Casa Comune per i sardi – La Nuova Sardegna – 19 gennaio 1995

L’irrompere sulla scena politica della Lega da un lato, di Berlusconi (associato al riaccendisi della vampata missina) dall’altro, non rappresentano novità attendibili e affidabili. Nascono entrambi da movimenti di generalizzata protesta contro il potere partitocratico. Mentre la Lega dà voce al malessere delle popolazioni del Nord convinte di sopportare il peso più alto del contributo finanziario e fiscale per lo Stato, e propone il secessionismo fiscale, definendolo impropriamente federalismo, Berlusconi si preoccupa soprattutto e sommamente di Berlusconi, dei suoi interessi economico-finanziari, che sono vasti e molteplici, dei suoi debiti, che sono altrettanto vasti e molteplici; mentre i sostenitori ne trasfigurano il ruolo e lo vedono vindice delle subite sconfitte e frustrazioni. L’uomo forte capace di ridare dignità allo Stato, lavoro agli emarginati trasparenza al potere. Ma né Berlusconi, né la Lega definiscono programmi e strumenti sui quali costruire questo futuro. Si rivelano, piuttosto agguerriti nel contendersi i nuovi spazi di potere scatenando risse funeste per l’occupazione di aree strategiche quali la Rai, le banche e quant’altro. Sono bastati sette mesi perché l’iniziale trionfo elettorale esplodesse in rissa che ha travolto il loro governo.
Noi sard per chi dovremmo parteggiare? Per l’imprenditore assetato di rivincita personale o per il secessionista fiscale preoccupato di mantenere la ricchezza nell’area privilegiata che la produce? Quanta saggezza nel contadino-pastore gallurese quando – come ci ricorda Bachisio Bandinu nel suo “Narciso in vacanza” – considerava: “Pa noi non va meddori sia chi vinca Carulu chintu o Enrico imperadori”.
È pura follia credere che dei nostri problemi si facciano carico gli altri. La politica è confronto, è scelta fra interessi contrapposti. I nostri, quelli dei sardi, o li difendiamo noi o non saranno difesi da alcun altro. Anzi, gli altri li utilizzano a loro favore, invadendoci con le loro produzioni, occupando i nostri posti, restringendo i nostri spazi e quindi mantenendoci in una condizione di marginalità assistita che a loro costerà meno dello sviluppo che, una volta affermato, diventa concorrenza che andrà a restringere i loro spazi. La storia ci insegna come la Sardegna ha clamorosamente fallito con i suoi politici che, spesso in buona fede, hanno creduto di salvarla operando all’interno dei partiti nazionali. In quei partiti vincono gli interessi che sono prevalenti nello Stato; non sono mai i nostri. Dal secolo scorso a oggi la pleiade delle figure prestigiose è significativa: Siotto Pintor, Musio, Giorgio Asproni, Francesco Cocco Ortu, Antonio Segni, Enrico Berlinguer, Francesco Cossiga; loro hanno volato sulle ali del successo sino ai vertici delle massime responsabilità dello Stato, ma la Sardegna ha continuato a perdere terreno rispetto alle regioni forti del Paese.
Allora il problema non si risolve parteggiando per Carlo V o per Enrico Imperatore. Anche ai nostri vicini così è accaduto lo stesso con Napoleone. Noi dobbiamo vincere con un ideale Giovanni Maria Angioi come i corsi con Pasquale Paoli.
Suscitiamo una grande mobilitazione di popolo che si costituisca in movimento politico capace di superare le vecchie antistoriche divisioni dando vita ad una federazione di tutte le forze che si ispirano ai valori primigeni di un sardismo aperto al vento impetuoso della storia. Un movimento che non si propone di rompere ma sollecita nuove e più credibili alleanze all’interno delle quali ciascuno resta se stesso, in un rapporto paritario con gli altri ai quali ci si lega non in virtù di condizionamenti politico-militari ma di solidarietà fervida, rispettosa e partecipe, capace di dar senso unitario alle diversità. Regionalizzando i partiti senza ovviamente rinnegare i valori ideali che li ispirano in Sardegna, in Italia e nel mondo, possiamo costituire, in nome del Comune Sardismo, una grande forza unitaria.