Compagnia Sarda di Navigazione
Mario Melis – Presidente Regione Sarda (febbraio 1988)
È dal mare, per secoli nemico e carceriere, che deve partire lo sviluppo della Sardegna protesa verso il terso millennio. Occorre davvero recuperare e utilizzare al meglio la posizione di centralità, non solo geografica, che 1’isola occupa nel bacino mediterraneo per proiettarla a quella statura internazionale, irrinunciabile garanzia del suo futuro.
Da troppo tempo la Sardegna combatte contro il fantasma della continuità territoriale: ma fino a quando la sua economia sarà dipendente “in toto” da un sistema di collegamenti governato al sua esterno, finché rimarrà un “mercato residuale”, che si può e deve tenersi sotto controllo, questo della continuità territoriale resterà un comodo alibi, un finto problema.
Il commercio, ma l’intera economia, la stessa identità sociale e politica della Sardegna diventeranno importanti quando si internazionalizzeranno, quando cioè da “periferia europea” 1’isola assurgerà a snodo insostituibile delle rotte che solcano il Mediterraneo, a “terminal” naturale e tonico, non scavalcabile, di flussi commerciali intercontinentali. Sardegna, allora, cuore pulsante del “mare nostrum”, dell’Europa mediterranea, alla vigilia di quella scadenza del 1° gennaio 1993 così vicina e pressante per quel carico di potenzialità che la nostra economia e cultura non può vanificare.
Il commercio marittimo del futuro, a livello mondiale, è il tavolo dove si giocherà la partita decisiva per lo sviluppo e il decollo della Sardegna verso la sua dimensione internazionale. E sarà un mercato dominato dalle navi da 200 mila tonnellate, colossi sempre alla ricerca di comodi approdi dove scaricare l’intero prodotto trasportato, consegnato alla distribuzione capillare. Parlare allora di una flotta sarda, di una compagnia di navigazione pensata e gestita “ad intra” non è uno slogan, tantomeno un mito o una dolce utopia*
La Sardegna deve prendere coscienza, economica e culturale, di essere alla confluenza delle rotte del Pacifico e dell’Atlantico, di essere il più comodo corridoio tra le porte di Suez e Gibilterra, naturale estuario di questi flussi commerciali tra il continente africano, asiatico e americano.
In questa cornice di riferimento, una flotta sarda dovrebbe dotarsi di un sistema di navi-postino che raccolgano, smistino e distribuiscano, in un ambito non più oceanico ma più specificamente mediterraneo, materie prime, manufatti e merci scaricate nei porti isolani. Sono convinto che a questo appuntamento, su questo “treno” marittimo, se non sarà la Sardegna a farlo in tempi stretti, sono pronti a salire altri, siano essi giapponesi o americani.
Deve allora recuperarsi questa visione di sviluppo economico “marittimo della terra sarda: il non averlo ancora fatto è il più grande non senso della nostra storia.
Ed è in questa prospettiva che deve correttamente situarsi il completamento del Porto Canale di Cagliari, grazie anche al finanziamento del suo 2° lotto.
Questa importante struttura, che fa di Cagliari, e quindi della Sardegna, uno dei più grossi “terminal-containters” del Mediterraneo, potrà disporre di 1.500 metri di banchina. Ora, nel mondo, vi sono 6 o 7 “conference” che comandano il grosso del commercio marittimo planetario. Una di queste opera già a Livorno e a Malta. Chiede 900 metri di banchina ed e pronta a concentrare tutto il suo movimento su Cagliari.
Parimenti, solo per fare degli esempi, si può pensare, oltre Cagliari, a Porto Torres come polo di smistamento carbonifero verso i mercati del nord Europa.
Ricordo quando, all’inizio del secolo, la Sardegna esportava carne bovina a Marsiglia. Nel porto francese c’era un quartiere dove si parlava solo il sardo e questo flusso commerciale superava alcune centinaia di miliardi di oggi. L’introduzione delle leggi doganali fece crollare a picco questo mercato con una nostra naturale interfaccia, oggi anch’essa trascurata.
Contingenze storiche, culturali e politiche ci consentono di ribaltare a nostro favore una situazione che vede l’isola dipendere da scelte ad essa esterne ed estranee.
La creazione di una flotta sarda è solo un aspetto di una problematica ben più vasta. Poter disporre, senza mediazioni o appesantimenti di sorta, di materie prime, pronte sulla piazza, significa per la Sardegna favorire un processo di sviluppo dalle soluzioni finali inimmaginabili con conseguenze e ricadute sui livelli occupazionali forse prodigiose.
Significa far uscire la Sardegna intera, quella economica e quella sociale, quella culturale e quella lavorativa, da una gabbia di dipendenza e subalternità che oggi chiede di essere aperta per un futuro di libertà e di sviluppo autenticamente europeo.