Il primo presidente sardista della Regione è atteso da un compito molto difficile. Repubblicani e liberali, ai quali dovrebbe rivolgersi per allargare la maggioranza, hanno già definito il suo tentativo una riedizione della giunta di sinistra e laica; il segretario della Dc, Angelo Roich, ha parlato di «ulteriore perdita di tempo». Come intende agire Mario Melis, è scoraggiato oppure ritiene che vi siano margini di trattativa? Il presidente della Regione risponde in questa intervista.
– Le è stato affidato un mandato che corrisponde ad una formula già sperimentata negativamente da Rais: giunta autonomistica di sinistra e laica, aperta ad un accordo programmatico con la Dc. Pensa di avere delle possibilità di successo?
«Il mandato, è vero, è abbastanza ristretto, ma credo chi sia giusto interpretarlo con una certa fantasia, perché senza spazi di mediazione questa crisi non si può risolvere».
– Le rigidità manifestate da alcuni partiti subito dopo la sua elezione non la scoraggiano?
«Credo che sia nell’interesse di tutte le forze politiche impedire l’ulteriore deterioramento della situazione. Perciò bisogna creare innanzitutto un clima di comunicabilità che sia premessa di intese e di possibilità di accordo. In questo campo non si può improvvisare niente, ma è certo che penso a una giunta volta al superamento delle contrapposizioni attuali».
– Ma basterà la buona volontà, sia pure unita alle garanzie personali offerte la da un presidente della giunta sardista?
«Ciascun partito partecipa al confronto politico con il peso della propria tradizione e della propria cultura. Il Psd’Az ha una costante nella sua linea, quella dell’unità di popolo — di tutti i sardi — e credo che questa spinta unitaria non possa essere perseguita senza riscontri in campo politico. Perciò, al di là degli unanimismi che talvolta possono essere strumentali, i sardisti hanno sempre sottolineato il valore della politica di unità autonomistica. Ciononostante, in questo momento anche il Psd’Az ha dovuto prendere atto dell’impraticabilità della formula di governo unitaria».
– Che cosa dunque è possibile fare, sia pure nell’ambito del suo mandato, per abbattere gli steccati che sono stati eretti?
«Sarebbe utile riaprire il dialogo, porre le premesse per facilitare, in una prospettiva che sia la meno lontana possibile, l’incontro delle forze autonomistiche».
– In concreto, pensa a qualche iniziativa che possa sbloccare la situazione di stallo fra le forze politiche?
«Penso di privilegiare il tema della solidarietà autonomistica, come valore che temporaneamente può far aggregare un vasto fronte intorno a temi di grande rilievo per la Sardegna. Su alcuni, gravi ed essenziali problemi, occorre la mobilitazione di tutte le forze politiche autonomistiche».
– Lei ritiene che questa possa essere una delle chiavi per avviare il dialogo fra gli schieramenti contrapposti?
«Io credo che da questa situazione si debba uscire senza vincitori né vinti. Vincere non serve a niente, perché il vincitore, chiunque sia, si troverebbe alle spalle il deserto. Ciò che conta è l’unità del popolo sardo, che è indispensabile per superare la crisi e per riaffermare i valori dell’autonomia, per difendere la Sardegna».
Riaprire il dialogo – La Nuova Sardegna – 21 maggio 1982
16 Ottobre 2024 by