Confesso il disagio che avverto di fronte al convulso agitarsi dei protagonisti che popolano lo scenario politico regionale. Eletti per realizzare i nuovi difficili obiettivi dell’autonomia molti di loro hanno assunto iniziative in aperto contrasto con gli obiettivi proclamati in campagna elettorale. Si ha la sensazione che al posto degli interessi generali ne vadano emergendo una moltitudine di particolari che non di rado coincidono con quelli personali. Incoerenza, incertezza, confusione dominano la scena politica in virtù di contrasti che non contrappongono gli schieramenti sui grandi temi dell’autonomia, ma sulla scelta più conveniente tra lo schieramento berlusconiano e la coalizione degli avversari. Ecco il punto: all’interno dei due schieramenti fermentano crisi aperte ed occulte la cui natura resta oscura, funzionale al soddisfacimento di obiettivi individualmente gratificanti ma estranei alla logica politica. Comportamenti preoccupanti del tutto estranei ai temi dell’autonomia che è, prima e soprattutto, momento alto dello spirito, affermazione di popolo che si scrolla dì dosso l’anonimato subalterno per affermare il diritto ad un’identità propria, scritta nel tessuto doloroso dei sacrifici sui quali è fiorita la cultura e la stessa civiltà pastorale, base del moderno processo di sviluppo sociale, economico e culturale. Una visione dell’autonomia che prefigura e si articola nella riforma federalista dello Stato inserito nella grande patria Europea. Messaggio rivoluzionario, creativamente fecondo, diffuso dai sardi nell’arido deserto dei nazionalismi europei sin dagli anni Venti e di cui oggi l’Europa riscopre la forza prorompente di moderna democrazia fondata sull’Europa delle regioni. Ammoniva Bellieni: «Autonomia è un’arte, è sapienza, è religione». Solo ritrovando la capacità d’intravedere all’orizzonte l’utopia autonomista che si realizza nel quotidiano dei nostri comportamenti possiamo conquistare un rapporto paritario con lo Stato, le sue regioni, l’Europa dei popoli e con i paesi del Mediterraneo; decisi a costruire con loro, in pace e in sicurezza, un futuro di reciproco sviluppo economico, sociale e civile. Non è questa una generica ipotesi, ma un preciso programma politico: la Sardegna investita di reali poteri incisivamente operanti nello Stato e nell’Europa restituita ai suoi popoli organizzati all’interno delle istituzioni che noi chiamiamo Regioni, altri Lander, o Cortes ma che costituiscono il primo e più profondo legame con il territorio. Con la Patria. Mediterraneo, non più prigione ma possente risorsa dello sviluppo dei sardi. Per scrollarci di dosso l’assistenzialismo dobbiamo contare su una forte e moderna economia marittima: gli aiuti esterni, quando sono permanenti, comportano subalternità. Cagliari, Porto Torres, Olbia, Oristano, Arbatax dovranno diventare, con moderne tecnologie, organizzazione portuale ad alta specializzazione di servizi, centri internazionali di scambi commerciali e sede d’iniziative capaci di stimolare il fervido espandersi delle attività produttive per rompere la solitudine delle zone interne. La Sardegna non è uno scoglio sperduto nella vastità del mare, ma patria di un popolo fervidamente partecipe e protagonista della civiltà mediterranea.
Come realizzare tutto questo? Con l’unità forte e generosa dei Sardi. Non vi sono alternative. Leggo e seguo infatti con interesse elaborazioni, analisi ed iniziative dei politici sardi sui temi che investono l’economia, le strutture sociali, la cultura e quindi l’autonomia della Sardegna; ne apprezzo il valore e come oggi si dice, il notevole spessore. Ma è vano parlare di autonomia militando in partiti che autonomi non sono perché nazionalmente gerarchizzati e dipendenti da una direzione romana. La diga anti autonomista l’abbiamo in casa; la subalternità sublimata nella militanza politica all’interno di partiti che spingono il loro centralismo sino alla designazione dei nostri amministratori. Questi, prima che ai sardi debbono essere graditi a Roma (o Arcore: che è lo stesso). Cercare o subire protettori esterni significa rinunziare all’autonomia. La risposta passa attraverso la regionalizzazione dei partiti. Discutiamo, scontriamoci pure, ma fra noi. Certi che saranno in gioco solo interessi sardi. Autonomia è libertà, ma soprattutto responsabilità. A noi l’onere e l’onore di aprire ai sardi le vie del futuro.
Autonomia vuoi dire libertà per tutti i sardi – L’Unione Sarda – 15 settembre 1999
8 Novembre 2024 by