Cagliari — Il dibattito sulla zona franca in Sardegna si è improvvisamente riacceso. Tre settimane fa il gruppo comunista al Consiglio regionale ha presentato una proposta di legge nazionale per l’istituzione nell’isola dei punti franchi. È di pochi giorni fa, inoltre, la notizia dell’iniziativa del Cis, Confindustria e Camera di commercio di Cagliari che hanno costituito un comitato promotore che ha come obiettivo un nuovo regime doganale: un comitato scientifico, già al lavoro, dirà tra cinque o sei mesi se è preferibile la zona franca regionale o sono più efficaci i punti franchi e predisporrà un nuovo disegno di legge.
Il Parlamento, che ha competenza in materia, ha già preso in esame una proposta legislativa, quella presentata dal sardista Mario Melis al Senato il 21 settembre 1978. Il testo venne approvato all’unanimità dalla commissione interparlamentare per il Mezzogiorno, ma la fine anticipata della legislatura nel 1979 bloccò l’iniziativa. Lo stesso testo venne poi ripresentato alla Camera dai deputati democristiani Raffaele Garzia e Felicetto Contu e in Consiglio regionale dallo stesso Mario Melis assieme ai compagni sardisti Carlo Sanna e Nino Piretta. Ne parliamo con Mario Melis.
«Il disegno di legge sulla zona franca — dice l’esponente del Psd’Az — risponde a un’esigenza politica di fondo, quella di dare contenuti concreti all’autonomia regionale. È inutile dire che l’autonomia vede i sardi protagonisti: lo possono essere solo disponendo dei mezzi finanziari e del governo dell’economia. E il governo dell’economia è possibile soltanto se la Regione dispone di uno strumento per orientare o stimolare le attività produttive e l’occupazione con nuovi investimenti».
Nel suo testo si parla anche di un aspetto commerciale.
«Certo, la zona franca non è solo uno strumento per dare contenuti reali all’autonomia, ma dà anche impulso ai commerci, diventa una forza di attrazione verso la Sardegna delle correnti di traffico non solo mediterraneo. Per cui la Sardegna, da mercato marginale ed emarginato e quindi subalterno, diventerebbe un grande mercato intercontinentale. Ecco perché, pur non diventando un soggetto di diritto internazionale, la Sardegna con la zona franca sarebbe in contatto con culture, civiltà e sistemi politici diversi e di conseguenza essa crescerebbe nel contesto umano».
Quale tipo di economia vi sarebbe con la zona franca?
«Intanto va subito precisato che la mia proposta non prevede un’estensione di franchigia indiscriminata per industria, commercio e consumo, perché tutto questo va governato da una commissione permanente che deve tener conto delle vocazioni produttive e della necessità di trasformare la Sardegna non in elemento si scontro con altre economie del mercato comune, ma in strumento del mercato comune, quindi un punto di raccordo tra l’economia occidentale europea e il resto del mondo, come avviene per Amburgo, Rotterdam, Anversa sempre in Europa, e per altre grandi aree di impulso e sviluppo economico che assolvono a questo stesso ruolo in altre parti del mondo».
Presentando la sua legge parlò di Sardegna come punto d’incontro tra l’Europa e l’Africa settentrionale e il Medio Oriente.
«Vedo la zona franca come la soluzione ideale per i commerci transoceanici dell’Europa e del bacino mediterraneo, cioè come un terminal della navigazione transoceanica. Le grandi navi non possono fare il giro di tutti porti, hanno bisogno di scaricare caricare o ripartire subito. La Sardegna può diventare il punto di raccolta e di irraggiamento. Per fare ciò la Sardegna, data la sua posizione centrale nel Mediterraneo, avrebbe maggiori possibilità di esser scelta offrendo benefici doganali: se le merci da smistare dovessero essere sdoganate, non ci sarebbe più alcuna convenienza economica. E la zona franca si presta anche allo stoccaggio».
Perché, secondo voi, il Parlamento dovrebbe accettare la proposta? La crisi è presente anche nel resto del Meridione. E sufficiente la specialità della Regione?
«Non so sia sufficiente. So però che il governo commetterebbe un gravissimo errore e non accettare questa nostra legittima richiesta. Per altre regioni meridionali, data la continuità territoriale col resto del continente, è possibile risolvere i problemi economici e del sottosviluppo intensificando i traffici con una viabilità moderna. Per la Sardegna, data la sua insularità, questi problemi devono essere risolti in maniera originale.»
È allora un problema solo economico o anche politico?
«Non è solo un problema economico e il governo, non accettando la proposta, commetterebbe un errore gravissimo perché la zona franca serve per far emergere la nostra specialità. Siamo una realtà diversa, per cultura ed etnia, dobbiamo trovare il modo di esser nel contempo sardi e italiani. Se ci viene negata questa possibilità siamo spinti a trovare elementi di contrasto e di rottura. »
Qual è il suo giudizio sui punti franchi?
«Sono un errore catastrofico, servono a dividere i sardi. Non posso giudicare la legge presentata dal Pc non conoscendola ancora nel dettagli, ma sì che i punti franchi sono una minaccia micidiale all’unità dei sardi perché si traducono in un particolare favore per i centri messi in franchigia doganale, dove si svilupperebbero le attività produttive assorbendo la forza lavoro delle zone interne, nelle quali si avvierebbe un processo di desertificazione. I punti franchi sono poli di sviluppo con il deserto intorno. Ma perché, dico io, creare tanti problemi quando siamo appena un milione e mezzo di abitanti, cioè meno di una grande città?»
Ma si sostiene che la zona franca regionale offre ancora meno garanzie per le zone interne, in quanto la forze spontanee del mercato sceglierebbero solo le aree migliori e sarebbe impossibile qualsiasi intervento di sostegno per le zone più svantaggiate.
«Non è affatto vero. Perché se non si creano le condizioni dello sviluppo economico, così come si diserta la zona franca così si disertano i punti franchi più svantaggiati per scegliere i migliori. Se è vero che i porti sono le aree franche d’elezione, gli operatori si metterebbero lì disertando le zone interne. Il che non è vero. In Austria alcune zone franche hanno determinato uno sviluppo, impossibile secondo la visione di alcuni, perché lontano dalle grandi città e dal mare. Una zona è passata da zero a ottomila occupati con la creazione di ottocento fabbriche in pochi anni».
La proposta comunista vi trova quindi nettamente contrari.
«Ma cosa sarebbe la Sardegna con i punti franchi? Ogni area avrebbe la linea doganale vigilata da grandi forze di polizia per non far passare la merci in regime di esenzione fiscale. Ci sarebbero il contrabbando all’interno della Sardegna».
Se la Regione non è in grado di vincere la battaglia con lo Stato sul titolo terzo dello statuto, cioè l’autonomia finanziaria, o sulla continuità territoriale, non è un’utopia pensare alla zona franca?
«La Sardegna deve smetterla con tutti questi problemi assistenziali, perché tanto non la spunta. Dobbiamo riuscire a crearci strutture autonome. Siamo sconfitti perché chiediamo assistenza. Se i sardi saranno uniti…».
Se i sardi saranno uniti?
«Certo è che tutto diventa più difficile se grandi partiti come il Pci o come la Dc, che non si è ancora pronunciata ufficialmente, non appoggiano la nostra proposta o ci contrastano. Ma l’opinione pubblica si sta orientando. Una volta che il popolo sardo sarà unito non c’è forza che ci possa contrastare, altrimenti dobbiamo sancire il principio che le minoranze hanno sempre torto. Il che non è vero, le minoranze vincono se si sostengono cose giuste».
I vostri oppositori dicono che raccogliete consensi perché proponete la zona franca anche al consumo: la gente spera così di pagare meno la benzina, le sigarette…
«Non è per questi motivi. L’associazione degli industriali non è fatta di consumatori ma di produttori. Gli emigrati che nelle loro assemblee hanno ripetutamente chiesto che il Consiglio regionale assuma la zona franca come primo punto della sua politica, non lo fanno per risparmiare qualcosa quando vengono in Sardegna in vacanza, ma perché la zona franca è per loro l’unica prospettiva di ritorno. Non proponiamo la zona franca per la benzina o le sigarette, ma per dare finalmente in mano ai sardi uno strumento di sviluppo».
Riprenderete la battaglia cercando consensi tra le altre forze politiche?
«Certo, anche se bisogna stare attenti ai facili consensi, che tendono ad addormentare la lotta, così come è successo per l’autonomia. Il Psd’Az, che non ha condizionamenti a Roma, riproporrà con forza la sua iniziativa».
La zona franca come riscatto della Sardegna intervista di Filippo Peretti – La Nuova Sardegna – 28 novembre 1982
2 Maggio 2024 by