Signor Presidente, colleghi consiglieri, l’iniziativa assunta dal Consiglio regionale di dare vita ad una Commissione per lo studio di una ipotesi unitaria di riforma della Regione, del suo statuto di autonomia viene vivamente apprezzata dall’amministrazione, dalla Giunta, considerata momento essenziale di elaborazione politica per il necessario confronto con lo Stato, con i poteri centrali dello Stato e per dare un contributo creativamente fecondo, non solo alla riforma di questo ma, direi per l’originalità e la ricchezza della proposta, alla sua rifondazione.
È quindi essenziale che il Consiglio regionale trovi in se stesso quella forza unitaria che è la base di un possibile successo; quella forza unitaria che deve esprimere l’unità del popolo sardo. Un’unità che non si esaurisce in formule o in accordi di vertice ma deve coinvolgere le masse popolari rendendole protagoniste determinanti nelle grandi scelte e nell’aprire prospettive reali al suo domani. In tutta questa situazione, e quando ancora la Commissione doveva affrontare i temi che costituiscono oggetto della decisione consiliare, un partito presente nell’Assemblea ha presentato un proprio progetto di legge che definisce un’ipotesi di statuto di autonomia, che ha sottoposto alla valutazione ed al consenso del popolo sardo. L’interrogativo è: questa iniziativa si propone come rottura dell’intesa tra i partiti autonomistici oppure costituisce un contributo per aprire il dibattito, per creare condizioni di confronto, per arricchire con indicazioni ed obiettivi un eventuale comune piattaforma di elaborazione autonomistica. Da più parti ho sentito affermazioni estremamente positive: è un utile contributo.
L’ha detto il relatore, l’onorevole Cocco, contestando il significato di rottura di questa iniziativa; l’ha detto, concludendo questo dibattito, l’onorevole Saba. Certo, vi sono state voci dissenzienti che hanno tutta la dignità e la nobiltà della valutazione politicamente soggettiva per quelle che si propongono come tali; non quelle che attingono alla insinuazione, peggio alla diffamazione le proprie motivazioni: non meritano neppure l’attenzione di una risposta. Ragioni istituzionali ci costringono a sentire, ma non ci obbligano a rispondere. Ciò che è indegno di quest’Aula non è degno di risposta. Ma a chi dovesse porsi il problema se questa iniziativa del Gruppo sardista abbia in sé potenzialità dirompenti, disgreganti, antiunitarie che si pongono non in termini di confronto propositivo ma in termini di differenziazione e di rottura, io vorrei ricordare qualche passaggio del “Preambolo” nel quale si afferma che il Consiglio regionale della Sardegna è convinto che una struttura repubblicana federale dello Stato italiano garantirà e intensificherà l’esercizio delle libertà ed il raggiungimento di un’effettiva giustizia sociale e contribuirà a rimuovere le cause dell’insufficiente sviluppo della Sardegna. Uno Stato più giusto, più equilibrato, nel quale la Sardegna si inserisca in termini più vitali, più vigorosi. Afferma il diritto della nazione sarda a contribuire con pari dignità e sovranità delle altre nazioni al processo di costruzione dell’Europa dei popoli. Siamo dentro lo Stato e dentro la politica dello Stato, dentro gli obiettivi dello Stato che puntano alla creazione di questa più vasta democrazia europea che trova proprio nello Stato italiano uno degli elementi propositivi nel famoso gruppo De Gasperi, Schumann ed il tedesco del tempo Adenauer. I tre intorno ai quali si è sviluppato il dibattito dell’Europa. Ebbene questo Statuto si propone dentro lo Stato, con le finalità dello Stato. Al titolo I, nell’articolo 1 si dice che la legge costituzionale deve assicurare la sostanziale uguaglianza fra i sardi nonché fra essi e gli altri cittadini della Repubblica. È una parola inutile, è un concetto pleonastico. Qual è la realtà oggi? C’è un’emarginazione del popolo sardo rispetto agli altri cittadini della Repubblica o no? Se questo è il bisogno di sentirsi integrare tra pari con gli altri cittadini dello Stato non è un contributo a creare l’unità dello Stato anziché la sua contrapposizione?
Si crea in unità e non in rottura; la nazionalità è rappresentata in quanto tale nel Parlamento dello Stato. Che cosa significa tutto questo se non operare dentro le strutture, gli organi, le istituzioni, per dare maggiore vitalità. È davvero un qualcosa di così diverso, un qualcosa di così antitetico di così contestante con le linee del dibattito politico e culturale che si va facendo oggi in Italia. Evidentemente chi ciò pensasse non ha colto momenti estremamente significativi, messaggi che vengono dalle forze politiche di maggior rilievo e responsabilità nella vita pubblica, sono stati citati ieri alcuni colleghi sardi dall’onorevole Carrus all’onorevole Pietrino Soddu, è stato citato l’onorevole Cardia, ecco, per indicare uomini politici di fedi politiche diverse, da Giovanni Battista Melis ad altri, tutti avvertono l’esigenza di una riforma dello Stato e si è dato vita ad una speciale Commissione nel Parlamento per la riforma dello Stato.
Io certo auspicherei una ipotesi di rifondazione dello Stato; era la linea sardista e di alcune formazioni di grande rilievo politico nell’immediato dopoguerra. Lussu ne era uno degli esponenti di maggiore spicco, la rifondazione dello Stato perché la riforma è servita a lasciare la struttura preesistente con alcune modeste modifiche che hanno finito però con l’essere parzialmente riassorbite nella vecchia struttura per cui il vecchio centralismo continua a vanificare e a deludere le aspettative di una democrazia regionalista che è ancora da conquistare.
Le vecchie strutture prefettizie sono presenti per testimoniare una vocazione centralistica che trova nei Ministeri e nella burocrazia ministeriale ancor più che nella struttura politica e nelle segreterie centraliste dei partiti una vocazione di rivalsa e di recupero di potere che sta creando una sofferenza e una crisi del regionalismo che si pone tra l’altro in contrasto con la linea di tendenza europea che sta scoprendo il regionalismo come un fatto creativo innovatore democratico. Il regionalismo dell’Europa è un fatto nuovo, importante, quello che sta avvenendo in Spagna nella Spagna franchista, quello che sta avvenendo in Portogallo, quello che sta avvenendo in Francia, la patria dei giacobini, quindi della teorizzazione del centralismo il più classico che trova la sua sintesi e il suo capolavoro nel codice napoleonico che disegna uno Stato perfettamente efficiente nella concezione ottocentesca di una etnia dominante che impone la propria cultura a tutti gli altri, che impone i propri modelli a tutti gli altri, li subalterna li rende conformi a quella ipotesi primigenia di Stato e così la Normandia e così i Baschi e così gli Alsaziani e così i Lorenesi popoli di lingue di cultura, di tradizioni diverse.
Sono solo alcuni esempi che ho citato nello Stato francese hanno subito la Vandea del centralismo napoleonico del giacobinismo emerso nella rivoluzione francese battendo la Gironda e creando un modello che l’Italia ha recepito pari pari venendo dal feudalesimo al centralismo del principe illuminato, ma siamo ancora praticamente dentro lo Statuto albertino, perché il regionalismo sancito dalla nostra Costituzione si è inserito nel corpo di un organismo statale che è rimasto uguale a se stesso nei suoi organi di vertice che sono rimasti centralisti. Questa contraddizione tra la struttura regionale dello Stato e il verticismo centralista degli organi di governo e di parlamento influenza negativamente la nostra democrazia ne spegne l’impeto ne rallenta la capacità propositiva, ma che cosa è lo Stato? L’interrogativo di fondo, la filosofia di fondo che cosa è lo Stato? È quell’insieme di piccole comunità che si aggregano in un bisogno di solidarietà e che diventano ordinamento e che nel loro insieme costituiscono una unità etnica e culturale unificati nel territorio e negli interessi e nei valori e diventano nazione come fenomeno naturale, nazione che poi si eleva e si organizza nello Stato per cui possiamo avere stati plurinazionale ma l’elemento primigenio è la nazione e più nazioni possono costituire lo Stato, lo Stato però democratico sa bene che i suoi pilastri sono quelli sui quali si fondano la sua genesi e la sua forza ed è così che si riscoprono i valori del federalismo, di questo patto in virtù del quale tutte le diversità si mettono insieme per creare la grande unità in virtù di coerenza, che unificano e non dividono e così nella notte del medioevo si andavano raccogliendo intorno a quei primi tre stati primigeni fra i quali quello di Uri che ancora adesso non supera i 50 mila abitanti, la confederazione svizzera che oggi si arricchisce di tanti altri stati e così si sono formate dallo scioglimento dell’impero austro-ungarico che pure teneva conto dell’esistenza di nazionalità diverse e cercava di dare risposte tanto che in Italia si parlava italiano e non austriaco pur sotto l’impero austro-ungarico e si avevano scuole italiane e funzionari italiani. Ebbene si sono formate queste nuove democrazie, le democrazie del federalismo come si caratterizzano.
Anche l’Italia ne ha preso esempio ed ha creato il regionalismo, ma un regionalismo più cartolare che non reale, un regionalismo da Costituzione scritta ma non attuata, ed è questo il bisogno fondamentale sul piano politico che oggi ci chiama a dare risposte, a tentare l’impossibile per trovarle unitariamente e dare forza determinante essenziale senza la quale si è sconfitti a questa aspirazione, lo Stato. Il confronto Stato-Regione, ma come sarebbe a dire Stato-Regione? Chi è lo Stato? E la Regione cos’è? È un contraltare dello Stato? È un postulante che bussa alle porte dello Stato o non è lo Stato? Lo Stato cos’è se non è territorio? E il territorio si realizza nella Regione; lo Stato cos’è se non popolo? E il popolo vive pur nelle sue diversità nel territorio della Regione; lo Stato cos’è se non ordinamento; le Regioni sono ordinamento, lo Stato non è il governo, il Governo è un organo dello Stato, lo Stato non è il Parlamento, che è un altro organo essenziale, importante, che esprime la democrazia dello Stato, ma è un organo dello Stato, lo Stato è nelle Regioni, lo Stato regionalista trova la sua legittimazione nelle Regioni, questo è il suo momento essenziale.
Io vorrei risalire al documento predisposto a suo tempo quando questo Consiglio regionale elesse Pietrino Soddu Presidente della Regione ed egli tentò una formula politica che non ebbe successo. Io non ho con me quei documenti ma li ricordo, li ricordo come un momento propositivo di straordinario interesse, di fervida e travagliata proposta politica alla quale demmo un essenziale contributo di pensiero e di elaborazione, poi fu la Democrazia Cristiana nei suoi vertici a bloccare l’iniziativa, ad impedirla, a soffocarla, ma fu un momento veramente magico della nostra unità autonomistica. Non si sono più create quelle condizioni ma quello spirito può ben essere e deve essere recuperato, perché sono valori che vanno ben al di là di steccati politici, e chi dice che non è patrimonio di alcun partito questo o quel valore della democrazia ha perfettamente ragione perché per avere valenza deve avere in sé il valore dell’universalità che altrimenti non è valore umano e la politica è prima di tutto esaltazione dei valori umani perché è il modello di vita, di convivenza che gli uomini ricercano per esaltare tutte le potenzialità che una comunità è in grado di esprimere e non di comprimere e non di spegnere.
Ecco perché, colleghi consiglieri, noi dobbiamo prima di tutto fare una riflessione sui contenuti dello Statuto, quali sono gli obiettivi, lo diceva l’onorevole Cocco, lo diceva l’onorevole Saba, io cito colui che ha aperto e colui che ha chiuso, che tra l’altro sono di partiti politici diversi, mi farebbe piacere citare i due sardisti che hanno dato un vivace e sostanziale contributo, ma ho sentito tutti, salvo un momento torbido di dibattito che non mette conto di recuperare, vi sono stati veramente impegni che io non posso che valutare con grande positività ed apprezzamento da parte di tutte le forze politiche autonomistiche. Vi è la possibilità di trovare momenti unitari che esaltino l’autonomia, il dibattito politico oggi.
Io ho avuto l’onore di essere invitato ad un Convegno presso gli amici del Circolo “De Amicis” un circolo politico che ha sede a Milano e che ha messo al centro della discussione una proposta di legge di iniziativa parlamentare che raccogliendo il dibattito e raccogliendo le firme di uomini politici estremamente impegnati, ipotizza la Camera delle Regioni, ed ho avuto così modo di sentire esponenti politici di tutti i partiti democratici e tutta la cultura universitaria italiana, dai titolari delle più diverse cattedre delle molte Università che studiano questi problemi convenire sulla necessità di una Camera delle Regioni, cioè coinvolgere le Regioni nel momento delle scelte, nel momento formativo della volontà legislativa, nel momento formativo della volontà che individua le grandi scelte di politica interna, di politica estera, di politica finanziaria, un’ipotesi che chiama le Regioni non come organi di rappresentanza popolare, ma come istituzioni, per cui da un lato la rappresentanza popolare della Camera dei deputati e dall’altro la rappresentanza delle istituzioni. Ma questo al di là dei nominalismi, al di là delle parole, nella pratica statuale internazionale è federalismo. Non bisogna avere paura delle parole, le possiamo chiamare autonomia allargata, autonomia rafforzata, lo possiamo chiamare federalismo, ma la sostanza è questa, così come la Costituzione nella Corte costituzionale di una sezione speciale che quando giudica dei conflitti di potere fra gli organi centrali dello Stato e le Regioni sia costituita pariteticamente da rappresentanti delle Regioni e da rappresentanti dello Stato, o meglio degli organi centrali dello Stato, con la presidenza di una figura imparziale scelta dal Capo dello Stato, o eletta dai rappresentanti delle Regioni e del potere centrale, per cui anche su questo piano le garanzie giurisdizionali vengano assicurate sì da creare un organo imparziale e non un organo di parte quale oggi la Corte costituzionale. È anche questo ci proietta in una certa direzione.
Bene, io non posso dare risposte a chi mi sollecita soluzioni quali quelle formulate dall’onorevole Saba, il quale sostiene: assumiamo pare il documento del Partito Sardo d’Azione come un elemento di innovazione, come un elemento che riqualifica tutta la lotta e la prospettiva autonomistica, perché porta in avanti il dibattito, e confrontiamoci pure su questo documento con tutti quegli altri che “l’elaborazione autonoma delle altre forze politiche sarà in grado di esprimere, confrontiamoci e giungiamo o tentiamo di giungere ad un documento comune.
Io non posso che esprimere apprezzamento e dire che questo è un linguaggio responsabile, è un linguaggio politicamente qualificante, è un linguaggio che ho visto e ho sentito formulare anche dai sardisti, i quali dicono di voler collaborare, di volersi impegnare nella Commissione per dare il loro essenziale contributo alla definizione di una ipotesi di Statuto che sia espressione dell’unità del Consiglio regionale e quindi della comunità dei sardi, ma non potete chiedere al Presidente della Giunta di assicurare che questo documento sarà sottoposto o non sottoposto alla firma di chicchessia.
Ciò che io ritengo, come Presidente della Giunta, di poter affermare è che se il dibattito in Commissione si inizia nel rispetto delle posizioni reciproche si può giungere ad una conclusione, perché io storicamente ricordo che in sede di Consulta regionale il Partito Sardo d’Azione fu l’unico a presentare un proprio disegno di Statuto; questo non impedì alla Consulta di confrontarsi, di giungere a conclusioni non certo coincidenti con la proposta di Statuto sardista e di proporre alla Costituente una ipotesi che purtroppo la Costituente in larga misura disattese, e anche questo, anche in quella sede i sardisti erano presenti, in sede di Costituente, hanno dato il loro contributo propositivo (sono fondamentali gli interventi di Mastino, di Emilio Lussu in particolare). La delusione dei sardisti fu cocente e fu espressa da Emilio Lussu con quelle parole che ormai sono diventate un classico nel paragone tra i due felini, tra quello che si attendeva e quello che è arrivato, non di meno i sardisti sono diventati sin dall’origine dell’attivazione della autonomia regionale sarda, protagonisti della sua gestione, facendo parte della prima Giunta regionale sino a che crisi particolari non gli hanno consigliato di uscire ma dando sempre, dalla maggioranza e dalla opposizione, il contributo e la collaborazione più seria e impegnata perché 1’autonomia diventasse una forza attiva nelle mani del popolo sardo.
Quindi, non mi pare che oggi esistano degli impedimenti a che la Commissione inizi subito i propri lavori e che li concluda anche il più rapidamente possibile, perché le esperienze che sono alle nostre spalle ci hanno insegnato molte cose, perché il dibattito che si svolge in sede nazionale e sul quale veramente mi farebbe piacere intrattenermi, ma se la Commissione dovesse convocare il Presidente
sarei ben onorato di poter esporre alla Commissione quelle che a me sembrano le linee direttive emergenti nel dibattito pubblico nazionale, che è importante, quello stesso patrimonio di elaborazioni che la Conferenza dei Presidenti delle Regioni ha elaborato e che ha proposto al Parlamento, avvalendosi della collaborazione di personalità come Paladini ed altri, e nei quali il nostro contributo è stato quello di salvaguardare le autonomie regionali, di porre l’accento sui problemi della specialità degli Statuti.
Ebbene, vi sono indicazioni unitarie su una serie di obiettivi di punti di forza del regionalismo che possono ben costituire oggetto di riflessione comune e che sono in larga misura recepiti nell’unico documento elaborato a cura di una delle forze autonomistiche presenti in questo Consiglio regionale, quella del Partito Sardo d’Azione, sono presenti. Quindi io credo che i margini di dissenso e di confronto potranno essere ridotti a non grandi vasti spazi, per cui si potrà trovare un linguaggio comune da sottoporre al Parlamento dello Stato e io credo che a questo noi siamo chiamati, tutti, senza esclusione, che siamo chiamati in virtù dell’alta responsabilità che ci deriva dal voto popolare che vi siamo chiamati perché i tempi ormai non consentono ulteriori dilazioni, perché in tutte le Regioni questo dibattito è molto avanzato e potremmo giungere in ritardo e un nostro ritardo si traduce ancora una volta in un danno grave per la nostra comunità.
Io non voglio intrattenervi oltre, né voglio sottolineare altri aspetti, ma ritengo che oggi con questo dibattito il Consiglio regionale abbia fatto un punto essenziale nell’evolversi del proprio ruolo, tenendo conte che la Giunta non è inerte, che la Giunta non è assente, che la Giunta non è di fronte all’impegno del Consiglio indifferente, ma è disponibile ad una collaborazione propositiva che ha trovato peraltro espressione in tutta una serie di iniziative, di disegni di legge che avviati dall’allora Assessore agli affari generali della Regione, l’onorevole Ortu, si sono, con l’attivazione di Commissione altamente qualificate, si sono oggi concretate in precisi disegni di legge che sono all’esame del Consiglio e che riguardano la riforma della Regione, il suo modo di programmare, il suo modo di gestire, di amministrare, di costituirsi in governo della Regione, il suo modo di definire la struttura burocratica, di questa, il suo modo di essere presente nel territorio e di vitalizzare tutte le istituzioni democratiche presenti nel territorio, coinvolgendola, nella elaborazione dello sviluppo.
La Giunta regionale, quindi non si sottrae ai suoi impegni e alle sue responsabilità, deferente alle decisioni che il Consiglio prende, auspicando che l’appello che il Presidente della Giunta formula all’unisono con quanti in questo senso si sono già espressi, in rappresentanza dei rispettivi gruppi, possa trovare in un ordine del giorno comune la risposta che tutti i sardi attendono.
PRESIDENTE. Onorevoli colleghi, per valutare assieme ai Presidenti dei Gruppi consiliari le conclusioni da dare a questo dibattito sull’attività della Commissione speciale per le riforme istituzionali della Regione, io sospendo la seduta per cinque minuti.
(La seduta, sospesa alle ore 12 e 50, viene ripresa alle ore 13 e 13).
PRESIDENZA DEL VICEPRESIDENTE MURA
PRESIDENTE. I lavori del Consiglio riprenderanno questo pomeriggio alle ore 17. Inizieremo con la legge rinviata concernente:
“Provvedimenti per lo sviluppo dello sport in Sardegna”, non avendo ancora chiuso la discussione sull’argomento oggetto del dibattito di ieri e stamattina.
Consiglio regionale della Sardegna