Convegno – dibattito LA RIFORMA DELLA REGIONE – Cagliari 21 – 22 marzo 1986
Ho accolto con piacere l’invito che mi è stato rivolto ad intervenire ai lavori di questo Convegno, che affronta un tema di grande attualità e che richiama ad una partecipazione attiva e corale la intera collettività isolana.
Segno di una cultura e di un interesse verso i problemi centrali della nostra società, ma anche sintomo – non dobbiamo, né possiamo dimenticare – del prepotente bisogno di rinnovamento rivolto agli organi istituzionali regionali dalle nostre popolazioni.
Né poteva mancare l’apporto ricco di esperienze di chi, sin dal sorgere della nostra autonomia, ci ha preceduto nella gestione della cosa pubblica in Regione. Perciò, anche a nome del Governo regionale, sento il dovere di manifestare il più ampio apprezzamento per l’iniziativa assunta dall’Associazione degli ex Consiglieri Regionali della Sardegna per questo convegno: quanto emergerà dal dibattito, in termini di prospettazione e soluzione di problemi, sarà oggetto di attenta riflessione.
La riforma della Regione, assieme agli altri temi di grande rilevanza istituzionale che sono ad essa strettamente connessi – quali il nuovo Statuto d’autonomia, la legge sul nuovo Piano di Rinascita, la riforma del sistema delle autonomie locali – costituisce la questione centrale a cui occorre rivolgere il massimo dell’attenzione e dell’impegno da parte di tutte le forze politiche, sociali e culturali della nostra regione.
E questo perché oggi,ancor più che nel passato si avverte l’esigenza di un reale potenziamento dell’Istituto autonomistico, che consenta di disporre, in un’ottica di riforma e di adeguamento dell’impianto costituzionale dello Stato nel suo complesso, di poteri e di strumenti indispensabili per dare impulso allo sviluppo economico, ed alimentare nel contempo quei processi di crescita civile che segnino finalmente per la Sardegna l’uscita dall’emarginazione e dal sottosviluppo.
La gravità della crisi che da lunghi anni si registra in Sardegna, di cui la massiccia disoccupazione costituisce il fenomeno più grave e preoccupante, ha messo in piena luce la debolezza e i limiti intrinseci agli attuali istituti dell’autonomia regionale nel funzionare quali strumenti efficaci nel governo dei fatti economici e sociali.
Debolezza e limiti che risultano ancor più evidenti se posti a raffronto con la maturazione della coscienza democratica dei sardi che attribuisce all’autonomia un ruolo ben diverso dall’attuale, non più subalterno nei confronti del governo centrale, ma partecipe secondo principi di solidarietà e di collaborazione alle grandi politiche nazionali, i cui effetti ricadono sulla nostra regione, condizionandone possibilità e prospettive di sviluppo.
Lo stesso affermarsi delle istituzioni comunitarie secondo logiche di vertice proprie agli accordi fra gli Stati nazionali, ha contribuito ad accentuare la disarticolazione dei poteri autonomistici rispetto a processi di integrazione e di cooperazione, la cui rilevanza è fondamentale in tutti i campi nella vita economica, sociale e culturale dei nostri tempi.
La crisi dei poteri autonomistici ha peraltro radici lontane, che vanno individuate nella mancata attuazione dell’originario disegno costituzionale dello Stato delle autonomie, fondato sui basilari principi che regolano la ripartizione e l’esercizio del potere politico: autonomia, pluralismo istituzionale, diffusione territoriale delle principali funzioni pubbliche.
La crisi del regionalismo va ricercata nel progressivo distacco da tali principi e nei molteplici processi riduttivi che l’autonomia regionale ha subito nel corso degli anni. Gli attentati all’autonomia regionale possono così riassumersi:
a) – le funzioni amministrative sono state costantemente trasferite dallo Stato alla Regione in modo disorganico e settoriale, secondo la ben nota tecnica del “ritaglio” delle competenze;
b) – il potere centrale ha operato ed opera continue invasioni nelle stesse competenze regionali, mediante il ricorso a leggi ordinarie che hanno solamente il nomen juris della riforma economico-sociale, espropriando in tale modo il potere autonomistico di reali capacità di governo in settori statutariamente tutelati;
c) – la creazione di numerosi ed importanti enti settoriali, che si sono aggiunti alla fitta trama delle partecipazioni statali, con compiti di intervento nei diversi settori dell’economia, che di fatto disarticolano ed affievoliscono ulteriormente le complessive capacità di intervento dell’Istituto autonomistico;
d) – la giurisprudenza dalla Corte Costituzionale sui conflitti di competenza, rivelatasi fin dalle origini sempre meno espressione di un potere super-partes e sempre più strumento di condizionamento in senso accentratore.
Si è così delineata l’intima contraddizione che caratterizza oggi lo Stato: un sistema di poteri orizzontalmente organizzati su base regionale, inserito nella preesistente struttura rigidamente verticistica e centralizzata. Da questa evidente incoerenza istituzionale è derivata l’assurda antinomia fra Governo centrale e potere autonomistico, quasi che il primo rappresenti in esclusiva i valori dell’unità ed integrità della Patria e il secondo, per contro, un elemento destabilizzante e disgregatore.
È in questo contesto di drastico condizionamento e di complessivo indebolimento dei poteri autonomistici che occorre non solo difendere e conservare, ma elevare e vieppiù irrobustire il livello di specialità della nostra autonomia.
Occorre invertire le tendenze in atto che determinano un sostanziale abbassamento degli ordinamenti effettivi rispetto a quelli previsti dallo Statuto e che in pratica annullano gran parte degli istituti speciali: dalla competenza legislativa primaria al diritto di partecipare a funzioni di organi dello Stato.
Partendo dall’originario impianto statutario occorre ridefinire e completare l’intera disciplina di attuazione, muovendo ad un rafforzamento dei poteri autonomistici anche attraverso riforme che attribuiscono alla Regione l’esercizio di tutte quelle funzioni – in particolare quelle attinenti al governo dell’economia – per le quali non sia indispensabile la riserva in capo allo Stato.
In questo quadro è necessario che avanzi un processo generale di riforma democratica ed autonomistica dello Stato. L’azione di coordinamento statale non può fondarsi sul comando e sul potere direttivo, ma sul pieno riconoscimento e rispetto delle distinte competenze, sull’accordo fra le parti, sullo scambio di conoscenze, di esperienze e di servizi. In altri termini, deve essere riconosciuto alla Regione un legittimo ruolo di partner uguale.
Sul terreno della riforma interna degli istituti autonomistici occorre mettere a frutto il consistente patrimonio di elaborazione maturato in questi anni nel mondo politico, fra gli studiosi e nella pubblica opinione, dando corso ad iniziative concrete che realizzino il disegno organico di riforma sulla base di due direttrici principali. Da un lato procedendo ad una riforma dell’apparato istituzionale (normativo, amministrativo, tecnico e organizzativo) della Regione, attraverso una ridefinizione dei ruoli e delle funzioni dei suoi organi e delle sue strutture operative, in modo da qualificare l’istituto regionale come ente generale di governo, programmazione, indirizzo e coordinamento dello sviluppo dell’Isola.
Dall’altro avviando contemporaneamente il pieno coinvolgimento delle autonomie locali nei processi di sviluppo economico e di crescita civile, così da valorizzarne le potenzialità conformemente alla loro natura di enti rappresentativi delle rispettive comunità.
Si tratta di una prospettiva volta a realizzare compiutamente la specialità autonomistica nel suo significato più alto, di ordinamento complessivo capace di esprimere adeguatamente le istanze democratiche di una matura comunità regionale.
In tale prospettiva il governo regionale ha già tempestivamente intrapreso, la strada per dar vita ad un nuovo modello di Regione, affidando lo studio della riforma ad un gruppo di esperti di alta qualificazione nel campo della organizzazione e delle discipline giuridiche, affiancati da una società di consulenza di livello internazionale, specializzata nell’organizzazione, gestione e sviluppo del personale.
Con tale studio dovrà procedersi alla ricognizione analitica degli assetti con l’obiettivo della ridefinizione del ruolo dei massimi organi regionali; della riconduzione delle strutture burocratiche ad un quadro di efficienza e di funzionalità rispetto agli indirizzi e ai programmi regionali; della semplificazione e democratizzazione delle strutture amministrative.
La nuova configurazione dell’organizzazione regionale dovrà dunque realizzarsi con la contestuale revisione della legge regionale n. 1 del 1977, della legge n.51 del 1978 e della legge 33 del 1975:
– la prima, per meglio assicurare la funzione collegiale della Giunta e quella di coordinamento del Presidente, accorpando nel contempo e più razionalmente le funzioni oggi fortemente frammentate nei diversi Assessorati, dando ad essi un nuovo assetto, necessario alla gestione di funzioni in materie divenute di grande rilievo, quali il raccordo con le politiche comunitarie in continua evoluzione, o la politica attiva del lavoro e per l’occupazione;
– la seconda, per definire un assetto degli uffici che corrisponda al meglio ai compiti di governo e di programmazione della Regione, valorizzando al massimo la responsabilità della dirigenza e la professionalità di tutto il personale, semplificando le procedure, introducendo metodologie di lavoro improntate alle moderne tecniche di organizzazione del lavoro. In tal senso si collocano anche le
iniziative assunte per la creazione di un moderno sistema informativo che consenta tra l’altro di raccordare la Regione con le autonomie locali;
– la terza per adeguare gli organi e procedure nel campo della programmazione regionale in raccordo anche con la nuova legge sul Piano di Rinascita.
Anche in tema di enti regionali sono note le iniziative assunte dalla Giunta per la ricostituzione dei Consigli di amministrazione, secondo criteri rigorosi di competenza e di professionalità; relativamente al riassetto vi è l’impegno di procedere secondo linee che assicurino la funzionalità e l’efficienza, ma anche la soppressione laddove non sussistessero motivi di utilità.
La riforma interna dell’Amministrazione regionale dovrà saldarsi con il generale rafforzamento del ruolo delle autonomie locali, superando ogni visione centralistica dell’Istituto autonomistico.
In tal quadro va dedicata ampia attenzione al Comune, quale ente fondamentale di base, cui vanno attribuite nuove competenze, incoraggiando nel contempo le forme associative per l’esercizio di quelle funzioni che per le loro caratteristiche possono meglio esercitarsi a livello sovracomunale.
Il primo compito che la Regione deve assolvere è quello di attuare rapidamente il DPR 348/79 varando al riguardo le leggi a tal fine necessarie; è già stata promulgata la legge concernente le IPAB (L.R.31/85) mentre la Giunta ha varato il disegno di legge concernente il riordino della materia dell’assistenza e beneficenza pubblica.
Sempre nella prospettiva del rafforzamento del ruolo delle autonomie locali si colloca la questione del nuovo Ente intermedio, che deve fungere da snodo democratico tra Regione e Comuni. La tendenza prevalente tra le forze politiche e gli studiosi è quella di puntare al rilancio della Provincia e cioè ad un organo di natura elettiva, coinvolgendo in essa e in modo innovativo le esperienze maturate dai Comprensori e dalle Comunità montane.
A tale Ente dovranno ricondursi le funzioni oggi esercitate da diverse entità organizzative non rappresentative (Enti settoriali, Consorzi mono funzionali ecc.) o rivelatesi inadeguate.
Siamo consapevoli che la riforma della Regione costituisce un compito certamente gravoso, impegnativo, irto di difficoltà lungo il suo percorso.
È altrettanto certo che esso è obiettivo essenziale e irrinunciabile, non più differibile per creare un giusto ed avanzato rapporto tra l’Istituto Autonomistico e le aspirazioni di sviluppo delle popolazioni sarde.