Lettera all’on. Carlo Sanna

(1984)

Caro Carlo,

la situazione che si è venuta a creare fra me ed alcuni componenti del gruppo consiliare sardista in relazione al tema Zona Franca, mi ha riempito il cuore di amarezza e la mente di grave incertezza.
L’insistere per discutere il nostro D.d.L. sull’istituzione della Zona Franca sarda senza aver preventivamente acquisito i necessari studi che la legittimano significa esporsi ad un dibattito sterile intessuto solo di affermazioni fideistiche di esclusiva valenza politica. A nessuno sfugge però come la politica – specie quella di Governo – non regga all’impatto critico e diventa fumisteria velleitaria se non ha rapporti conoscitivi tali da imporla sul piano della razionalità, convenienza economica, sociale e quindi, in più ampio senso, civile.
L’obiettivo Zona Franca, dopo la meritoria iniziativa sardista, ha suscitato un crescente interesse che ha visto sopratutto (in fase iniziale direi, esclusivamente) l’associazione degli industriali affrontarne con grande serietà le vaste e complesse implicazioni economiche, finanziarie, commerciali e produttive. Lo stesso CIS ha il merito di aver stimolato il coinvolgimento degli studiosi e degli operatori, con il suo convegno ed il concorso finanziario agli studi necessari.
Tutto questo ha determinato l’elaborazione di un progetto di fattibilità che è costato circa trecento milioni. Progetto che non ci soddisfa ma che (a leggerlo) dimostra come l’argomento non si possa affrontare senza il supporto di analisi ed indagini di mercato, oltreché di un’articolata organizzazione logistica che utilizzi valide infrastrutture; tutte cose ancora da inventare.
Per superare le molte opposizioni – ed in taluni casi – le nostre perplessità, ma soprattutto, per individuarne i destinatari operatori e quindi protagonisti della Zona Franca, dobbiamo commissionare un progetto (sostenuto finanziariamente dalla Regione) a studiosi di valore internazionale che la sollecitudine di Nicola Bellieni, ancora una volta, è riuscito a propiziarci. Il progetto costerà non meno di mezzo miliardo e dovrà dimostrare come la Zona Franca sia in grado di dirottare sui porti sardi i volumi dei flussi di traffico merci provenienti dall’estremo oriente, dall’Oceania, dalle Americhe, dallo stesso Nord Europa, ed indirizzati al Mediterraneo. Senza tali studi si gira nel nulla delle ipotesi astratte, prive di punti di riferimento e quindi votati a sicura sconfitta. Ed io non intendo guidare la Sardegna verso la sconfitta.
Noi dobbiamo battere le opposizioni dimostrandone l’inconsistenza, superandole con le mercuriali, le puntuali osservazioni sull’evoluzione dei mercati, la politica delle “Conference” (l’organizzazione delle grandi compagnie armatoriali che controlla, condiziona e determina i commerci marittimi e decide della fortuna o condanna dei porti terminali della navigazione delle proprie navi. I porti disertati dalle “Conference” sono cimiteri dell’economia marittima) e così via.
Per vincere questa battaglia storica dobbiamo superare la resistenza del Governo, richiamare su di noi l’interesse internazionale, diventare attivi protagonisti di ciò che potenzialmente possiamo offrire facendone parlare, con ricchezza di documentazione, i giornali d’Europa, del Giappone, d’America ed Australia. Siamo in condizioni di farlo acquisendo un ragionato studio e producendo, attraverso questo, pressioni internazionali capaci di mobilitare tutte le possibili componenti che influiscono sulle decisioni.
L’alternativa è diventare protagonisti o limitarci a ripetere con toni accesamente convinti che vogliamo la Zona Franca.
Io ricordo quando presentammo anni fa il D.d.L. di cui si vuole la discussione.
Anche allora pur limitandoci alla semplice proposizione del D.d.L., fummo molto travagliati nell’elaborazione dell’articolato e della stessa relazione.
Ricordi? Non eravamo mica tanti a soffrire le mille incertezze per realizzare il meglio! Tu, Franco ed io. E quanta umiltà dominava il nostro lavoro. Senza dattilografi o segretari, scrivendo e riscrivendo; dettandoci le diverse formule, consultando uomini di cultura e di esperienza operativa quali Aglietta e il vecchio Sirchia.
Non erano certo molti in grado di capire i problemi proposti dall’istituzione della Zona Franca.
La verità è che in Italia non esiste cultura di Zona Franca per l’elementare motivo che non esiste l’istituzione. I pochi punti franchi esistenti ed allocati in alcuni porti si: limitano a depositi franchi (stoccaggi) di caffè quali Trieste, Palermo e, forse, qualche altro. La Zona Franca della Valle d’Aosta è limitata a liquori e pochi altri generi di consumo voluttuario, mentre l’area carsica è un favore offerto agli sloveni, di ben scarsa utilità effettiva, per come è congegnato, per la popolazione Triestina (che infatti la osteggia).
I miei amici Claudio Napoleoni, Spaventa, Bruno (già docente a Cagliari prima di Sassu) Siro Lombardini (unico che si sia indotto a scrivermi una generica lettera di favore) mi hanno confessato di non aver mai studiato il problema e di non conoscerlo né in termini dottrinari e neppure operativi.
Non erano in grado di valutarne 1’impatto che la sua istituzione (e le diverse forme di questa) avrebbe potuto produrre in qualsivoglia area economica.
I maggiori studiosi oggi, da quanto mi dicono gli amici di Bruxelles, sono gli olandesi e, in larga misura, anche i tedeschi.
Credo però che grandi esperienze e quindi grosse competenze in materia possano reperirsi nei mercati dell’estremo oriente ove le Zone Franche di Singapore, Filippine, Corea del Sud Hong Kong (pur con i suoi limiti) hanno formato gruppi dirigenti, tecnici, manager, operatori di livello mondiale cui, all’occorrenza si potrebbe attingere trovando in loro feconde consonanze, resi consapevoli da studi progettuali, convergenze di interessi.
Gli amici di Bruxelles sono pronti a mobilitarsi.
Franco mi ha aiutato a recuperare Bellieni e Bellieni gli 
studiosi.
Possiamo chiedere a questi di fissare un termine per la consegna del progetto.
Solo così andremo a fare una cosa che lascerà il segno e costituirà punto fermo che nessuno potrà più ignorare ed eludere.
Solo così rispetteremo gli accordi di maggioranza cui nessun partito si è – fino ad oggi – sottratto in relazione all’impegno di affidare lo studio.
L’Esecutivo deve decidere se la Giunta può continuare a restare al proprio posto o, messa in crisi dal gruppo Sardista, dimettersi. Sono a disposizione del Partito per rispettare gli impegni che questo ha assunto e conquistare gli obiettivi che abbiamo proposto ai Sardi.

Mario