Zona franca: ipotesi e proposte che rifiutano “vecchie opposizioni”- La Nuova Sardegna – 1973

Polemica sulla zona franca: il deputato sardista Mario Melis replica ad un recen­te intervento del comunista Barranu.
La replica di Benedetto Barranu sul tema zona franca ha il merito di aver riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica sar­da la centralità dell’argo­mento.
Attraverso il garbo della forma espositiva traspare dura e spigolosa la con­trapposizione concettuale e politica dei comunisti alla proposta. Di questo è bene pren­dere atto avendo coscienza che la contrastano e la contrasteranno senza mez­zi termini. Quali gli argo­menti? Esaminiamoli partitamente.
Primo, la zona franca si affida ai meccanismi del mercato e ciò contrasta con la programmazione. È questa un’affermazione del tutto gratuita, ingenuamente ideologica, sostanzialmente inesatta. Si vuole tornare ai temi de paleo-marxismo, con argomenti ormai smessi dagli economisti e dagli stessi uomini di governi dei Paesi del socialismo reale – dall’Ungheria alla Cina, dove si sta organizzando (guarda caso) la zona franca di Canton.
Debbo riconoscere al mio cortese contraddittore che la programmazione ha un senso se l’obiettivo di questa è lo sviluppo e quindi la ripartizione della ricchezza? Ma prima bisogna produrla. E questo può fare, se correttamente gestita, la zona franca. Altrimenti ci si accontenta della politica di contributi e sussidi e si programma la economia dei postulanti e delle clientele di oggi.
Secondo, i benefici della libertà doganale prefigura­no la rinunzia agli inter­venti straordinari dello Sta­to e all’apporto delle sue risorse per limitarsi al far da sé.
Questo argomento va re­spinto per due ordini di motivi:
a) perché non è vero: zona franca e soli­darietà dello Stato non sono antitetici e neppure reciprocamente indifferenti ma operano ed interagisco­no attivando meccanismi economici, sociali e politi­ci capaci di realizzare, con l’interesse dell’area investi­ta dalla franchigia dogana­le, quello più generale del­l’intera comunità statuale. Ripeterò con il Mastropasqua («Considerazioni sulle zone franche esistenti nel mondo», Rassegna di dirit­to e tecnica doganale, 1964, pag. 146): «Le zone fran­che finiscono per apportare un contributo non irrile­vante alla bilancia dei pa­gamenti dello Stato evi­tando di trasferire all’este­ro quella parte di valore che è stata aggiunta nel territorio nazionale (extra­doganale).
Nessuna norma dell’ordi­namento giuridico comuni­tario, statuale e regionale, dispone peraltro incompa­tibilità tra intervento del­lo Stato e la gestione della zona franca: la smentita definitiva viene poi dalla esperienza dei regimi di franchigia doganale operanti (o riconosciuti) in Valle d’Aosta, Alto Adige (rapporti con l’Austria fuori dal Mec), nella zona franca carsica di confine fra Italia e Jugoslavia, etc. nelle quali libertà doganale e solidarietà dello Stato si coniugano in piena armo­nia.
b) Far da sé: dall’affermazione critica di Barranu sembra non ci sia scampo: noi sardi dovremo sempre dipendere dall’e­sterno. Che significa per lui far da sé? Sembra di poter escludere che ci fac­cia carico di vocazioni autarchiche. Sarebbe una ipotesi abbastanza malin­conica per il pesante stra­volgimento dei principi in discussione e per il fiero colpo inferto alla dignità stessa del dibattito.
L’accusa del voler far da sé investe allora la vo­cazione autonomistica in campo economico implicita nella proposta sardista.
Accettiamo l’accusa. In politica come in economia siamo autonomisti: l’alter­nativa è la subalternità. La nostra lotta non porta però all’isolamento ma crea i necessari presuppo­sti di più ricche e feconde forme di collaborazione. Collabora chi esiste quale forza autonoma, chi è su­balterno si limita ad ese­guire. E noi respingiamo questa condizione e la cul­tura che ne è alla base con tutta l’energia di cui siamo capaci.
Terzo, la libertà dogana­le mette in crisi il debole apparato produttivo sardo esposto al confronto con le produzioni concorrenti.
Sarei curioso di sapere da quali fonti dottrinali o legislative Barranu trae un assunto così stravagante. Nei principi che discipli­nano la materia, così come nei regolamenti che gover­nano le zone franche esi­stenti nel mondo, non c’è traccia di tale pericolo. Vengono ammesse alla franchigia doganale quelle merci (materie prime, se­milavorati o prodotti finiti) che sono suscettibili di promuovere lo sviluppo e non già di affossarlo. Che significato avrebbe mai, se non quello di fare appro­priate scelte merceologiche, la speciale commissione per la gestione della zona franca prevista dall’artico­lo 25 del mio disegno di legge?
Quarto. Sostiene Barranu che con l’istituzione dei punti franchi si può intervenire con maggiore efficacia per favorire lo sviluppo delle zone emarginate. In questo senso, con altri colleghi comunisti, ha presen­tato al Consiglio regionale, ai sensi dell’art. 12 del no­stro Statuto, una proposta di legge nazionale.
A prescindere dalle mo­tivazioni con le quali noi assumiamo la validità della scelta regionale onde scongiurare il pericolo di compartimentare la Sardegna con limiti, barriere e sbarramenti di polizia volti a separare le popolazioni delle zone beneficate (i punti franchi) da quelle delle zone escluse, resta il fatto molto semplice che sulla base dell’art. 12 dello Statuto sardo si possono istituire solo porti franchi. Il limite è preciso quanto invalicabile: solo zone sul mare, con esclusione asso­luta di quelle geograficamente interne.
Tanto ciò è vero che mentre Barranu va propa­gandando a parole i punti franchi come strumento mirato a favorire lo svi­luppo di particolari zone interne, sia costiere che montane, in effetti sa che in base all’art. 12 questo non è possibile e quindi limita la sua proposta di legge nazionale 8.12.82. n. 13 a quattro porti sardi. Non si va né verso la montagna e neppure verso la collina. Dico di più: non si arriva nemmeno all’hin­terland dei porti indicati essendo i benefici della franchigia limitati all’area portuale ed alle pertinen­ze di questa. Davvero un bel risultato!
Quinto, la zona franca non è una panacea: infatti la Valle d’Aosta vi ha ri­nunziato pur avendone di­ritto in forza del suo sta­tuto.
Concedo a Barranu il beneficio dell’informazione inesatta. Il fatto è però del tutto inventato. È vero anzi il contrario. Il depu­tato Dujani (mio collega di gruppo) e il senatore Fosson — unici rappresen­tanti attuali della Valle d’Aosta si battono strenuamente per ampliare la loro zona franca e l’onorevole Craxi, nel discorso che concludeva il dibatti­to sulle dichiarazioni pro­grammatiche, riconoscendo la fondatezza della richie­sta, assicurava l’impegno del governo in tal senso (luglio 83).
Brevi considerazioni politiche conclusive. Barranu mi rimprovera di aver in­discriminatamente accusato i politici sardi — e quin­di anche i comunisti — di non essere classe dirigente. Debbo purtroppo confer­mare. Per assolvere al ruo­lo dirigente si devono possedere potestà decisionali autonome. Requisito essen­ziale, quindi: essere poli­ticamente autonomi. I co­munisti sardi, così come per altro democristiani, so­cialisti, socialdemocratici, liberali e così via, autono­mi non sono. Per loro scel­ta: accettando di militare in un partito che ha di­mensione statuale ne accet­tano automaticamente la logica che ne guida gli in­teressi non solo di cate­goria ma anche territoriali ed elettorali, la disciplina e le decisioni. E queste vengono assunte a Roma dagli organi centrali, al quali è riservato il ruolo e la responsabilità del diri­gere. Certo, i comunisti sardi (il discorso vale an­che per altre formazioni politiche) concorrono alla formazione di quelle deci­sioni con il peso della loro cultura, esperienza e, molti con sincera vocazione autonomistica. Ma tutto si ferma lì. Una volta assunta la decisione, non resta altra scelta che quella di eseguirla. E basta. In questo non c’è nulla di umiliante. Dipende esclusi­vamente da una libera scel­ta operata con l’accettare il partito italiano e la sua disciplina.
Queste cose le dico con molta serenità e rispetto. Il giudizio non investe le persone ma il modello di organizzazione politica e di formazione delle scelte. Posso fare queste afferma­zioni, come mi ricorda Bar­ranu, anche in virtù della personale esperienza che ho fatto da senatore eletto nell’alleanza elettorale con­clusa fra i partiti sardo e comunista nelle liste di quest’ultimo.
Ascrivo a mio onore quella esperienza, che ri­cordo con orgoglio e rispet­to per i colleghi comunisti dai quali sono sempre sta­to rispettato. Nessuno mi ha mai chiesto o imposto niente. Né poteva.
Sono un sardo autonomi­sta che milita in un partito autonomo. Barranu è un autonomista sardo che pe­rò soffre i limiti di una subordinazione che lui ac­cetta e noi no. Tutto qui.
Circa il discorso di pro­spettiva e di quadro poli­tico, tutti sanno qual è la nostra collocazione. Nessu­no però dimentichi che nel guardare al domani il no­stro obiettivo privilegiato è la Sardegna, il metro di misura l’ autonomia. Ma questo è un valore assoluto, indivisibile, che si rea­lizza nelle istituzioni, nell’ economia, nell’organizza­zione sociale, nella cultura.