud-occidentale, per intenderci proprio quella dello sfruttamento del lavoro, e le Americhe.
Bene, noi possiamo destinare la Sardegna ad essere un punto di riscossa e di ripresa, ed io credo che questo convegno contribuirà a suscitare ulteriormente interesse, responsabilità, appropriazione da parte dell’opinione pubblica di un tema così vitale per tutti noi, e credo che arriveremo alle prossime elezioni probabilmente trovando su questo tema di libertà, il motivo centrale intorno al quale confrontarci.