Scordati i mali fisici, Mario Melis è di nuovo in gran forma. Attacca a destra e a manca, esclude «rimpasti tecnici» nella Giunta regionale, soprattutto sostiene che la centralità sardista è stata confermata dal voto.
Eppure il Psd’Az si è fermato, rispetto alle regionali fa registrare un calo.
«Ogni elezione ha la sua storia, e le politiche sono diverse dalle regionali. Se qualcuno ha dubbi si rassicuri: il Psd’Az crescerà ulteriormente fra due anni. Ma intanto è salito fortemente su Camera e Senato rispetto al 1983. Tant’è che il numero dei deputati è passato da uno a due. Soprattutto, siamo diventati il terzo partito in Sardegna anche alle politiche, scavalcando i socialisti».
Ma non c’è stata la crescita sul Continente, siete rimasti lontani dai 300 mila voti sperati.
«Non ci siamo riusciti per pure ragioni organizzative. Le liste sono state messe su in gran fretta, è mancata una spiegazione del nostro programma di rilancio nazionale del federalismo. Purtroppo il partito ha creduto soltanto in ritardo alle elezioni anticipate, e si è fatto trovare impreparato».
E una critica al segretario Carlo Sanna?
«Assolutamente no, anch’io sono un dirigente del partito, anche se purtroppo la malattia mi ha tenuto fuori da gran parte della campagna elettorale».
La maggioranza di governo alla Regione è uscita malconcia dalle urne: il PCI frana, i laici si assottigliano, solo socialisti sono in aumento. Reggerà questo cartello?
«Penso proprio di sì, soprattutto perché il Partito sardo d’aAzione emerge come un elemento fondamentale, costitutivo, della società sarda. Non sia mo né una fiammata né una ventata, rappresentiamo la coscienza e la linea di tendenza dell’Isola».
Presidente, il suo entusiasmo sembra eccessivo davanti ai risultati dei partiti alleati. Non crede che i sardi abbiano penalizzato la Giunta nel suo complesso?
«Il calo del PCI e quello dei laici mi paiono tutto sommato dovuti a fatti nazionali. Semmai, i comunisti debbono comprendere che il successo sardista e la flessione loro e dei laici è una precisa indicazione dell’elettorato: è una richiesta di accentuazione della politica e dei temi sardisti. Sta qui il senso profondo del voto di domenica».
Ma c’è stato anche un netto incremento della Dc, che rivendica una svolta alla Regione. E chiede al Psd’Az di voltare le spalle al PCI…
«Il successo democristiano è trascinato da una linea di tendenza nazionale. È stato il richiamo di De Mita al patriottismo di partito dell’elettorato moderato a premiare la Dc, che ha fatto il pieno del calo del Movimento sociale, del PSDI, del PRI e del PLI. E questo dato ribadisce il successo sardista. In un quadro nazionale dominato dalla polarizzazione fra DC e PSI, fra DC e PCI, abbiamo avuto poco spazio per far penetrare le nostre tesi. Eppure siamo cresciuti del 2,5 per cento in una Sardegna dimenticata dalla DC in campagna elettorale. L’unica attenzione che i democristiani hanno riservato all’Isola sono stati gli attacchi ad alzo zero contro la Giunta. Ma in questo modo hanno indebolito la Sardegna, non l’esecutivo».
Lei dunque risponde no alle offerte di dialogo della DC?
«Noi abbiamo sempre detto sì ai dialoghi costruttivi, perché la politica è dinamica, e le alleanze non sono eterne, ma legate alle situazioni. Solo che la Dc ha preferito sinora gli attacchi distruttivi. Siamo pronti al dialogo. Se la Dc crede di piegarci alla sua volontà con le invettive e l’ostruzionismo, come ha fatto finora, sbaglia. Se invece l’opposizione sarà fatta sui programmi, sulle cose, i dialoghi si potranno aprire in prospettiva. Certo, non sono di oggi. Non pensiamo mica di scaricare PCI e laici per effetto di un voto politico dopo una collaborazione alla Regione scelta non a caso e confermata anche prima delle elezioni».
Ecco, parliamo del futuro della Giunta da lei guidata. Non le pare che il voto renda ad alto rischio la conclusione della verifica politica in corso da troppi mesi?
«La politica è sempre ad alto rischio. Ma più che rischi, vedo semmai l’esigenza di definire, ed attuare, un programma operativo negli ultimi due anni di legislatura. Un programma nel quale devono avere un ruolo centrale i temi autonomistici e sardisti: la zona franca, la riforma della Regione, la flotta sarda (non vedo perché la Regione non possa avere i denari ed i poteri oggi affidati alla Tirrenia), la legge sul credito, la revisione dello Statuto.»
Ma la verifica sembrava conclusa con un solo appuntamento da rispettare: il rimpasto, cioè la sostituzione di due assessori dimissionari.
«No, qui non ci sono fatti puramente tecnici. Prima di tutto sono necessarie garanzie politiche, con leggi approvate dal Consiglio, che affidino al presidente potere di coordinamento e direzione. Non si può andare avanti con gli assessorati concepiti come feudi o emirati. E i partiti devono studiare strumenti operativi che consentano alla Giunta di contare sulla sua maggioranza in Consiglio. Non si tratta soltanto di far entrare due consiglieri in Giunta. Non si tratta della semplice sostituzione degli uscenti…»
Ma non teme il rischio di una crisi?
«Non temo niente. Se necessario sono pronto a dimettermi, nel caso i partiti decidessero la nascita di una terza Giunta Melis, come si ipotizzava qualche settimana fa. Ma penso sia sufficiente un ampio rimpasto.» Mario Melis è insomma lapidario.
«Può anche darsi che i segretari dei partiti decidano per un rimpasto limitato – prosegue Melis – ed alla fine il risultato sia l’ingresso in Giunta di due soli nuovi assessori. Ma le garanzie che io ed il Psd’Az chiediamo sono politiche e programmatiche prima di tutto. Non accetteremo un semplice cambio, di poltrone».
C’è insomma la possibilità che la discussione si riapra. In settimana il presidente dovrebbe incontrare i segretari dei partiti. Ai primi di luglio si recherà in Consiglio: sarà rimpasto o un Melis ter?
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Perché cambiare? – L’Unione Sarda – intervista di G. Ghirra – 18 giugno 1987
20 Gennaio 2025 by rocamadour
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