Autonomia vuoi dire libertà per tutti i sardi – L’Unione Sarda – 15 settembre 1999

Confesso il disagio che avverto di fronte al convul­so agitarsi dei protagonisti che popolano lo scena­rio politico regionale. Eletti per realizzare i nuovi difficili obiettivi dell’autonomia molti di loro hanno as­sunto iniziative in aperto contrasto con gli obiettivi pro­clamati in campagna elettorale. Si ha la sensazione che al posto degli interessi generali ne vadano emergendo una moltitudine di particolari che non di rado coinci­dono con quelli personali. Incoerenza, incertezza, con­fusione dominano la scena politica in virtù di contrasti che non contrappongono gli schieramenti sui grandi te­mi dell’autonomia, ma sulla scelta più conveniente tra lo schieramento berlusconiano e la coalizione degli av­versari. Ecco il punto: all’interno dei due schieramenti fermentano crisi aperte ed occulte la cui natura resta oscura, funzionale al soddisfacimento di obiettivi indi­vidualmente gratificanti ma estranei alla logica politica. Comportamenti preoccupanti del tutto estranei ai temi dell’autonomia che è, prima e soprattutto, momento al­to dello spirito, affermazione di popolo che si scrolla dì dosso l’anonimato subalterno per affermare il diritto ad un’identità propria, scritta nel tessuto doloroso dei sa­crifici sui quali è fiorita la cultura e la stessa civiltà pa­storale, base del moderno processo di sviluppo sociale, economico e culturale. Una visione dell’autonomia che prefigura e si articola nella riforma federalista dello Sta­to inserito nella grande patria Europea. Messaggio ri­voluzionario, creativamente fecondo, diffuso dai sardi nell’arido deserto dei nazionalismi europei sin dagli an­ni Venti e di cui oggi l’Europa riscopre la forza pro­rompente di moderna democrazia fondata sull’Europa delle regioni. Ammoniva Bellieni: «Autonomia è un’ar­te, è sapienza, è religione». Solo ritrovando la capacità d’intravedere all’orizzonte l’utopia autonomista che si realizza nel quotidiano dei nostri comportamenti pos­siamo conquistare un rapporto paritario con lo Stato, le sue regioni, l’Europa dei popoli e con i paesi del Me­diterraneo; decisi a costruire con loro, in pace e in si­curezza, un futuro di reciproco sviluppo economico, so­ciale e civile. Non è questa una generica ipotesi, ma un preciso programma politico: la Sardegna investita di rea­li poteri incisivamente operanti nello Stato e nell’Euro­pa restituita ai suoi popoli organizzati all’interno delle istituzioni che noi chiamiamo Regioni, altri Lander, o Cortes ma che costituiscono il primo e più profondo le­game con il territorio. Con la Patria. Mediterraneo, non più prigione ma possente risorsa dello sviluppo dei sar­di. Per scrollarci di dosso l’assistenzialismo dobbiamo contare su una forte e moderna economia marittima: gli aiuti esterni, quando sono permanenti, comportano subalternità. Cagliari, Porto Torres, Olbia, Oristano, Arbatax dovranno diventare, con moderne tecnologie, or­ganizzazione portuale ad alta specializzazione di servi­zi, centri internazionali di scambi commerciali e sede d’iniziative capaci di stimolare il fervido espandersi del­le attività produttive per rompere la solitudine delle zo­ne interne. La Sardegna non è uno scoglio sperduto nel­la vastità del mare, ma patria di un popolo fervidamen­te partecipe e protagonista della civiltà mediterranea.
Come realizzare tutto questo? Con l’unità forte e ge­nerosa dei Sardi. Non vi sono alternative. Leggo e seguo infatti con interesse elaborazioni, analisi ed iniziative dei politici sardi sui temi che investono l’economia, le strut­ture sociali, la cultura e quindi l’autonomia della Sarde­gna; ne apprezzo il valore e come oggi si dice, il notevo­le spessore. Ma è vano parlare di autonomia militando in partiti che autonomi non sono perché nazionalmente gerarchizzati e dipendenti da una direzione romana. La di­ga anti autonomista l’abbiamo in casa; la subalternità sublimata nella militanza politica all’interno di partiti che spingono il loro centralismo sino alla designazione dei nostri amministratori. Questi, prima che ai sardi debbo­no essere graditi a Roma (o Arcore: che è lo stesso). Cer­care o subire protettori esterni significa rinunziare al­l’autonomia. La risposta passa attraverso la regionalizzazione dei partiti. Discutiamo, scontriamoci pure, ma fra noi. Certi che saranno in gioco solo interessi sardi. Au­tonomia è libertà, ma soprattutto responsabilità. A noi l’onere e l’onore di aprire ai sardi le vie del futuro.