Melis: “ Non ho paura di quei franchi tiratori” – intervista di Filippo Peretti – La Nuova Sardegna – 13 agosto 1985

Presidente, la nascita della sua seconda giunta è stata turbata da sei franchi tiratori. È preoccupato?
«Non più di tanto, perché è un fatto fisiologico. Mi preoc­cuperebbe se fosse un’in­quietudine diffusa nei partiti della maggioranza. Ma ho l’impressione che alla base ci siano questioni soggettive. Non lo vedo come un fatto politico suscettibile di cam­biare quadro politico».
È subito iniziata la cac­cia ai dissidenti. C’è chi di­ce che ve ne siano anche nel gruppo sardista.
«Lo posso escludere nel modo più assoluto, ne ho la certezza».
Nel suo ufficio al primo piano del palazzo della Re­gione, in viale Trento, Mario Melis si appresta, a tre giorni dal voto di fiducia, a presie­dere la prima riunione del nuovo esecutivo, che, rispetto a quello che si è dimesso a metà luglio, vede la parteci­pazione di assessori, oltre che del PCIe del Psd’Az, anche del PSI e del PSDI e un tecni­co del PRI. Per la seduta i­naugurale si è dovuto trasfe­rire al quinto piano, agli Af­fari generali, perché in sala giunta gli operai stanno si­stemando il parquet.
«Che poteri ha il presidente!», dice scherzando: «Ho impiegato dieci mesi a far togliere quella vecchia e indecorosa moquette».
Restiamo al Psd’Az, che è stato accusato di aver rinunciato a inserire le proprie opzioni nel programma di governo. È cosi?
«No. Il programma della giunta è a grande tensione i sardista. Non si è rinunciato a nessuno dei propositi enunciati in quello precedente. La differenza è che stavolta li metteremo in cantiere subito».
Può fare un esempio?
«La zona franca: lo studio sarà affidato entro la prima quindicina di settembre. Giusto il tempo di sentire i sug­gerimenti dei partiti».
Il Psi ha riproposto l’urgenza dell’abolizione del voto segreto. Qual è il suo parere?
«Sono interessato a un problema di questa rilevanza perché il voto palese porta una moralizzazione nella vita pubblica. In Senato, dove da questo punto di vista ho fatto un’esperienza positiva, il voto palese è la regola».
Lei quindi condivide la richiesta del PSI?
«L’abolizione totale del voto segreto è difficile. Il suo uso va certamente limitato. Capisco però che la segretezza del voto in un sistema partitico come il nostro possa garantire di votare secondo i convincimenti personali. E non bisogna dimenticare a che il mandato parlamentare è senza vincolo. Ma si sono create tali involuzioni da far perdere prestigio alle istitu­zioni, con votazioni, o meglio imboscate, che nascondono più interessi privati che va­lutazioni politiche».
La nascita della sua se­conda giunta è stata prece­duta da una difficile tratta­tiva sull’assegnazione degli assessorati. Perché ha evi­tato di parteciparvi?
«Perché non credo al fatto che ci sono assessorati di se­rie A e di serie B. Sono tutti i di uguale rilevanza. Il successo di un assessore non di­pende dall’assessorato, ma dal suo impegno e dalle sue idee, dai problemi che fa emergere e dalle soluzioni che propone. Non mi interessa uno che ha una soluzione favorevole, ad esempio molti a soldi da spendere, ma non ha a proposte da fare. E credo che l’opinione pubblica la a pensi così: non vuole l’assessore che dice di sì a tutti, perché ha bisogno di guida, di serietà, di rigore logico».
Ora inizia la fase di at­tuazione del programma. Quale sarà la differenza rispetto alla prima giunta?
«Innanzitutto voglio ribadire che non è vero, come i qualcuno ci ha rimproverato, che la prima giunta non ha fatto niente. Abbiamo realiz­zato cose importanti e ci so­no subito disponibili mille miliardi. La differenza è che sin quando eravamo una giunta minoritaria non avevamo la certezza aprioristica del consenso in consiglio. E la situazione sarda è così grave che anche l’ordinaria amministrazione diventa drammatica. La mia preoccupazione è ora quella di passare alla fase operativa col consenso delle forze della coalizione. La giunta dovrà essere un elemento continuo di proposta politica. Anche con iniziative scomode».
Si riferisce al rapporto con lo Stato?
«A Roma abbiamo trovato  disponibilità nel potere politico, meno nella burocrazia. In ogni caso, se troviamo resistenze abbiamo il dovere di a scardinarle, senza guardare il colore politico. E sono sicuro che saranno altrettanto intransigenti anche gli assessori che fanno parte di partiti a che sono anche nel governo nazionale».
Quale sarà il rapporto con la DC?
«Vogliamo confrontarci, non scontrarci. La DC si è detta disponibile. Ora verificheremo in che misura. Noi cercheremo di fare la nostra  parte con il massimo di unità: perché se non siamo u­niti all’interno della maggioranza, sarà difficile convincere le opposizioni a collaborare».