Sassari. Nella sua recente intervista a Videolina e al nostro giornale, Nino Piretta, recluso nel carcere di San Sebastiano, ha parlato più volte dei suoi rapporti con Mario Melis. Il leader sardista ha ora accettato il nostro invito a commentare i passaggi più significativi dell’intervista.
Lei è stato chiamato in causa più volte dall’uomo che è accusato d’aver ordinato un attentato contro la sua casa in San Teodoro. Ha notato anche lei che dalle parole di Nino Piretta traspare più amarezza che rancore?
«Sì, ho avuto anch’io questa sensazione Ha detto che eravamo amici ed è vero. Lo stimavo ed apprezzavo la difficile lotta che conduceva con pochi fervidi militanti, fra i quali Antonino Cambule ed il giovane Efisio Planetta, per contrastare a Sassari la crisi del partito dopo l’abbandono dell’unico consigliere regionale della provincia, l’onorevole Nino Ruju (passato al partito repubblicano), la scomparsa di uomini del valore di Antonio Simon Mossa e Salvatore Sale e per il ritiro dalla politica attiva – data l’età – del carissimo Gian Giorgio Casti. Nino combatteva in prima linea, sfidando i potenti della città, senza timori reverenziali, pur in mancanza di adeguato retroterra culturale e sostegno economico. Tutto questo gli guadagnò simpatia e solidarietà nell’opinione pubblica tanto da ottenere l’elezione al consiglio comunale. Per premiare tanta dedizione, agli inizi degli anni Settanta, avendo assunto l’incarico di assessore regionale agli Enti locali, d’accordo con Cambule, lo nominai mio segretario particolare liberandolo però dai relativi adempimenti ed anzi incoraggiandolo ad intensificare la sua azione politica sassarese. Voglio anche precisare che nello stesso periodo condizionai la mia permanenza nella Giunta regionale all’ingresso del partito nella maggioranza che amministrava il Comune di Sassari. Fu proprio in seguito a quella congiuntura che Nino Piretta divenne assessore comunale mantenendo tale carica, per quanto ricordo, sino alla conclusione della sua attività politica».
Quando sono sorti i primi contrasti?
«Non posso che ripetere quanto scrissi nel luglio dell ’89 allo stesso Nino Piretta. Fu lui a raffreddare, diradare e, salvo che non dovessimo incontrarci in sedi istituzionali o di partito, ad interrompere i rapporti con me; non ci fu mai scontro fra me e lui se non quando mi opposi a che il partito adottasse un provvedimento sanzionatorio sollecitato da Piretta nei confronti di Antonio Cambule, figura storica del sardismo sassarese. Inizialmente pensavo che in qualche modo lo avessi deluso nell’esercizio della mia responsabilità di Presidente della Regione. Non vi fu mai però alcun chiarimento in proposito».
Ha mai pensato veramente che Nino Piretta fosse l’ispiratore dell’attentato contro la sua casa di San Teodoro?
«Ho fatto l’avvocato penalista per quarant’anni e qualche ipotesi me la sono proposta. Le ipotesi, processualmente parlando, restano però ipotesi – cioè nulla -; la responsabilità del giudizio su prove e indizi spetta ai giudici che delle ipotesi non tengono giustamente alcun conto».
Ha dei risentimenti per l’attentato?
«L’episodio mi ha molto offeso. Ero solo con mia moglie in campagna ed un’esplosione che disintegra la porta di casa non è un fatto indifferente; non sapevo di dover temere qualcuno ed ero disarmato. Per qualche istante ho pensato che gli attentatori volessero fare irruzione dentro casa».
Quale sarebbe la sua reazione all’ipotesi di una responsabilità di Nino Piretta?
«Penserei ad un gesto suggerito più dalla disperazione che dall’odio. La mia esperienza professionale mi ha insegnato che all’origine di certi reati c’è più angoscia e sconfitta che volontà di fare del male».
Quando Nino Piretta è finito in carcere cosa ha pensato?
«Quello che a suo tempo ho dichiarato ai giornali. Un uomo in ceppi, distrutto da vicende che lo hanno travolto, non so dire se anche per sua responsabilità. Non ho dimenticato che è lo stesso uomo al quale sono stato legato da vincolo di amicizia. Con lui e tanti altri cari amici abbiamo condotto battaglie talvolta vincenti, spesso perdenti, ma tutte esaltanti; forse lasceranno poche tracce nella storia del partito ma sono sempre vivamente presenti nel mio cuore. Oggi vedo l’uomo di allora invecchiato, malato e avverto turbamento e pena per questa sua condizione. Torno col pensiero alla personalità che esprimeva intelligenza e sensibilità, capace di cogliere anche le vibrazioni della politica. Penso che si sia smarrito nei corridoi del Palazzo. Non ha saputo metabolizzare il potere che in rapida successione temporale si ( trovato a gestire in crescente solitudine. Non disponeva di sufficiente consapevolezza del ruolo, esperienza e cultura per resistere, come lui stesse ha ammesso, alle molteplici tentazioni che il potere può offrire».
Piretta ha detto di lei “Gli ho salvato la vita. Da lui mi aspettavo di più” ! Cosa poteva fare lei che invece non ha fatto?
«Non lo so proprio. Non so neppure quando e come mi avrebbe salvato la vita Se non è vincolato al segreto sarà bene che parli più chiaro. Ignoro di avere nemici; conosco molti avversari ai quali sono peraltro legato da reciproco rispetto e stima. Cosa mai avrei potuto fare? Non certo assumerne la difesa nei processi, come ho fatto altra volta; non esercito più da anni la professione. Non l’ho accusato neppure in termini di sospetto del reato che è stato consumato a mio danno. Allora che altro? Dimettermi da parlamentare europeo per garantirgli l’immunità? Non era un’operazione politicamente possibile. L’accusa di trasformare il voto di oltre centomila sardi in uno strumento di bassa manovra giudiziaria avrebbe squalificato il partito e io stesso sarei apparso come figura obliqua, compromessa in qualcosa di poco chiaro. Ho sempre assunto le mie responsabilità. Questo impegno esisteva fra il Partito sardo e gli alleati valdostani ed altoatesini. Patto alla luce del sole, limpido ed inequivoco. Reso purtroppo inattuabile proprio perché alle mie dimissioni seguiva di necessità l’elezione di Piretta che risultava il primo dei non eletti. Ma Nino, che è persona capace di capire, non credo che sia fermo a questo tipo di risentimento».
In una lettera che Piretta ricordava benissimo, lei fa un riferimento a chi si arricchisce con la politica. Era un’accusa mirata?
«La frase faceva parte di un ragionamento più complesso ed organico e non si riferiva in modo diretto a Piretta. Denunziavo sostanzialmente la confusione dei ruoli fra il politico e l’uomo d’affari. Ciò che in sostanza è avvenuto molti anni dopo con la comparsa di Berlusconi. L’uomo di governo, come chiunque sia chiamato all’assolvimento di compiti che interessano la collettività, non può contemporaneamente interessarsi di affari che, per quanto leciti, possono influenzare e condizionare le decisioni».
Andrà a trovarlo quando tornerà in libertà?
«Non avrò difficoltà ad incontrarlo. Non ho però ragione di fare un viaggio specifico a meno che non voglia raccontarmi l’episodio dello scampato pericolo di morte. Non vorrei dare a questa intervista un rilievo diverso da quello che in effetti ha. Una riflessione sulla vicenda umana di un uomo che forse sta pagando i suoi errori in modo più pesante del giusto. Per il resto, e per quanto mi riguarda, spero vivamente che comunque si risolva il processo (o i processi?) in corso, possa beneficiare delle norme disposte dalla legge a favore delle persone che hanno, come lui, superato una certa età, sono per giunta malate ed hanno soprattutto bisogno dell’affetto di familiari ed amici che, sono certo, gli sono ancora vicini».
All’ombra dei quattro mori – intervista di Gigi Puggioni – L’Unione Sarda – 4 marzo 1998
25 Ottobre 2024 by