Proposta di Legge Nazionale – Abbattimento delle Diseconomie conseguenti all’Insularità della Sardegna nel Sistema dei Trasporti Marittimi e delle Comunicazioni interne
La proposta di legge nazionale d’iniziativa popolare che proponiamo al giudizio del popolo vuole essere un contributo della nostra parte politica al superamento del sottosviluppo sardo.
La genesi di questo è stata da tempo individuata in cause molteplici e complesse, variamente operanti ed influenti nel condizionarsi reciprocamente. Fra tutte però riteniamo emerga quella che in sintesi definiamo geopolitica: insularità e dipendenza politica.
Molti popoli hanno vissuto e vivono la condizione dell’insularità traendo da questa possenti stimoli al proprio affermarsi nei rapporti economici, culturali e politici con i popoli di terraferma. Gli esempi sono numerosi ed illuminanti: Inghilterra, Giappone, Australia, Danimarca, Formosa…. tanto per citarne alcuni. In questi casi l’insularità non ha significato isolamento; esattamente il contrario.
In proposito è interessante rilevare come il Giappone, nel breve volgere di un secolo, sia uscito con forza travolgente dalla notte medievale del sottosviluppo strutturale plurimillenario, quando, negli ultimi decenni dell’800 si è aperto ai rapporti economici, civili e culturali ai popoli del mondo.
La forza delle genti isolane è derivata e deriva da un forte processo di autoidentificazione che dà alla loro operante presenza nel contesto umano un carattere peculiare e specifico ricco di originalità, come tale irripetibile e, perciò stesso, irrinunziabile. Solo salvaguardando rigorosamente la propria identità, resa possibile dall’ordinamento istituzionale, hanno potuto esprimere appieno la forza creativa di cui sono capaci realizzando intuizioni ed esperienze poi acquisite al patrimonio civile dell’intera umanità.
L’iniziativa politica ha loro consentito di darsi un’organizzazione dei mezzi adeguata a soddisfare da tempo le esigenze primarie della società stimolando, diversificando e qualificandone nel contempo le attività produttive commerciali e culturali correlate alle rispettive risorse materiali ed umane. L’insieme di queste energie è stato in larga misura utilizzata nell’istituire intensi rapporti con l’esterno. Poco importa che in virtù della statualità questi assumano il rilievo di atti di diritto internazionale essendo più che sufficiente arricchirne la portata di concreti contenuti economici, culturali e civili senza per questo evocare la soggettività giuridica di chi li pone in essere.
Ma soprattutto ha consentito l’emergere di valori etici, espressione autentica ed immediata di un mondo interiore sul quale si è fondata l’organizzazione civile dei popoli e, quindi, la loro civiltà.
Negli orizzonti aperti e luminosi del mare hanno sempre trovato l’attrazione irresistibile al loro superamento nella ricerca di incontri e rapporti che consentano alle popolazioni isolane di integrarsi e collaborare con gli altri popoli.
Ebbene, il dramma sardo è tutto qui.
La plurimillenaria subalternità (mancanza di libertà) politica del passato ha privato in uno al momento realizzarsi di una reale autonomia il popolo sardo della materiale possibilità di darsi un’organizzazione dei mezzi adeguata e meglio rispondente alle sue esigenze ed interessi. Lo ha privato della possibilità di darsi ordinamenti ed istituzioni fondati sui valori etico-giuridici maturati all’interno di una società divenuta protagonista e responsabile delle proprie scelte; ordinamenti ed istituzioni capaci di dare coerenza alle azioni operanti all’interno di modelli di comportamento che acquistano nel tempo dignità e forza di tradizione.
Si è vissuto per secoli nell’insanabile contraddizione fra esigenze reali da un lato e imposizioni limitanti e distorsive dall’altro. È appena il caso di rilevare che le imposizioni ed i limiti sono sempre provenute da poteri esterni miranti sia a consolidare posizioni di privilegio che a rinsaldare la sudditanza coloniale dei sardi.
Ordinamenti giuridici, strutture sociali, organizzazione produttiva, attività commerciali, rapporti culturali ed umani, sono stati imposti ai sardi dai diversi dominatori che si sono succeduti nel tempo con la forza brutale delle armi. Nondimeno, pur nella sua solitudine, il popolo sardo ha saputo resistere.
I moti angioini, come la grande battaglia sardista, ancora aperta, ne sono vitale testimonianza.
L’autonomia regionale, frutto di civile, durissima lotta, si è rivelata strumento del tutto inadeguato alla finalità di rompere la spirale del sottosviluppo e dell’assoggettamento dell’economia sarda allo sfruttamento di gruppi italiani e multinazionali. La dinamica dei tempi moderni ha drammatizzato i problemi provocando fenomeni nuovi e laceramenti quali l’emigrazione di massa, la disoccupazione generalizzata, l’abbandono progressivo delle campagne, lo sviluppo per poli, l’industrializzazione scollegata dagli interessi reali delle popolazioni e dalle sue naturali risorse.
L’autonomia si è quindi ridotta entro confini formali, svuotata di contenuti e capacità decisionali suscettibili di incidere in modo apprezzabile sui processi formativi di ricchezza, di reddito, di progresso.
La sua autonomia non è in grado di vincere la spirale involutiva: l’insularità, l’isolamento; di qui, l’emarginazione, il sottosviluppo, la disoccupazione.
L’isolamento può essere superato solo dall’organizzazione dei mezzi alla cui base stia una chiara e forte volontà politica. Il rapporto che unisce la Sardegna allo Stato italiano ha un senso solo se per i sardi si creano condizioni di assoluta parità con i cittadini di terraferma. Il richiamo all’art.3 della Costituzione è d’obbligo.
È vano ed illusorio ripetere che “è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli dì ordine economico e sociale” che limitano “di fatto la libertà e l’uguaglianza dei cittadini”, se l’insularità si traduce in un costo aggiuntivo e discriminante che penalizza duramente la pur affermata italianità dei sardi. Mentre da un lato, in nome dei sacri principi dell’unità nazionale, si nega la libertà di organizzare in piena autonomia le produzioni, i commerci ed i mezzi per realizzarli, dall’altro si nega l’unità stessa imponendo il peso economico della discontinuità territoriale in termini di strangolamento dell’economia sarda.
È impensabile, un autentico non senso, che un’isola non fondi le sue prospettive di sviluppo sull’economia marittima. In mancanza la vita delle sue popolazioni inaridirà progressivamente scivolando nell’emarginazione e nel sottosviluppo.
È un processo inesorabile senza alternativa alcuna di cui la Sardegna ha duramente sperimentato la verità nel corso dei millenni ed, in larga misura, ancor oggi.