Non è solo una protesta – intervista di F. Peretti – La Nuova Sardegna – 30 giugno 1983

In Sardegna è iniziato il dibattito politico sui riflessi delle elezioni a livello regionale e in particolare sul si­gnificato del voto sardista. Mentre il PCI insiste sulla neces­sità che «La DC lasci la guida della Regione in quanto questa giunta non rappresenta la realtà isolana», le forze del penta­partito fanno quadrato e la DC passa al contrattacco nei con­fronti del PCI.
Il voto al Psd’Az è una semplice protesta nei confronti de­gli altri partiti o contiene una precisa proposta politica? Le valutazioni sono differenti. Secondo alcuni il Psd’Az ha rac­colto la protesta di chi, nel resto dell’Italia, ha scelto la scheda bianca o nulla, secondo altri il voto indica una precisa linea autonomistica. In una intervista Mario Melis, neo deputato sardista, nega che il successo dei quattro morì sia solo una protesta. «I sardi si sono sentiti truffati dai partiti italiani — ha spiegato — ed hanno scelto l’unica forza che interpreta i loro problemi». Melis ha preannunciato quali saranno le bat­taglie sardiste in parlamento: la zona franca doganale, il pro­blema dei trasporti e la continuità territoriale, il controllo del credito da parte della Regione per impedire l’esportazione di capitali in continente, una «vera» riforma del titolo terzo dello statuto per dare alla Sardegna una reale autonomia finanzia­ria, e il bilinguismo. «È stato un successo per il quale abbiamo lavorato tutta una vita».
Nel suo studio nuorese il neodeputato dei quattro mori Ma­rio Melis non fa che ricevere visite e rispondere al telefo­no. È stanco e ancora emo­zionato. Il trionfo del Psd’Az ha premiato la tenacia dei dirigenti sardisti.»
C’è chi dice che il vostro è solo un voto di protesta.
«Lo nego. Il nostro non è soltanto un partito di opposi­zione, ma anche di governo e di proposta politica. Noi sia­mo interpreti dei problemi reali. Per questo la gente ci ha votato. I sardi hanno ca­pito che i loro problemi van­no risolti con scelte autono­me e che gli altri partiti, con un bilinguismo micidiale, si­nora li hanno truffati dicen­do una cosa a Cagliari e fa­cendone un’altra a Roma, vi­sto che dipendono dalle cen­trali italiane».
Dopo l’avanzata sardista, cosa cambierà alla Regio­ne?
«Sbaglia chi crede che la nostra crescita si sia conclu­sa o sia solo un fatto episodi­co. Non siamo alla semplice ricerca di voti, ma chiediamo consensi per fare una vera politica regionalistica. Questa è l’indicazione che ha dato l’elettorato. Bisogna spazzare via il ritualismo politico, la finzione dalla politica che danneggia la Sardegna. Ci sono assessori che non fanno niente per i sardi, il loro uni­co compito è quello di au­mentare le clientele per assi­curarsi la rielezione e per aiutare il proprio partito. Noi abbiamo fatto anche scelte impopolari in giunta, come per la campagna antincendi, contro la caccia. Invece que­sto gruppo dirigente della Regione ha fallito e non può continuare a giocherellare con la tragedia di un popolo che sta affondando».
Lei va alla Camera, Gio­vanni Battista Loi al Sena­to. Quale sarà l’attività parlamentare del Psd’Az?
«Abbiamo dei progetti pre­cisi. Innanzitutto riproporre­mo la legge per la zona fran­ca doganale, chiedendo la so­lidarietà degli altri parla­mentari, primi fra tutti quelli sardi».
La legge già discussa dal­la commissione parlamentare era stata presentata pro­prio da lei al Senato. Ripre­senterà lo stesso testo?
«I contenuti saranno quel­li. Bisognerà vedere se altri vorranno arricchirla con pro­poste in positivo. C’è forse da studiare meglio, per ren­derlo più agile e funzionale, il governo della zona franca. È la parte più difficile, per­ché l’esecuzione doganale può dare uno sviluppo tu­multuoso e non corretto se non lo si fa rientrare in un ambito di programmazione».
La zona franca, resta quindi, in parlamento, la vostra bandiera. Quali le altre proposte?
«Una proposta di legge sulla continuità territoriale, che sul piano politico va intesa come contiguità territo­riale, cioè una distanza vir­tuale che ponga la Sardegna sullo stesso piano di tutte le altre regioni. Questo per ga­rantire costi di trasporto competitivi. Il trasporto ora incide da noi per l’ottanta per cento sul costo finale del prodotto. La distanza virtuale Golfo Aranci-Civitavecchia dovrà essere applicata a tut­te le linee tra la Sardegna e il continente».
Il problema delle tariffe non esaurisce, però, tutta la questione dei trasporti.
«E infatti la proposta di legge investirà tutto il siste­ma dei trasporti: potenzia­mento dei porti, dei collega­menti aerei, delle ferrovie statali e complementari, della rete viaria per togliere dall’i­solamento le zone più svan­taggiate. Questa legge sui trasporti dovrà essere conce­pita come un piano di rina­scita, per superare il grave ritardo della Sardegna in questo campo. Non un fatto tecnico e tariffario, ma un fatto politico fondamentale».
In passato ha rivolto pe­santi accuse per la gestione della Tirrenia. Chi gestireb­be la contiguità territoria­le?
«Una compagnia di naviga­zione, che potrà essere anche la stessa Tirrenia, ma con se­de in Sardegna, col 90 per cento del consiglio di ammi­nistrazione eletto in Sarde­gna, e con il personale assun­to in Sardegna e non a Na­poli o a Palermo. La coper­tura finanziaria, se le tariffe non bastassero la garantireb­be lo Stato. Non sono utopie, non sono proposte che pro­vengono dalla mia fantasia».
Un altro problema dell’e­conomia isolana è quello delle risorse finanziarie. A­vete proposte anche in que­sto campo?
«Due. Una per il credito, l’altra per la riforma del titolo terzo dello statuto. La pri­ma proposta di legge riguar­da il controllo e il governo del credito in Sardegna, per impedire l’esportazione di capitali verso il continente, e l’estero. La maggior parte dei risparmi isolani, circa tre­mila miliardi, finiscono altro­ve per investimenti che non riguardano la Sardegna. La Regione deve avere la possi­bilità di indirizzare quei fon­di verso attività produttive che garantiscono l’occupazio­ne».
Quali richieste per il tito­lo terzo? Non è sufficiente la recente riforma?
«Il governo ha compiuto nei confronti dell’isola l’en­nesima rapina; restituendoci solo una minima parte di quello che ci era dovuto. La Regione, secondo noi, deve a­vere il potere di decidere quali imposte imporre in Sardegna. Questo per pro­grammare lo sviluppo dell’e­conomia: solo così si possono colpire i consumi che servo­no a sottrarre risorse agli in­vestimenti e si possono inco­raggiare quelle attività che possono dare benefici all’oc­cupazione».
Nei vostri programmi a­vete inserito le riforme isti­tuzionali. Cosa proponete?
«Innanzitutto la trasforma­zione del Senato in camera delle Regioni, con lo stesso numero di rappresentanti per ogni regione, in modo da togliere il predominio alle zone più forti e ricche. Inol­tre la corte costituzionale, quando si occupa di conflitti Stato-Regione, deve essere integrata da giudici rappre­sentanti delle Regioni nello stesso numero di quelli dello Stato ».
Per concludere lasciamo i problemi istituzionali ed e­conomici per passare ad un tema politico, sociale e cul­turale, che vi è caro: il bi­linguismo. Cosa farete?
«Riprenderemo questa bat­taglia, non c’è dubbio. Tente­remo di avere una linea in comune con altri partiti. Al­trimenti porteremo avanti, con gli aggiustamenti richie­sti dal tempo trascorso, la proposta di iniziativa popola­re».