Perché cambiare? – L’Unione Sarda – intervista di G. Ghirra – 18 giugno 1987

Scordati i mali fisici, Ma­rio Melis è di nuovo in gran forma. Attacca a destra e a manca, esclude «rimpasti tecnici» nella Giunta regionale, soprat­tutto sostiene che la cen­tralità sardista è stata confermata dal voto.
Eppure il Psd’Az si è fermato, rispetto alle regionali fa registrare un calo.
«Ogni elezione ha la sua storia, e le politiche sono diverse dalle regionali. Se qualcuno ha dubbi si rassicuri: il Psd’Az cre­scerà ulteriormente fra due anni. Ma intanto è salito fortemente su Ca­mera e Senato rispetto al 1983. Tant’è che il nume­ro dei deputati è passato da uno a due. Soprattut­to, siamo diventati il ter­zo partito in Sardegna anche alle politiche, sca­valcando i socialisti».
Ma non c’è stata la cre­scita sul Continente, siete rimasti lontani dai 300 mila voti sperati.
«Non ci siamo riusciti per pure ragioni organiz­zative. Le liste sono state messe su in gran fretta, è mancata una spiegazione del nostro programma di rilancio nazionale del fe­deralismo. Purtroppo il partito ha creduto soltan­to in ritardo alle elezioni anticipate, e si è fatto trovare impreparato».
E una critica al segreta­rio Carlo Sanna?
«Assolutamente no, an­ch’io sono un dirigente del partito, anche se pur­troppo la malattia mi ha tenuto fuori da gran par­te della campagna eletto­rale».
La maggioranza di go­verno alla Regione è uscita malconcia dalle urne: il PCI frana, i laici si assottigliano, solo socialisti sono in aumento. Reggerà questo cartello?
«Penso proprio di sì, soprattutto perché il Partito sardo d’aAzione emerge come un elemento fondamentale, costitutivo, della società sarda. Non sia mo né una fiammata né una ventata, rappresentiamo la coscienza e la linea di tendenza dell’Iso­la».
Presidente, il suo entusiasmo sembra eccessivo davanti ai risultati dei partiti alleati. Non crede che i sardi abbiano penalizzato la Giunta nel suo complesso?
«Il calo del PCI e quello dei laici mi paiono tutto sommato dovuti a fatti nazionali. Semmai, i co­munisti debbono com­prendere che il successo sardista e la flessione loro e dei laici è una precisa indicazione dell’elettorato: è una richie­sta di accentuazione del­la politica e dei temi sar­disti. Sta qui il senso profondo del voto di do­menica».
Ma c’è stato anche un netto incremento della Dc, che rivendica una svolta alla Regione. E chiede al Psd’Az di vol­tare le spalle al PCI…
«Il successo democristia­no è trascinato da una linea di tendenza nazio­nale. È stato il richiamo di De Mita al patriotti­smo di partito dell’eletto­rato moderato a premia­re la Dc, che ha fatto il pieno del calo del Movi­mento sociale, del PSDI, del PRI e del PLI. E questo dato ribadisce il successo sardista. In un quadro nazionale dominato dalla polarizzazione fra DC e PSI, fra DC e PCI, abbiamo avuto poco spazio per far penetrare le nostre tesi. Eppure siamo cresciuti del 2,5 per cento in una Sardegna dimenticata dalla DC in campagna elettorale. L’unica atten­zione che i democristiani hanno riservato all’Isola sono stati gli attacchi ad alzo zero contro la Giun­ta. Ma in questo modo hanno indebolito la Sar­degna, non l’esecutivo».
Lei dunque risponde no alle offerte di dialogo della DC?
«Noi abbiamo sempre detto sì ai dialoghi costruttivi, perché la politi­ca è dinamica, e le allean­ze non sono eterne, ma legate alle situazioni. So­lo che la Dc ha preferito sinora gli attacchi di­struttivi. Siamo pronti al dialogo. Se la Dc crede di piegarci alla sua volontà con le invettive e l’ostru­zionismo, come ha fatto finora, sbaglia. Se invece l’opposizione sarà fatta sui programmi, sulle cose, i dialoghi si potranno aprire in prospettiva. Certo, non sono di oggi. Non pensiamo mica di scaricare PCI e laici per effetto di un voto politico dopo una collaborazione alla Regione scelta non a caso e confermata anche prima delle elezioni».
Ecco, parliamo del futuro della Giunta da lei guidata. Non le pare che il voto renda ad alto rischio la conclusione della verifica politica in corso da troppi mesi?
«La politica è sempre ad alto rischio. Ma più che rischi, vedo semmai l’esi­genza di definire, ed attuare, un programma operativo negli ultimi due anni di legislatura. Un programma nel quale devono avere un ruolo centrale i temi autonomi­stici e sardisti: la zona franca, la riforma della Regione, la flotta sarda (non vedo perché la Regio­ne non possa avere i denari ed i poteri oggi affidati alla Tirrenia), la legge sul credito, la revi­sione dello Statuto.»
Ma la verifica sembrava conclusa con un solo appuntamento da ri­spettare: il rimpasto, cioè la sostituzione di due assessori dimissio­nari.
«No, qui non ci sono fatti puramente tecnici. Pri­ma di tutto sono necessa­rie garanzie politiche, con leggi approvate dal Consiglio, che affidino al presidente potere di coor­dinamento e direzione. Non si può andare avanti con gli assessorati conce­piti come feudi o emirati. E i partiti devono studia­re strumenti operativi che consentano alla Giunta di contare sulla sua maggioranza in Con­siglio. Non si tratta sol­tanto di far entrare due consiglieri in Giunta. Non si tratta della sem­plice sostituzione degli uscenti…»
Ma non teme il rischio di una crisi?
«Non temo niente. Se necessario sono pronto a dimettermi, nel caso i partiti decidessero la na­scita di una terza Giunta Melis, come si ipotizzava qualche settimana fa. Ma penso sia sufficiente un ampio rimpasto.» Mario Melis è insom­ma lapidario.
«Può anche darsi che i segretari dei partiti decidano per un rimpasto limitato – prose­gue Melis – ed alla fine il risultato sia l’ingresso in Giunta di due soli nuovi assessori. Ma le garanzie che io ed il Psd’Az chie­diamo sono politiche e programmatiche prima di tutto. Non accetteremo un semplice cambio, di poltrone».
C’è insomma la possibilità che la di­scussione si riapra. In settimana il presidente dovrebbe incontrare i se­gretari dei partiti. Ai pri­mi di luglio si recherà in Consiglio: sarà rimpasto o un Melis ter?