Leghe? No grazie – Mettono i ricchi contro i poveri – intervista di G. Ghirra – L’Unione Sarda – 3 novembre 1991

“Uomo contro” dentro fuori il suo partito dopo cinque anni alla testa della Regione, Mario Melis approfitta di una pausa sarda fra il Parlamento di Strasburgo e le Repubbliche baltiche per rilanciare il verbo federalista strappandolo all’abbraccio inquietante delle Leghe. Gran nemico dello Stato nazionale («è in crisi irreversibile e la sua fine rischia di trascinare l’Europa a nuove guerre»), l’eurodeputato sardista re­spinge le posizioni del senatore Bossi e dell’i­deologo del leghismo, il costituzionalista Gian Franco Miglio. E rilan­cia un’idea del federali­smo fondata sulla solida­rietà, e non sul separati­smo dei ricchi contro i poveri.
Eppure nel convegno organizzato dal Psd’Az a Cagliari il professor Miglio ha svolto la parte del leone. Al punto che tanti hanno pensato a una conversione dei sardisti all’idea dell’Ita­lia divisa nelle tre Re­pubbliche del Nord, del Centro e del Sud.
«È un’interpretazione fantasiosa, perché noi non abbiamo niente a che fare con chi punta a una Repubblica del Nord che unisce le aree forti dell’I­talia per allearsi con le regioni ricche della Mit­teleuropa e scarica le aree povere del sud, la­sciandole in preda al loro sottosviluppo. Noi sardi­sti puntiamo a un federa­lismo della solidarietà dei popoli, fondato sul consenso e non sulla ge­rarchia dei potenti con­tro gli emarginati».
È un no anche a chi nel Psd’Az guarda alle Leghe come interlocuto­ri privilegiati, soprat­tutto se passerà la tesi craxiana dello sbarra­mento elettorale al 5 per cento?
«È un no a chi pensa alla secessione delle regioni forti. Il nostro federalismo è l’antitesi dell’egoismo. Non è lamentazione né localismo, è apertura dei popoli l’uno all’altro, per costruire un’Europa che superi gli Stati centralisti senza finire nella tragedie delle guerre. È la federazione delle di­versità, non il dominio della forza del denaro e del mercato al quale pen­sa Bossi. E stiano attenti i sostenitori della legge del più forte, perché rischiano di creare nuovi scontri e tensioni non solo fra gli Stati, ma anche fra popoli. La Lega e Miglio hanno una visione contrattualistica: si sta insieme fino a quando c’è interesse, poi ognuno per la sua strada. Ma così non si supera lo Stato centralistico. Si creano nuove divisioni, si consolida l’e­gemonia dei ricchi e la subalternità dei poveri, si producono squilibri fo­rieri di tempeste sociali ed etniche. Si rischia di attuare una versione mo­derna del colonialismo, basato sulla brutalità dei rapporti economici».
Se questo è il quadro, perché mai il Psd’Az dialoga con le Leghe?
«La contestazione dello Stato centralista ci uni­sce. Ma gli esiti sono di­versi. Miglio ha sconsi­gliato a Bossi di superare la linea gotica, perché co­sì si tengono i loro denari al Nord e magari si allea­no con i tedeschi. A me come sardo, egoistica­mente, la cosa può andar bene, perché penso a un’Isola che, autonoma da Roma, sia in grado di sviluppare grazie alla centralità mediterranea un ruolo da protagonista nell’economia marittima internazionale, un ruolo che romperà la dipenden­za e la solitudine della Sardegna. Ma l’egoismo non fa la storia. Il regio­nalismo del Psd’Az, dal 1921 a oggi, ha un respiro internazionale, vuole aprirsi al mondo, non chiudersi. Non ci interes­sa la logica dei mercanti che vogliono fare l’Euro­pa del marco e della gran­de finanza. Il nostro fede­ralismo è solidarietà, con l’Europa, con l’Africa del Nord, con i baltici che ri­cevono una delegazione del Parlamento europeo (siamo in quindici, sono l’unico eletto in Italia) al­la ricerca di contatti, non di chiusure».
Se passa lo sbarra­mento elettorale, addio Psd’Az in Parlamento.
«Ci batteremo con durez­za contro questa ipotesi antidemocratica. Chi pensa a queste scelte autoritarie non vuol ren­dersi conto che lo Stato centralistico è in agonia, ha i giorni contati. I par­titi devono smetterla di soffocare la democrazia. Hanno impedito alle regioni di esercitare un ruolo di governo attra­verso i viceré: questi mi­nistri per il Mezzogiorno che ci impediscono di trattare direttamente, da protagonisti, con l’Euro­pa. Le segreterie nazio­nali mettono il naso dapertutto, avocano a tutti i poteri, con l’intermediazione parassitaria del clientelismo. Hanno smantellato lo stato di diritto, distruggendo il potere legislativo del Parlamento, quello esecutivo del Governo, quello giudiziario della magistratura. Contano solo loro, segretari. Povero Montesquieu, altro che divisione dei poteri. Soltanto popoli, diventando protagonisti, potranno rompere questa cappa soffocante di regime».
Lei teorizza un Psd’Az all’opposizione. Ma intanto il segretario de suo partito chiede addirittura di entrare nella maggioranza di governo alla Regione, in cambio di un sì dei partiti a pacchetto autonomistico. Non è d’accordo?
«Neanche per idea, perché misuro la politica da fatti, non dalle intenzioni. Non ho nessuna preclusione ideologica verso la Dc o altri partiti, resto ai fatti. Questa maggioranza che si sta ricostituendo soltanto attraver­so uno scambio di poltro­ne, nel segno del potere, è nata ed è cresciuta all’in­segna della subalternità a questo Stato centralistico occupato dal sistema dei partiti. I dirigenti sardi hanno teorizzato la di­pendenza, il servilismo verso i governi omoge­nei. Hanno vissuto atten­dendo che venissero elar­giti graziosamente prov­vedimenti mai arrivati. Mi dispiace, ma tutte questo è il contrario dei sardismo».
Il segretario Giorgio Ladu sembra pensarla diversamente.
«Ha sbagliato a muoversi sulla base di una sua po­sizione personale. Un cambiamento di linea po­litica va discusso dal con­siglio nazionale del parti­to. Un segretario, e persi­no una direzione, non possono arrogarsi un po­tere di questo genere. Se davvero, come ho letto, ha offerto un appoggio esterno al quadripartito omologato è stato davve­ro imprudente».