Intervento a Congresso dell’Ulivo (?) – 1996

Cari amici, il saluto che ho l’onore di portare a questo Congresso insieme al sen. Franco Meloni ed all’on. Bonesu a nome del P.S.d’Az. è quello di un vecchio compagno di strada.
Insieme abbiamo percorso un lungo, travagliato ma esaltante cammino, dagli anni Venti ad oggi, nella difesa e per l’affermazione dei grandi valori di libertà e di giustizia sociale. In una parola di democrazia.
Ma questa sia per noi che per voi ha un solo significato: governo di popolo.
Il problema politico che ci poniamo alle soglie del 2000 è come arrivare ad un tale traguardo.
La risposta che noi diamo affonda le sue radici in ottant’anni della nostra storia, ma ha la forza vitale dell’attualità: federalismo.
No, non si può certo dire che in questa nostra visione vi sia trasformismo opportunista dell’ultim’ora, ma piuttosto la forza vigorosa e tenace di un convincimento politico che ha visto i nostri uomini difenderne i valori nelle galere fasciste come nella grande solitudine dell’emarginazione civile e dell’esilio e, né a noi, che ne abbiamo raccolto il messaggio, è congeniale il disquisire ipotizzando riforme a null’altro finalizzate,  di norma, che a conservare l’esistente.
Operiamo nella realtà del nostro tempo riconducendo i problemi nel grande alveo di un’autonomia di governo che si realizza nel quotidiano riappropriandoci di poteri e responsabilità che si legittimano nel consenso popolare.
In questo spirito abbiamo approvato, con la solidarietà delle sinistre sarde, l’esperienza di guidare la nostra autonomia fra le acque ostili di un centralismo burocratico non più in grado di mistificare gli interessi sempre più torbidi che si sono incrostati nelle strutture verticistiche dello Stato dietro lo scudo del patriottismo parolaio.
Ebbene amici congressisti, il Federalismo presidenziale, semipresidenziale, parlamentare o comunque lo si voglia definire, si realizza nei fatti con la partecipazione delle masse popolari organizzate nelle istituzioni rappresentative che sono in prima e privilegiata istanza i Comuni ma che trovano il loro più alto momento di sintesi nelle Regioni, entità territoriali ed umane capaci di esprimere l’insieme di interessi e valori sociali, economici e culturali di popolazioni che intorno a questi si raccolgono ed identificano. Ma i nemici del federalismo sono oggi fra di noi; sembrano parlare il nostro linguaggio mentre operano per distruggere alla radice anche le prospettive.
Il patto federale si stipula di norma fra stati, comunità nazionali, o entità territoriali ed umane, insediate in aree geografiche storicamente definite ed accomunate da interessi, cultura, tradizioni e, talvolta, lingua; valori che le caratterizzano diversificandosi o rendendole uniche ed irripetibili rispetto alle altre pur confinanti. In Germania prendono il nome di Landers, in Italia Regioni, in Svizzera Cantoni, in Nord America States. Il rilievo che assumono nella statualità federale dà vita al pluralismo istituzionale nel quale si articola la sovranità policentrica che dà significato politico e potere operativo alle autonomie dei governi federali, nel quotidiano confronto col potere federale che non delega i suoi poteri alla periferia ,ma è da questa delegato ad assolvere ad alcuni essenziali compiti d’interesse generale.
Parlare oggi di federalismo municipale, appellandosi alla tradizione comunale italiana, a parte l’errore storico di ritenere che i Comuni del Risorgimento esaurissero la loro sovranità entro mura cittadine e non la estendessero su territori e popolazioni di vastità confrontabile a quella delle odierne Regioni, per cui potremmo definirli Comuni regionali o Capitali delle regioni su cui esercitavano il loro potere. Resta il fatto che il patto federale prevede l’assunzione da parte delle istituzioni federate di un potere legislativo su gran parte delle materie ancor oggi riservate al potere centrale. È impensabile conferire un tale potere alla miriade dei Comuni che danno oggi respiro e dinamismo vitale alla civiltà democratica italiana senza precipitarla nel campanilismo più caotico e dispersivo, né è neppure ipotizzabile riservare tale potere ai grandi Comuni senza creare tensioni e contrasti fra Comuni medesimi. Una tesi siffatta ricorda la politica praticata da chi, volendo conservare intatto il proprio potere, conta sulle divisioni dei sudditi. Quel che i romani definivano divide et impera.
A dare certezza e continuità operativa alle istituzioni federali è pacificamente riconosciuta l’energia di coinvolgere le regioni nelle grandi scelte legislative e programmatiche del potere federale, dando vita nel Parlamento ad una Camera paritetica rappresentativa dei poteri regionali ed ad una Corte Costituzionale eletta, quantomeno per quanto attiene ai giudizi sui conflitti di competenza fra potere federale e poteri federati, o anche di una singola regione, ad una Corte costituita da giudici eletti in egual numero dal potere centrale e dalle regioni.
Vi chiediamo, cari congressisti, di difendere questi valori che sono spazi esistenziali di libertà, di sconfiggere chi vorrebbe appiattire le diversità cancellando gli statuti speciali che rispondono ad esigenze molto specifiche e peculiari sedimentate nella storia e vive nel cuore dei cittadini.
Difendete le autonomie ancor oggi oppresse da un ginepraio di controlli che infrenano il dinamismo creativo e presumono di sostituire i vice prefetti che affollano gli uffici ministeriali al potere dei Consigli e Governi regionali che rappresentano il popolo dal quale sono eletti.
Dentro il federalismo vibra la luce della libertà che non è spazio vuoto dispersivamente indefinito, ma forza creativa di responsabilità e solidarietà. In questo spirito esprimiamo l’auspicio che la nuova forza politica che dovrà ridare slancio alla sinistra italiana trovi nelle realtà territoriali del Paese la legittimazione del potere e nel loro consenso il necessario mandato al governo dello Stato. Consenso che, ne sono certo, troverà sede per esprimersi nelle istituzioni centrali con la paritetica partecipazione regionale.
Solo così potremo entrare in Europa portandovi tutta la ricchezza delle culture, capacità creative, fantasia e poesia delle diversità divenute finalmente la grande e vigorosa forza della ritrovata unità. I vecchi sardisti si salutavano con un’espressione usata in guerra fra i soldati della “Sassari”. In italiano si direbbe: avanti insieme. Lo dicevano in sardo “Forza paris”, e così vi saluto.