Aboliamo le squadre anti-incendio – La Nuova Sardegna – 7 agosto 1983

Un’intervista? Certo,ho tante cose da dire. E ho documenti che dimostrano che se il go­verno avesse rispettato gli im­pegni e la Regione avesse fatto per intero il proprio dovere gran parte della tragedia degli incendi si sarebbe potuta sicu­ramente evitare».
Il neo deputato sardista Ma­rio Melis è stato assessore alla difesa dell’Ambiente nell’anno e mezzo della giunta laica e di sinistra, sino al luglio 1982. Il suo primo atto da parlamenta­re è stato, una settimana fa, un’interpellanza-requisitoria rivolta ai ministri della Difesa e della Protezione civile.
— A quali documenti si ri­ferisce, onorevole Melis?
«Guardi qui. Questo è il pro­getto di spesa per l’acquisto di mezzi speciali da parte della Regione. È del marzo dell’an­no scorso. Non è stato fatto niente. Quest’altro è un docu­mento politicamente più im­portante e decisivo anche sul piano operativo: è la conven­zione speciale tra la Regione e la Protezione civile firmata più di un anno fa dall’allora mini­stro Zamberletti. Anche questa è rimasta lettera morta, total­mente inattuata».
— Iniziamo dal progetto re­gionale. Cosa prevedeva?
«Innanzitutto l’acquisto di dieci elicotteri. Ci volevano sette miliardi e mezzo in tutto. E l’intero progetto costava po­co più di dodici miliardi: la Regione avrebbe dovuto ac­quistare anche benne per lo sgancio del ritardante chimico, cinquanta autocisterne, campa­gnole, apparati radio. Con tut­to questo materiale le sei o sette basi antincendio sarebbe­ro state perfettamente attrez­zate».
— Ma forse si è preferito impiegare diversamente i fondi e chiedere i mezzi allo Stato. Per il 1983 la campa­gna antincendi ha avuto un finanziamento di nove mi­liardi.
«Sono troppi dodici miliardi? Per aver voluto risparmiare quella somma ci troviamo ora di fronte a danni di centinaia e centinaia di miliardi. E poi perché chiedere tutto allo Sta­to, anche quello che possiamo avere con i nostri mezzi? Sino a quando si dipende dagli altri si pagano gli scotti. È questo uno dei tanti aspetti della mancata autonomia. Potendo contare su elicotteri e auto­mezzi regionali, il piano ha, in partenza, una base più solida, più certa».
— Cosa prevedeva, invece, la convenzione con Zamberletti?
«Era l’impegno del governo, non del solo Zamberletti, di collaborare attivamente alla lotta agli incendi in concorso con la Regione. Il servizio do­veva durare dal 16 giugno al 15 ottobre: 120 giorni. Sareb­bero dovuti entrare in campo i mezzi necessari per allestire sei basi dislocate in tutta l’iso­la e per interventi straordinari ed eccezionali. Il ruolo dei mi­litari era essenziale, ma l’anno scorso il ministro della Difesa, Lagorio, inspiegabilmente non rispettò quest’impegno del go­verno. Ma si pensava che que­st’anno non si aspettasse il dramma degli incendi per or­ganizzare il tutto».
— Ma le basi sono state i­stituite. Gli aerei della peni­sola sono arrivati. Certo, ma quando però la tragedia si era già compiuta.
«Non c’è dubbio. Ma di basi ne hanno istituito cinque, una in meno. E con pochi mezzi. Nei giorni terribili che hanno i preceduto la tragedia di Tempio tutto l’apparato si è trovato ad operare con due o tre elicotteri.
Quando pensavamo a dieci elicotteri, non lo facem­mo a caso: il nostro piano pre­vedeva sette basi in modo che qualsiasi punto della Sardegna fosse raggiungibile in non più di dieci minuti. Il fuoco diven­ta pericoloso dopo 15-20 minuti, va quindi controllato subito. Dieci elicotteri avrebbero consentito, considerando le manutenzioni, di averne a di­sposizione sempre almeno set­te».
— Quest’anno, dicono al­l’assessorato e al centro ope­rativo regionale, quello che ha sorpreso è stata la con­temporaneità e l’ampiezza di tanti incendi. In più la sic­cità e il caldo afoso. La situa­zione era difficile da control­lare anche con più mezzi a disposizione.
«Bisogna dare atto, certo, che quest’anno la situazione am­bientale e le condizioni meteo­rologiche hanno fatto sì che per alcuni giorni qualche in­cendio fosse difficile da con­trollare. Ma la verità è che ci si è mossi costantemente in ri­tardo perché non c’erano gli e­licotteri e perché non arriva­vano i mezzi dal continente. Quanto alla contemporaneità e alla rilevanza degli incendi,  non è vero che sono fatti nuovi. Due anni fa ricordo che venivano segnalati, ai primi di agosto, più di cento incendi al giorno».
— Ma c’è chi parla, partendo proprio dall’eccezionalità degli incendi di quest’anno, di un piano eversivo, di un disegno criminoso. Lo ha detto anche il presidente della giunta Roich.
«Mi sembra che sia una fuga in avanti. E poi, tradizional­mente, tutti i delitti eversivi vengono rivendicati. Non cre­do neppure a quello che ha detto il ministro Fortuna, ripe­tendo luoghi comuni sbagliati e dimostrando così molta su­perficialità e assoluta non co­noscenza dei problemi. Fortu­na ha dato le colpe ai pastori e ai contadini per le loro prati­che tradizionali di pulizia dei terreni e dei pascoli. C’è anche questa componente tradiziona­le, non c’è dubbio, ma siamo di fronte a fatti ben più ampi che escludono questa ipotesi così semplicistica».
— Quali sono, allora, le cause degli incendi?
«Sono molteplici, difficilmen­te riconducibili a una sola ge­nesi. Chi ne sceglie una e ba­sta pecca di semplicismo o compie fughe in avanti. Delle pratiche colturali sbagliate di pastori e contadini ho già detto. Spesso si tratta, inoltre, di forme di protesta individuali, irrazionali e profondamente stupide e ingiuste, quali quelle del cacciatore che viene esclu­so da una riserva e che così brucia una zona che egli consi­dera del privilegio, dell’operaio non assunto nella forestale o nella squadra antincendi, del­l’affittuario scacciato dal terre­no o del proprietario che vuo­le scacciare l’affittuario. E non è escluso che qualche protesta vi sia contro il filo spinato e il cemento che privatizzano le coste. E non escludo la compo­nente maniacale del piromane: più incendi vi sono e più cre­sce la suggestione emulativa. E non dimentichiamo, infine, che in passato dipendenti delle squadra antincendio sono stati sorpresi ad appiccare il fuoco perché avevano paura di non essere riassunti per la man­canza di incendi».
— Cosa rimprovera mag­giormente alla giunta regio­nale?
«A parte il ritardo con cui ci si è mossi e le cose non fatte di cui abbiamo già parlato, la colpa principale mi sembra che sia il non aver esaltato il ruolo degli enti locali, che de­vono essere i veri protagonisti. Ed è stato un errore non aver sviluppato il discorso iniziato due anni fa — con le associazioni di categoria, le coope­rative di pastori e contadini, con gli ecologisti, con i giovani, con la Chiesa. Certo, anche con la Chiesa, così importante e influente nella società sarda. Sa quanto mi avevano aiutato i vescovi? La mobilitazione, in­vece, non c’è stata. E la gente scarica allora tutte le respon­sabilità d’intervento sulle squadre antincendio. Che se­condo me vanno abolite, non potenziate. Perché deresponsabilizzano le popolazioni e non hanno professionalità. Baste­rebbero, se ben impiegati, gli operai forestali e i dipendenti del corpo forestale. E bisogna anche approvare al più presto la legge sul corpo di vigilanza territoriale, che è bloccata da tanti anni mentre è urgentissi­ma».
— Nella sua interpellanza ha però detto che il vero re­sponsabile è il governo cen­trale.
«E lo ribadisco. È il governo ad avere le colpe maggiori, perché ha mandato i mezzi con grande ritardo senza ri­spettare gli impegni sottoscrit­ti da un suo ministro. Quando gli aerei sono arrivati la trage­dia era ormai avvenuta. Han­no dimostrato di essere in gra­do di fronteggiare benissimo il fuoco. È stato un ritardo, quin­di, ancora più colpevole».