Tavola rotonda su “Zona Franca” (1984)
Non posso che esprimere, come altre volte in circostanze di questo genere, il più vivo apprezzamento per l’iniziativa che vede tante personalità impegnate a dibattere ad approfondire i temi della zona franca doganale, argomento che ormai fa parte del patrimonio culturale, politico della nostra autonomia e che vede impegnati appunto studiosi, operatori economici, sindacati e tutte le componenti della nostra società.
È chiaro che la nostra amministrazione regionale non può restare assente innanzi a un problema di questa rilevanza, lo segue con attenzione, ne ha fatto oggetto di impegno nelle sue dichiarazioni programmatiche l’attuale giunta, che ha assunto a proprio carico gli approfondimenti necessari; preannunciando o prefigurando un progetto operativo di zona franca doganale, da affidare a tecnici che approfondiscano quanto già è stato studiato, quanto già e stato elaborato con dei pregevoli studi dei prof. Sabatini e prof. Bolacchi, per verificare tutte le possibili ipotesi e tutte le possibili risposte e quesiti nascenti dalla introduzione del regime di franchigia doganale, nella misura, nell’ampiezza e per le specializzazioni che scranno ritenute valide, la zona franca non è un fatto ideologico, lo abbiamo detto tante volte, è uno strumento per governare 1’economia, per stimolarla, per determinare fatti di propulsione endogena dei processi produttivi e quindi dell’occupazione, dello sviluppo del reddito, della crescita globale di una intera comunità.
Purtroppo, se io dovessi tornare a ricordi personali e a esperienze personali in queste materie, direi, che quando personalmente, stimolato dalle tradizioni del partito nel quale ho militato e milito, ai precedenti storici che fanno porte degli statuti che si sono susseguiti nel tempo dello stesso partito e dalla domanda attuale di ampliamento delle sfere di autonomia della nostra regione, mi sono posto questo problema, ho contattato diversi studiosi con i quali avevo anche un rapporto politico, ero senatore della repubblica e militavo in un gruppo parlamentare che contava diversi importanti economisti, Spaventa, Napoleoni, Bruno, a questi ho chiesto di aiutarmi ad elaborare un possibile disegno di legge o proposta di legge sulla zona franca doganale, sentendomi rispondere che non conoscevano il problema, che non l’avevano approfondito, che comportava tutta una serie di valutazioni, di complicazioni, che sfuggivano alla loro esperienza e alla loro cultura, che erano dimensionati sulle macro cifre mentre questo problema avrebbe portato a valutazioni di tipo e diversioni diverse, che non erano in grado di apprezzare. Anche in Sardegna, quando iniziai questa esperienza, trovai molta resistenza, molta incomprensione, molta disattenzione, molta indifferenza la verità è che la nostra cultura è una cultura umanistica, è una cultura giuridica, è una cultura di tipo scientifico, anche per quanto riguarda le professionalità ingegneristiche dell’elettronica, mineraria ecc., ma in fatto economico la cultura come fatto diffuso è abbastanza modesta, le stesse istituzioni non hanno la cultura dell’economia, perché se noi dovessimo interrogarci all’interno della struttura regionale e ci chiedessimo quali supporti ha la Regione per inquadrare i problemi economici, dobbiamo ritornare al centro di programmazione, una sorta di istituzione che viene organizzata attraverso collaborazioni interne, attraverso consulenze, che poi pian piano stanno diventando costituzionali, però nella sua struttura reale amministrativa gli apporti devono essere esterni, anche nel Parlamento, la Camera dei Deputati, voi riscontrerete la presenza di giuristi di classe eccezionale, personalità che veramente fanno onore a queste istituzioni, ma preparazione sui grandi temi economici ce ne è scarsissima e i supporti che hanno i parlamentari in questo campo sono supporti estremamente deboli, pressoché inesistenti, ecco perché l’approccio a questo problema è un approccio non facile, è un approccio che fatica ad emergere con tutta la forza e con l’impatto che è necessario, perché diventi elemento emergente e dominante nella vita politica della nostra Regione, perché certo, gli interrogativi che si pongono, li ha tratteggiati con quella capacità di sintesi, con la forza che sono congeniali all’onorevole Dessanay, gli interrogativi che si pongono sono molteplici, non di semplice e facile soluzione, non sono soluzioni ideologiche, che possono muoversi sul piano delle fedi politiche, certo, è un fatto politico la zona franca, il punto franco, il porto franco, perché? Perché applica gli spazi della autonomia, perché offre strumenti di governo dell’economia, perché può creare stimoli, impulsi auto-propulsivi alla attività e alla espansione economica, perché crea nuova cultura, perché crea nuove professionalità, perché crea spazi politici e di governo sempre più complessi, sempre più articolati, ma il problema resta sempre un fatto di individuazione dello strumento più idoneo, poi che si parli di zona franca, di punto franco, per cogliere differenze giuridiche, per cogliere differenze di altro genere, mi pare sia forse non del tutto esatto perché è un problema di estensione territoriale, il porto franco e il punto franco hanno lo stesso status giuridico, quindi il problema è soltanto se è più esteso e meno esteso, sarà un punto franco se è piccolo e sarà una zona franca se è più vasta territorialmente, ma lo status giuridico, il regime giuridico è perfettamente identico, si tratta di vedere quali sono le finalità della franchigia doganale, chiamarlo zona franca doganale sarà un po’ improprio, perché il vantaggio non è l’esenzione del dazio doganale che è abbastanza irrilevante, abbastanza ininfluente, i vantaggi veri derivano dalla esenzione fiscale all’interno dello Stato, cioè è l’Iva.
La Regione, possiamo dire che possiede nel suo statuto alcuni strumenti, l’articolo 12, che consente, pur riservando allo Stato la piena competenza in materia doganale, consente però l’istituzione dei punti franchi e la Regione, probabilmente stimolata da questo dibattito, probabilmente prendendo coscienza dell’attualità del problema, per effetto di tutto questo fervido e fecondo discutere, ha promosso le norme di attuazione che sono già state elaborate, che sono all’esame del governo ormai dall’aprile del 1984. Quindi le norme di attuazione esistono già, si tratterà di sollecitarne l’approvazione o di ritenere che i punti franchi sono uno strumento superato, ma non perché la zona franca è svincolato da particolari finalità di promozione dello sviluppo della attività produttiva delle attività industriali e di trasformazione o perché disfreni in modo incontrollato i consumi o le attività commerciali, le importazioni e quindi tutto sommato la dipendenza dall’esterno per effetto delle facilitazioni fiscali all’importazione, ci mancherebbe altro. La zona franca è veramente un’affidarsi alla avventura, la zona franca è governo dell’economia, deve essere questo e un governo finalizzato a promuovere lo sviluppo a programmare lo sviluppo attraverso una zona franca che sia mirata ad obbiettivi precisi, perché se tutto questo non è, veramente stiamo parlando di cose precipitano in un marasma nel quale nessun governo che abbia responsabilità e senso del reale può consentirsi di abbandonare una intera comunità. Io non sono un economista, sono uno che crede in certi valori, che ritiene che ogni spazio che si apre all’autonomia è sempre un passo avanti, nel far crescere la nostra comunità nel renderla più responsabile, nel renderla più protagonista e più incisiva nella costruzione del proprio futuro, nella costruzione del proprio domani. Il subire decisioni esterne abbiamo visto quanto non sia fecondo, quanto emargini la nostra comunità, quali danni enormi sotto qualunque aspetto abbia generato e continui a generare, comunque non ritengo che il problema zona franca, punti franchi sia soltanto un problema di estensione fisica del territorio ma sia un problema di soggetti che potrebbero avvantaggiarsi più o meno di questa istituzione. Quando penso che la zona franca di Amburgo, chiamiamola pure porto franco, tutto sommato investe 250.000 persone in forma diretta o indiretta, perché dà lavoro a 250.000 persone, io dico che la zona franca di Amburgo, il porto franco di Amburgo opera su 2.000.000 di persone di cui 40.000.000 operano dentro il porto franco di Amburgo, ma altre 10.000 lavorano dentro la città di Amburgo, allora penso che la Sardegna ha solo 1.500.000 persone, non sarebbe nulla di così sconvolgente, se si pensasse non soltanto all’estensione dei 24.000 Km quadrati, ma ai soggetti che dovrebbero in qualche modo beneficiare della zona franca. Naturalmente io sono qui come rappresentante del governo regionale, non ho scelte da fare e il fatto stesso che sia stato tra i proponenti nella nuova amministrazione della Regione a proporre e a sollecitare questo studio, questo approfondimento ulteriore dimostra quanto stiamo attenti alla esigenza di non abbandonarci ad avventure. Quello che voglio dire, però, chiedo scusa se non mi sono limitato ai saluti formali, ma ho colto l’opportunità per stabilire questo dialogo che ritengo così necessario ed utile tra i responsabili dell’amministrazione regionale e un gruppo di persone responsabilizzate della vita pubblica, la classe dirigente della nostra Regione, voglio dirvi questo, che nei giorni scorsi si è tenuto a Cagliari un grande dibattito sulle nuove tecnologie industriali. Un dibattito a livello nazionale, al quale hanno partecipato i massimi dirigenti dell’industria italiana, per interrogarsi sul momento industriale, sul momento dello sviluppo, sulle prospettive. Nel concludere questo dibattito il prof. Prodi, che era un po’ il padrone di casa, ha detto: “Certo, io mi sto battendo per la zona franca di Cagliari, ma la comunità economica europea, mi sento dire, ma voi italiani si può sapere cosa volete? La volete per Cagliari, e la vuole lei, l’unico e solo che l’ha voluta in Europa: il prof. Prodi la vogliono per Genova, però la volete per Napoli, per Catania non potete volere tutto, dovete scegliere.”
Io credo che la peculiarità della Sardegna costituisca titolo molto più rilevante di altre realtà italiane, quello che è abbastanza significativo è che le altre realtà italiane si stanno mobilitando per impossessarsi di questo strumento che tutto sommato considerano lo strumento valido dello sviluppo. Tutto sommato la Sardegna, che ha alle sue spalle anni di approfondimento, di studi, di dibattiti, che possiede già un patrimonio di cultura in questa materia, è tempo che lo trasformi anche in fatto politico.