Polemica sulla zona franca: il deputato sardista Mario Melis replica ad un recente intervento del comunista Barranu.
La replica di Benedetto Barranu sul tema zona franca ha il merito di aver riproposto all’attenzione dell’opinione pubblica sarda la centralità dell’argomento.
Attraverso il garbo della forma espositiva traspare dura e spigolosa la contrapposizione concettuale e politica dei comunisti alla proposta. Di questo è bene prendere atto avendo coscienza che la contrastano e la contrasteranno senza mezzi termini. Quali gli argomenti? Esaminiamoli partitamente.
Primo, la zona franca si affida ai meccanismi del mercato e ciò contrasta con la programmazione. È questa un’affermazione del tutto gratuita, ingenuamente ideologica, sostanzialmente inesatta. Si vuole tornare ai temi de paleo-marxismo, con argomenti ormai smessi dagli economisti e dagli stessi uomini di governi dei Paesi del socialismo reale – dall’Ungheria alla Cina, dove si sta organizzando (guarda caso) la zona franca di Canton.
Debbo riconoscere al mio cortese contraddittore che la programmazione ha un senso se l’obiettivo di questa è lo sviluppo e quindi la ripartizione della ricchezza? Ma prima bisogna produrla. E questo può fare, se correttamente gestita, la zona franca. Altrimenti ci si accontenta della politica di contributi e sussidi e si programma la economia dei postulanti e delle clientele di oggi.
Secondo, i benefici della libertà doganale prefigurano la rinunzia agli interventi straordinari dello Stato e all’apporto delle sue risorse per limitarsi al far da sé.
Questo argomento va respinto per due ordini di motivi:
a) perché non è vero: zona franca e solidarietà dello Stato non sono antitetici e neppure reciprocamente indifferenti ma operano ed interagiscono attivando meccanismi economici, sociali e politici capaci di realizzare, con l’interesse dell’area investita dalla franchigia doganale, quello più generale dell’intera comunità statuale. Ripeterò con il Mastropasqua («Considerazioni sulle zone franche esistenti nel mondo», Rassegna di diritto e tecnica doganale, 1964, pag. 146): «Le zone franche finiscono per apportare un contributo non irrilevante alla bilancia dei pagamenti dello Stato evitando di trasferire all’estero quella parte di valore che è stata aggiunta nel territorio nazionale (extradoganale).
Nessuna norma dell’ordinamento giuridico comunitario, statuale e regionale, dispone peraltro incompatibilità tra intervento dello Stato e la gestione della zona franca: la smentita definitiva viene poi dalla esperienza dei regimi di franchigia doganale operanti (o riconosciuti) in Valle d’Aosta, Alto Adige (rapporti con l’Austria fuori dal Mec), nella zona franca carsica di confine fra Italia e Jugoslavia, etc. nelle quali libertà doganale e solidarietà dello Stato si coniugano in piena armonia.
b) Far da sé: dall’affermazione critica di Barranu sembra non ci sia scampo: noi sardi dovremo sempre dipendere dall’esterno. Che significa per lui far da sé? Sembra di poter escludere che ci faccia carico di vocazioni autarchiche. Sarebbe una ipotesi abbastanza malinconica per il pesante stravolgimento dei principi in discussione e per il fiero colpo inferto alla dignità stessa del dibattito.
L’accusa del voler far da sé investe allora la vocazione autonomistica in campo economico implicita nella proposta sardista.
Accettiamo l’accusa. In politica come in economia siamo autonomisti: l’alternativa è la subalternità. La nostra lotta non porta però all’isolamento ma crea i necessari presupposti di più ricche e feconde forme di collaborazione. Collabora chi esiste quale forza autonoma, chi è subalterno si limita ad eseguire. E noi respingiamo questa condizione e la cultura che ne è alla base con tutta l’energia di cui siamo capaci.
Terzo, la libertà doganale mette in crisi il debole apparato produttivo sardo esposto al confronto con le produzioni concorrenti.
Sarei curioso di sapere da quali fonti dottrinali o legislative Barranu trae un assunto così stravagante. Nei principi che disciplinano la materia, così come nei regolamenti che governano le zone franche esistenti nel mondo, non c’è traccia di tale pericolo. Vengono ammesse alla franchigia doganale quelle merci (materie prime, semilavorati o prodotti finiti) che sono suscettibili di promuovere lo sviluppo e non già di affossarlo. Che significato avrebbe mai, se non quello di fare appropriate scelte merceologiche, la speciale commissione per la gestione della zona franca prevista dall’articolo 25 del mio disegno di legge?
Quarto. Sostiene Barranu che con l’istituzione dei punti franchi si può intervenire con maggiore efficacia per favorire lo sviluppo delle zone emarginate. In questo senso, con altri colleghi comunisti, ha presentato al Consiglio regionale, ai sensi dell’art. 12 del nostro Statuto, una proposta di legge nazionale.
A prescindere dalle motivazioni con le quali noi assumiamo la validità della scelta regionale onde scongiurare il pericolo di compartimentare la Sardegna con limiti, barriere e sbarramenti di polizia volti a separare le popolazioni delle zone beneficate (i punti franchi) da quelle delle zone escluse, resta il fatto molto semplice che sulla base dell’art. 12 dello Statuto sardo si possono istituire solo porti franchi. Il limite è preciso quanto invalicabile: solo zone sul mare, con esclusione assoluta di quelle geograficamente interne.
Tanto ciò è vero che mentre Barranu va propagandando a parole i punti franchi come strumento mirato a favorire lo sviluppo di particolari zone interne, sia costiere che montane, in effetti sa che in base all’art. 12 questo non è possibile e quindi limita la sua proposta di legge nazionale 8.12.82. n. 13 a quattro porti sardi. Non si va né verso la montagna e neppure verso la collina. Dico di più: non si arriva nemmeno all’hinterland dei porti indicati essendo i benefici della franchigia limitati all’area portuale ed alle pertinenze di questa. Davvero un bel risultato!
Quinto, la zona franca non è una panacea: infatti la Valle d’Aosta vi ha rinunziato pur avendone diritto in forza del suo statuto.
Concedo a Barranu il beneficio dell’informazione inesatta. Il fatto è però del tutto inventato. È vero anzi il contrario. Il deputato Dujani (mio collega di gruppo) e il senatore Fosson — unici rappresentanti attuali della Valle d’Aosta si battono strenuamente per ampliare la loro zona franca e l’onorevole Craxi, nel discorso che concludeva il dibattito sulle dichiarazioni programmatiche, riconoscendo la fondatezza della richiesta, assicurava l’impegno del governo in tal senso (luglio 83).
Brevi considerazioni politiche conclusive. Barranu mi rimprovera di aver indiscriminatamente accusato i politici sardi — e quindi anche i comunisti — di non essere classe dirigente. Debbo purtroppo confermare. Per assolvere al ruolo dirigente si devono possedere potestà decisionali autonome. Requisito essenziale, quindi: essere politicamente autonomi. I comunisti sardi, così come per altro democristiani, socialisti, socialdemocratici, liberali e così via, autonomi non sono. Per loro scelta: accettando di militare in un partito che ha dimensione statuale ne accettano automaticamente la logica che ne guida gli interessi non solo di categoria ma anche territoriali ed elettorali, la disciplina e le decisioni. E queste vengono assunte a Roma dagli organi centrali, al quali è riservato il ruolo e la responsabilità del dirigere. Certo, i comunisti sardi (il discorso vale anche per altre formazioni politiche) concorrono alla formazione di quelle decisioni con il peso della loro cultura, esperienza e, molti con sincera vocazione autonomistica. Ma tutto si ferma lì. Una volta assunta la decisione, non resta altra scelta che quella di eseguirla. E basta. In questo non c’è nulla di umiliante. Dipende esclusivamente da una libera scelta operata con l’accettare il partito italiano e la sua disciplina.
Queste cose le dico con molta serenità e rispetto. Il giudizio non investe le persone ma il modello di organizzazione politica e di formazione delle scelte. Posso fare queste affermazioni, come mi ricorda Barranu, anche in virtù della personale esperienza che ho fatto da senatore eletto nell’alleanza elettorale conclusa fra i partiti sardo e comunista nelle liste di quest’ultimo.
Ascrivo a mio onore quella esperienza, che ricordo con orgoglio e rispetto per i colleghi comunisti dai quali sono sempre stato rispettato. Nessuno mi ha mai chiesto o imposto niente. Né poteva.
Sono un sardo autonomista che milita in un partito autonomo. Barranu è un autonomista sardo che però soffre i limiti di una subordinazione che lui accetta e noi no. Tutto qui.
Circa il discorso di prospettiva e di quadro politico, tutti sanno qual è la nostra collocazione. Nessuno però dimentichi che nel guardare al domani il nostro obiettivo privilegiato è la Sardegna, il metro di misura l’ autonomia. Ma questo è un valore assoluto, indivisibile, che si realizza nelle istituzioni, nell’ economia, nell’organizzazione sociale, nella cultura.
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Zona franca: ipotesi e proposte che rifiutano “vecchie opposizioni”- La Nuova Sardegna – 1973
15 Ottobre 2024 by rocamadour
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