COUNCIL OF EUROPE CONSEIL DE L’EUROPE CONSEJO DE EUROPA
ASSEMBLÉE PARLEMENTAIRE – CONFÉRENCE PERMANENTE DES POUVOIRS LOCAUX ET REGIONAUX DE L’EUROPE
2e Conférence des Régions de la Mediterranée Malaga, 16-18 septembre 1987
Trasporti e comunicazioni nel bacino mediterraneo – Trasporti marittimi
Relazione dell’avv. Mario Melis, Presidente della Regione Autonoma della Sardegna
Strasbourg 1987
Rapporto del Presidente della Regione Sardegna alla II Conferenza delle Regioni del bacino Mediterraneo
Malaga 16/19 Settembre 1987
Una prima considerazione da fare nello svolgere il tema e che al di là degli aspetti tecnici che presenta, esso offre motivi di grande suggestione. La storia del bacino del Mediterraneo è in sostanza fatta dai collegamenti; dai rapporti talora difficili e cruenti ma spesso fecondi fra le sue sponde, in un intrecciarsi di tradizioni marinare che fin dall’alba della storia ai giorni nostri ha contribuito a fare di questo mare interno uno dei centri della civiltà mondiale.
Ma il Mediterraneo è soprattutto la via naturale dei trasporti per l’Europa meridionale ed in questo quadro, proprio perché questo nostro mare non dev’essere un semplice custode di cultura, si devono denunciare le divisioni che corrono al suo interno, fra il suo ovest ed il suo est, tra il suo nord ed il suo sud. Sono divisioni che non attengono solo i sistemi politici, ma le diverse civiltà che da secoli si affacciano sulle sue rive.
La stessa Conferenza delle Regioni e delle Città portuali europee tenuta a Vigo nel novembre 1986 ha evidenziato con forza i problemi dei trasporti marittimi nel Mediterraneo enunciando nella dichiarazione finale che i problemi dovevano essere visti in una prospettiva di collaborazione tra nord e sud, visti in rapporto al continente africano e al sud America.
Lungo le rive del Mediterraneo europeo le comunità litoranee che hanno radici nelle attività portuali sono indotte, e non di rado costrette, a mutare i rapporti con questa fonte storica della loro economia e della loro cultura.
Comunità litoranee che non hanno finora avuto una elevata “maritimisation” si trovano oggi spinte a considerare attività portuali e trasporti marittimi come un possibile sbocco della loro economia. E questo almeno per quattro motivi:
1) La vita del Mediterraneo Europeo è sempre più dominata da polarizzazioni litoranee e va esprimendosi sempre più verso formazioni urbane estese e complesse.
2) L’industrializzazione litoranea cambia volto, in coerenza con le trasformazioni della divisione internazionale del lavoro, con il cambiamento del quadro mediterraneo e con le politiche regionali.
3) Alcune città stanno pertanto organizzando il terziario avanzato più o meno connesso con 1’economia marittima.
4) Le attività estrattive – off-shore stanno prefigurando modelli di organizzazione integrata tra costa e antistanti spazi marini.
Tutto ciò fa si che i fattori più incisivi per le funzioni portuali – e soprattutto per le relazioni fra comunità locali e porti – non vengano, così come accadde negli anni ’50 e ’60, dai trasporti di fonti di energia e di minerali ma piuttosto dai trasporti di semilavorati e di prodotti finiti.
Cioè, dal trasporto di merce varia, che è il comparto che più di ogni altro ha beneficiato, attraverso l’unitizzazione dei carichi, di innovazione tecnologica e di avanzamenti organizzativi.
Tre fattori hanno fatto sì che l’impatto dell’unitizzazione si sia ripercosso sul Mediterraneo in modo originale e con effetti più vigorosi di quel li prodotti in altre aree marittime:
a) gli eventi degli anni ’70 che hanno accelerato l’esportazione di beni strumentali dal nord al sud del Mediterraneo;
b) la riapertura del Canale di Suez che ha ripristinato rotte trasmediterranee verso i porti sudeuropei;
c) le strategie degli operatori del trasporto containerizzato che si sono focalizzate su questo bacino soprattutto nella seconda metà degli anni ’70.
Le indagini condotte pongono in evidenza che i porti del Mediterraneo sono nel loro insieme come una grande base di relazioni con regioni esteme alla comunità europea e modesti terminali di relazioni marittime interregionali all’interno della Comunità.
Per cogliere i termini concreti della “maritimisation” delle regioni mediterranee occorre tener presente i legami, attuali e potenziali, che intercorrono tra le rotte oceaniche e le rotte di distribuzione intramediterranea.
Infatti:
a) la posizione del Mediterraneo lungo rotte tese tra il nord Europa e 1’o1tre Suez favorisce l’organizzazione di scali “on-route” presso i porti sud europei. Barcellona, Marsiglia, Genova, La Spezia, Livorno, Trieste e il Pireo sono tradizionalmente affermati su queste relazioni. Possono essere accomunati a questi anche altri due porti emergenti: Algesiras e Valencia grazie ai risultati conseguiti in questi ultimi anni.
b) Tutti i porti containerizzati del Mediterraneo europeo sono attrezzati, in qualche misura, per navi ro-ro, ma non tutti lo sono per navi cellulari.
Inoltre la maggior parte dei porti attrezzati per navi cellulari possono accogliere soltanto vettori di modeste dimensioni, sicché resta abbastanza evidente l’elevata posizione gerarchica in cui si trova il ristretto numero di porti che possono accogliere navi portacontenitori della terza generazione.
Le rotte delle navi portacontainers, capaci di trasportare più di 400 TEU, accoglievano nel 1984, data alla quale risale l’ultima ricerca di mercato dello Drewry Shipping Consultants, una capacità di circa 20.000 TEU (9,1% di quella mondiale), dalla quale conseguiva una potenzialità di traffico misurata su ambedue le direzioni della rotta dicirea 400.000 TEU (7,7% di quella mondiale).
Tuttavia, se si aggiungono le rotte tese dal nord Europa al medio e all’estremo Oriente e all’Oceano Indiano che potrebbero far scalo nel Mediterraneo, si raggiunge una capacità di trasporto di 140.000 TEU (35,2% di quella mondiale) e una potenzialità di traffico sempre misurata su ambedue le direzioni di 1,2 milioni di TEU (20,2% di quella mondiale).
Ai pochi porti containerizzati – Barcellona, Marsiglia, Genova, Livorno – operanti nel primo scorcio degli anni ’70 se ne sono aggiunti numerosi altri e alcuni – Algesiras, Valencia, La Spezia e Ravenna – hanno ottenuto risultati tali da far mutare l’intero quadro del trasporto dell’Europa mediterranea.
Il Mediterraneo s’è trovato a fronteggiare una situazione ben più grave di quella cui ha fatto fronte il Northem-Range.
E ciò perché:
a) Le sedi di concentrazione industriale (MI. DAS) sud-europee storiche e recenti, erano costituzionalmente meno reattive agli impulsi estemi di quanto lo fossero quelle dell’Atlantico e del Mare del Nord, per cui hanno sofferto di più dell’improvviso cambiamento dei mercati internazionali;
b) L’impatto della containerizzazione è avvenuto nel Mediterraneo con un quinquennio di ritardo rispetto al Northem-Range.
c) L’industria off-shore degli idrocarburi ha prodotto effetti a pieno campo in tutto il mare del Nord, mentre nel Mediterraneo ha avuto manifestazioni episodiche.
Le stesse comunità litoranee sono state interessate da flessioni di attività di occupazione e da nuovi tipi di lavoro e si sono trovate immerse in cambiamenti strutturali che non hanno riscontro storico se non nell’avvento della paleo-industria, cioè nella prima metà del secolo scorso e nel passaggio verso la neoindustria, cioè all’alba del nostro secolo.
L’espansione del trasporto contaninerizzato ha prodotto un diffuso passaggio da una organizzazione di servizi resi ai moduli di carico, con la conseguente caduta dei tassi occupazionali scaduta frenata, o compensata, soltanto dove l’aumento di traffico è stato tale da neutralizzare gli effetti dell’aumento della produttività. Sull’intero fronte litoraneo, sono andati persi almeno 10-15 mila posti di lavoro in attività dirette e almeno altrettanti in attività indotte, secondo le stime dell’Istituto Statistico di Brema.
È quindi logico che ci si interroghi sul futuro dei porti, sulla natura del mercato che li coinvolge, sulle politiche da adottarsi.
Questi temi sono stati dominanti alla conferenza di Marsiglia; questa è stata l’ottica che a Barcellona nel novembre 1985 ha portato a costituire il CITRAME (centro internazionale trasporti Mediterraneo); questo è stato uno degli argomenti più discussi alla Conferenza di Vigo.
È pertanto necessario studiare con attenzione le relazioni all’interno del Mediterraneo ed il ruolo che i porti francesi, spagnoli, italiani e greci esercitano nel bacino in rapporto ai paesi del Nord Europa e in modo particolare con i paesi dell’Africa Mediterranea, anche alla luce del traffico containers.
Dai 589.152 del 1973 si è passati a 3.574.801 nell’82 con un incremento tra l’82 e l’81 del + 5,3% contro i 3,5% del traffico mondiale.
Abbiamo detto che la riapertura del canale di Suez ha ripristinato rotte transmediterranee verso i porti sudeuropei; buona parte delle rotte per l’Australia e l’Estremo Oriente sono state ricondotte al loro alveo più breve.
Occorre, inoltre, evidenziare che quando saranno ultimati i lavori di ampliamento che porteranno il pescaggio massimo consentito a 53 piedi (16 m.) la via di Suez dispieghierà tutte le sue funzioni a favore dei trasporti in transito attraverso il Mediterraneo e per quelli in esercizio sulle rotte tra l’Europa meridionale e l’Estremo Oriente.
In questa prospettiva si inserisce tuttavia la situazione delle strutture portuali la cui arretratezza ha vanificato i vantaggi di una migliore localizzazione geografica.
Va perciò ribadito che i porti che si affacciano nel Mediterraneo, pur essendo la porta del sud per i traffici CEE devono adeguare al meglio le proprie capacità per riuscire a ridurre il divario con le strutture nord europee.
Alcune nuove iniziative che sono avviate in questi anni muovono si in questa direzione. Possiamo ricordare il grande scalo per la movimentazione dei contaneirs che è in fase di ultimazione a Cagliari e utilizzerà la posizione centrale della Sardegna nell’intreccio delle rotte mediterranee.
I porti vanno però non soltanto potenziati come struttura, ma soprattutto va rivisto il modello di gestione.
Infatti allo stato attuale le industrie localizzate nei paesi mediterranei, vedi il caso di Genova in Italia, si servono dei porti del nord Europa, in quanto imbarcare a Genova e a Rotterdam ha costi equivalenti.
Cioè l’attuale disfunzione del trasporto facente capo ai porti italiani ha un costo misurabile con quei 1.000 Km.in più che vengono sopportati per raggiungere il mare del Nord invece del Tirreno. Questo è pari circa a un 2% del costo dei prodotti e da una parte minaccia la competitività dell’industria italiana e dall’altra rappresenta un onere per l’Italia che può essere valutato nell’ordine di miliardi.
Peraltro si deve denunciare la mancanza di connessione dei grandi porti con le autorità regionali anche perché talora gli hinterland dei nostri scali sono fortemente condizionati dalla scarsa agibilità delle concessioni che ad essi fanno capo.
La loro sfera d’influenza è talora circoscritta ad una sola regione cosicché si può parlare di porti regionali e quindi del ruolo dei porti piccoli e medi nel Mediterraneo. Da un punto di vista puramente tecnico sembrerebbe molto positiva la concentrazione portuale. La specializzazione dei servizi e gli altissimi investimenti che comporta la loro installazione giustifica, con altri fattori, questa affermazione. I grandi porti, d’altra parte, devono affrontare condizionamenti che sono non tecnici, come le esigenze sindacali, o la eccessiva burocratizzazione, e che possono ridurre a zero i vantaggi della concentrazione.
In questo contesto, i porti minori possono essere un complemento importante per le loro migliori condizioni di prezzo e di servizio o per la loro specializzazione; le tecnologie dei trasporti combinati che si sono sviluppate in questi ultimi anni sembrano particolarmente adatte al traffico dei porti regionali. L’enorme crescita del trasporto marittimo in containers dimostra ancora una volta i vantaggi della normalizzazione e della collaborazione. Si devono infatti evitare aspetti di elevata conflittualità fra le regioni e fra gli stati e le loro espressioni regionali.
I problemi che investono l’intero bacino e travalicano 1’orizzonte nazionale vanno visti quindi in un contesto globale e non di parte, in quanto solo nella ricerca di una interconnessione tra aree diverse si può creare una rete di trasporto dà cui le regioni possano trarne vantaggio.
I collegamenti marittimi all’interno del bacino devono essere di dimensione transnazionale, “considerando il Mediterraneo”, così come enunciava il documento delle Giornate sui Trasporti, tenuta a Barcellona nell’85, “un tutt’uno”.
A questo punto occorre ricordare il rilievo che assumono i collegamenti con le isole ed i gruppi di isole, i quali hanno formato oggetto di ampia discussione in vari incontri della Conferenza delle Regioni Periferiche e Marittime della CEE oltre che della Conferenza dei poteri Locali e Regionali, del Consiglio d’Europa; dove è stato affrontato il tema della continuità territoriale. Essa si compendia, com’è noto, in una serie di misure rivolte a diminuire i condizionamenti negativi dell’insularità che si manifestano sotto il profilo economico, ed anche sociale e politico. Quindi non solo mantenere nelle isole attività economiche sane, bloccando l’emigrazione ma anche sviluppare il turismo, che spesso rappresenta nei comparti insulari una risorsa fondamentale, ed i contatti umani, in uno sforzo equilibrato nel quale l’apertura all’esterno non porti detrimento ad identità culturali ed etniche meritevoli di essere salvaguardate.
La continuità territoriale in sostanza quindi nell’attivazione di collegamenti rapidi frequenti ed economicamente validi tra i1 continente e le isole offre quindi un ruolo essenziale al trasporto marittimo. Non solo facilitazioni tariffarie ma anche sviluppo di porti medi o porti regionali che nel Mediterraneo sono sempre più numerosi nell’assolvere il ruolo di collegamento con e fra le isole.
Essi si sviluppano infatti non solo nelle grandi rotte che, attraversando in senso della longitudine; ne esaltano con infrastrutture e tecnologie sempre più avanzate la funzione storica di incontro fra i vari continenti; ma anche per unire le sue sponde. In questa direzione le opportunità sono anzi crescenti, tenendo conto della sinuosità del bacino, dell’incremento del traffico turistico e della continuità territoriale che, come abbiamo visto, deve essere garantita alle isole ed ai gruppi di isole di questo grande mare interno.
Le regioni mediterranee, soprattutto quelle periferiche ed insulari, devono allora contribuire al fine di integrare la politica dei trasporti marittimi con il loro sviluppo complessivo. Devono pertanto rivolgere le proprie rivendicazioni non solo agli stati membri, ma alla Comunità Europea, perché vengano accolte non solo in funzione di petulante assistenzialismo, ma come un diritto di cittadini europei ad uguali condizioni di vita e progresso. Uno sforzo paziente che può partire da una intensa comunanza d’interessi e da tanti strumenti per attivare feconde collaborazioni.
La centralità mediterranea delle nostre regioni, come concludevo nell’85 alle Giornate di Barcellona, deve essere utilizzato al massimo per unire e non per separare.
IIa giornata – IV seduta di lavoro tema: Assi ed infrastrutture marittime – Rilievo del tema nel quadro della storia del bacino del Mediterraneo;
Necessaria collaborazione fra il nord ed il sud al fine di affrontare il tema dei trasporti marittimi
La “marittimizzazione nel Mediterraneo:
1 urbanizzazione litoranea;
2 industrializzazione litoranea;
3 sviluppo del terziario avanzato;
4 attività estrattive off-shore;
– Modifica del tipo di merci più frequentemente trasportate;
– Unitizzazione del trasporto marittimo estesa al Mediterraneo; sue ragioni,
– Legami fra rotte oceaniche e rotte intramediterranee
a per la posizione del bacino;
b per l’attrezzature dei suoi porti con le nuove tecnologie;
– dati sull’andamento del traffico delle navi portacontenitori nel Mediterraneo•
– Le nuove modalità di trasporti più difficili ed applicare nel Mediterraneo per:
a La MIDAS sud europea meno disponibili ai cambiamenti;
b ritardo di 5 anni delle contanerizzazione;
c scarsa incidenza dell’industria off-shore
– cambiamenti indotti dal trasporto contaninerizzato
– l’aumento del traffico non sempre colma la caduta dell’occupazione
– Necessità di adeguare i porti
– Prospettive per l’aumento della profondità del Canale di Suez
– Potenziamento delle strutture portuali e dei modelli di gestione
– Rapporto dei porti con la realtà regionale
– Ruolo dei porti piccoli e medi
– La continuità territoriale con le isole elemento favorevole per lo sviluppo dei porti piccoli e medi
– Dimensione comunque transnazionale dei collegamenti nel Mediterraneo
– Le regioni mediterrane: collaborazione necessaria nella politica del trasporto marittimo.