Mario Melis: “Se non reagisce il Psd’Az rischia il marasma” – La Nuova Sardegna – 27 luglio 1999

Ora che il clamore suscitato dall’elezione di Efisio Serrenti a presidente del consiglio regionale si va spegnendo, dando spazio ai non pochi interrogativi sulla formazione della giunta, da militante sardista mi chiedo se il mio partito esiste ancora. Al quesito non si sfugge col silenzio o con l’inerzia. In politica nessun fatto suscettibile di mutarne il corso è indifferente. Con l’elezione, Serrenti ha spostato il quadro politico a destra proclamando per giunta d’essere erede di Anselmo Contu e di rappresentare la continuità politica del Sardismo. Se ha ragione lui non si capisce perché la direzione sardista e Meloni in particolare consideri l’elezione di Serrenti un affronto al Partito sardo e accusi di ciò, non solo Serrenti ma tutto il Polo che lo ha eletto. Se invece, come io credo Serrenti è il solito transfuga che tradendo il deliberato congressuale (che impegna il Partito a collocarsi nell’area nazionalitaria di centro sinistra, non solo ha oltraggiato tutto Partito sardo, ma se ne è messo fuori. Dicevano gli antichi latini: Tertium non datur non esiste altra possibile ipotesi: o ha ragione, o ha torto.
Se ha torto cosa aspetta direzione del Partito a prenderne atto? Meloni assume in sé tutti i poteri della segreteria e della direzione. Gli atti politici da lui compiuti dopo le dimissioni di Delitala si legittimano in base a tale criterio. Pur in assenza del segretario e della direzione ha continuato a deliberare e a decidere.
E decidere deve anche su caso Serrenti; sottrarvisi significa precipitare il Partito nel marasma e dire che ciascuno dei militanti è libero di assumere atteggiamenti contrari non solo critici (fatto del tutti legittimo) ma assumere comportamenti incompatibili con la linea del partito svolgendo ruolo di sostegno di altro parti­to, identificandosi con questo e rappresentandolo contro il proprio. Un tale andazzo com­porterebbe la fine ingloriosa dei Partito sardo lasciando in vita gruppi e gruppetti aggre­gati intorno a capetti focali di­spensatori di favori in un cli­ma di diffuso clientelismo che proprio il nostro Partito ebbe il merito e onore di spazzare via – sin dal suo costituirsi negli anni 1920 – dallo scena­rio politico sardo.
Meloni ha esperienza poli­tica e giuridica che gli consen­tono di adottare il provvedi­mento che ritiene più giusto: dalla sospensione all’espulsio­ne. Il suo potere, in questa fa­se, non è collegiale ma mono­cratico; porta cioè da solo la responsabilità del decidere; ri­peto: dalla sospensione all’e­spulsione. Il popolo sardista saprà così che all’interno de Partito vi è chiarezza, coerenza, fermezza di linea. Nessun limite al dibattito ma disciplina ferrea nei comportamenti. Io non so quanti hanno la possibilità di mandare dei fax, ma gli amici che sento esprimono con parole roventi viva reazione per l’offesa alla loro dignità sardista. Ignorarle sarebbe grave ingiustizia, favorendo il processo di disgrega­zione iniziatosi nella lotta tra bande scatenatasi nel partito dai primi anni ’90.
Sia chiaro l’inerzia della di­rigenza metterebbe in crisi il Partito sardo, non i Sardismo. Questo è un valore che palpi­ta nel cuore degli uomini, e at­tende solo il momento per di­ventare forza e guida dal no­stro popolo. Non si compra né si vende; non è sul mercato. Scaturisce e si alimenta nel­l’acqua limpida di sorgenti che diventano poi i grandi fiu­mi della vita e quindi della sto­ria dei popoli: libertà, giusti­zia, diritto all’identità. Sono valori che non hanno bisogno di etichette. Il Partito sardo li ha interpretati con dignità, forza morale, intelligenza politi­ca per quasi ottant’anni di storia. Credo che i! suo ciclo non sia concluso e che i dirigenti sappiano assumere responsabilità di decisioni che si tradu­cono per i militanti in certezza di comportamento. Sarà così scongiurato il pericolo di un Sardismo deluso che ricerca l’esaltante magia del Forza Paris attraverso nuove forme di aggregazione, di lotta e, perché no?, di apostolato.
La via al trionfo, sardista non è quella scelta da Serrenti. Visto poi, che ha citato An­selmo Contu affermandosene erede, voglio ricordargli che Anselmo venne eletto dalla grande maggioranza del con­siglio regionale ma con il qua­lificante voto dei consiglieri sardisti e non contro di loro, come è accaduto a Serrenti. Anselmo Contu da quel seg­gio prestigioso ci ha dato un­’altra grande lezione di sensi­bilità democratica che onora la storia autonomistica sarda. Quando i consiglieri sardisti uscirono dalla maggioranza che lo aveva eletto, pur non essendovi costretto da alcuna norma di regolamento e neppure sollecitato da alcuno della nuova maggioranza, si dimise dalla presidenza del Consiglio per non trovarsi in nessun caso in contrasto con il proprio gruppo.
Non per questo Serrenti deve sentire il peso della solitudine. Ha robuste radici storiche; altri prima di lui hanno voltato le spalle ai Partito per correre in aiuto del vincitore di turno. Tanti diventarono all’occorrenza fascisti. Berlusconi non è Mussolini ma l’aureo­la del vincente sembra essersela conquistata. Stia tranquillo altri sardisti lo seguiranno ma il «Sardismo», quello impegnato a costruire il nostro futu­ro, il popolo sardista, quello è tutto da questa parte e lotterà con coraggio generoso. Il futu­ro dei sardi non lo costruirà Berlusconi né il suo partito e meno che mai i cortigiani. Con sacrificio costante, molti sbagli, e tanta fede nel valore storico del proprio impegno, nonostante i piccoli tradimenti, saranno i sardi a progetta­re e costruire, giorno dopo giorno, il loro futuro.