È del tutto evidente che la coalizione del centrosinistra e sardista è stata sconfitta – salvo l’area nuorese – per aver condotto male la sua battaglia. In effetti – nel dire le cose nella loro arida realtà – sull’impegno della coalizione ha prevalso la battaglia che ciascun partito ha condotto nell’intento di piazzare in consiglio comunale e provinciale il più alto numero di propri consiglieri, abbandonando al loro destino i candidati capolista.
Rinunziando, com’è avvenuto a Sassari, all’alleanza di Anna Sanna e di Rifondazione si è rimasti imprigionati nella logica degli interessi dei singoli partiti, formalmente coalizzati, confidando che comunque i voti di diessini e comunisti di Anna Sanna e di Rifondazione sarebbero comunque arrivati senza bisogno di riconoscere loro diritto di rappresentanza.
Ed in parte il ragionamento è risultato valido, ma solo in parte. Tant’è che dal 38% s’è passati quasi al 47%, ma non è stato sufficiente Ed era prevedibile.
Una parte dei respinti s’è chiuso nella solitudine del non voto senza escludere che i più deboli abbiano votato contro: per l’avversario.
Sacrificare uomini come Pietrino Soddu e Marras è una responsabilità che va ben oltre il livello provinciale, sia per il prestigio ed il valore della loro personalità, ma per il significato che acquista nella politica regionale.
Per Cagliari è diverso. La differenza fra i due schieramenti non è poi rilevante e può spiegarsi (a parte il valore delle personalità a confronto e sulle quali mi guardo bene dal pronunziarmi non conoscendo il dott. Balletto cui va comunque il mio rispetto) con il maggior dispendio di propagandistico della destra e personali delusioni di militanti di sinistra, rimasti esclusi o addirittura passati in campo avverso.
A Nuoro la coalizione s’è aggiudicato alla grande il Comune e nettamente l’Amministrazione Provinciale.
I partiti hanno lavorato più intensamente, esaltando le rispettive potenzialità, ma con azione comune e senza respingere apporti essenziali che pure non erano presenti alla prima tornata elettorale. Ciò non significa che l’aumento dei voti sul ballottaggio vada ad esclusivo merito dei nuovi alleati ma questi, unendosi alla coalizione, hanno indubbiamente diffuso maggior sicurezza nel gruppo originario oltreché portare un certo numero di voti in più forse determinanti per la vittoria.
E la lezione ? Ecco il punto.
Chi sono gli avversari? In Sardegna Forza Italia. In Italia, oltre Forza Italia la Lega. Sono movimenti radicati nella coscienza di vaste masse popolari profondamente deluse dalla politica e si rifugiano nel voto di protesta emblematicamente individuate in due figure carismatiche: Silvio Berlusconi ed Umberto Bossi.
Questi operano e decidono quali padroni dei rispettivi movimenti di cui sono a capo. Stipulano accordi, li rompono, li ricostruiscono agendo in solitudine senza convocare organi collegiali dirigenti che, se pur formalmente esistenti, si limitano a prendere atto delle decisioni che non possono che definirsi padronali.
E la gente li segue senza discutere né chiedersi per quali ragioni si fanno alleanze, si sciolgono o si ricostituiscono dopo male parole e crisi politiche. Non li unisce un ideale, un programma, un qualsivoglia comune traguardo. La Lega da separatista diventa unionista ed a Teano fa qualche sghignazzo anche meridionalista.
Forza Italia passa dal maggioritario al proporzionale, dall’Italia unita al è nordismo padano senza imbarazzo né discussione. Lo ha deciso Berlusconi tanto basta.
Ebbene in Sardegna le forze politiche sono state sconfitte da questo pastone che ne sintetizza lo scontento diffuso, ha detto no ad un partitismo che ha fatto il suo tempo e s’è invecchiato diventando decrepito.
Del crescente logorio del partitismo in Sardegna avevo colto i segni premonitori fra i militanti del mio partito. Avvertivo inquietudini e tensioni logoranti non motivate da alcuna contrapposizione ideologica, ma piuttosto dal formarsi di gruppi ed aggregazioni attorno ad alcune persone, prevalentemente consiglieri regionali, sempre più polemicamente aggressivi nel corso di convegni e dibattiti che avevano per tema il nulla e si svolgevano nel nulla più devastante. Nessun riferimento ad obiettivi o strategie politiche ma accuse a persone ed a gruppi in un crescendo sempre più aspro e conflittuale incompatibile con dialettiche e confronti di opinioni. Io stesso ho costituito oggetto di questi attacchi tanto che, pur continuando la militanza, ho dovuto prendere atto dell’emarginazione decisa nei miei confronti dagli organizzatori o gruppi e gruppetti che molti anni fa definii protagonisti di guerra per bande.
Insomma era in atto una guerra forsennata per il potere e che disponeva della solidarietà di gruppi di tesserati organizzati, con opportune ancorché temporanee alleanze, prevaleva e gestiva il partito. In un clima siffatto s’è dissolta la sua forza costituita in larghissima misura da simpatizzanti.
Come siano andate le cose è sotto gli occhi di tutti. Gli eletti sono andati calando sino a ridursi a tre, uno dei quali, sin dalla prima seduta del Consiglio, s’è contrapposto agli altri due votando contro la giunta nella quale era proposto un assessore sardista ed a favore di altra della quale i sardisti non fanno parte.
Negli altri partiti le cose non sono certo andate meglio. Ne sa qualcosa il Presidente Palomba ed i Sardi che l’hanno visto operare nel vespaio di quotidiani scontri che di politicamente creativo avevano ben poco.
Nella legislatura in corso il fenomeno di eletti in un partito, passati senza plausibile ragione in campo avverso, ha costituito una novità sconvolgente.
D’altra parte gli esempi ben più clamorosi vengono dal Parlamento nazionale ove oltre cento deputati hanno cambiato più volte gruppo abbandonando il partito del quale erano candidati.
Questo marasma denunzia una grave crisi politica e quindi dello Stato. Crisi che penalizza ovviamente le Regioni e le fasce sociali più deboli.
Di questo si è ben consapevoli in Sardegna che da oltre ottant’anni lotta per godere di una sovranità propria a spese di uno Stato federale che dovrà cedere altra cospicua sfera di sovranità alla Comunità Europea di cui si auspica la costituzione in Stato federale fondato prevalentemente sui poteri regionali.
L’esperienza di mezzo secolo di governo autonomista ha dimostrato, pur fra tante luci, le pesanti ombre di un’autonomia comprimibile dalle politiche oppressive di governi burocratici arroccati nelle istituzioni centralistiche dello Stato Albertino di concezione Bonapartista. L’intero apparato periferico del centralismo ormai pietrificato è rimasto in piedi ed opera in concorrenza e spesso in conflitto con la Regione.
La crisi dei partiti ha fatto il resto.
Credo sia giunto il momento di prendere atto dell’invecchiamento dei vecchi strumenti di lotta democratica per dar vita a forme più dinamiche capaci di conservare identità e valori ideali delle diverse correnti di pensiero presenti nell’Isola, facendone nel contempo protagoniste di una forte unità sui temi fondamentali dell’autonomia istituzionale, degli strumenti, regole e procedure di esercizio e difesa degli interessi fondamentali dei Sardi nella corretta competizione all’interno dello Stato, ma soprattutto nella più vasta cornice mediterranea ed europea.
Premessa di tutto ciò è il Sardismo che palpita nel cuore di tutti i Sardi e di tanti non Sardi che vivono nella nostra isola e sono penalizzati nel loro quotidiano operare istituzionale, imprenditoriale, come nell’esercizio dei più elementari diritti all’occupazione ed alla dignità personale.
Senza quindi rinnegare i valori ideali che danno luce ed alimento morale al quotidiano impegno di quanti vivono ed amano la Sardegna ed i Sardi, dobbiamo trovare modo di dare voce unitaria al sardismo diffuso.
Questa è la vera forza della Sardegna. Questo il lievito che da palpito a speranza di futuro.
Non possiamo sperperarlo litigando fra di noi. Lo fanno i topi quando sono prigionieri di uno spazio chiuso ma noi siamo uomini e lottiamo per aprire nuovi orizzonti.
Diceva, agli inizi di questo secolo Attilio Deffenu, ai parlamentari sardi: “siate pure monarchici o repubblicani, socialisti o liberali, clericali o laici, ma prima di tutto sardi”.
Una lezione che nel 1919 i combattenti e nel 1921 i sardisti hanno colto nei suoi significati più alti, ma oggi ci accorgiamo che il partitismo ha subito un processo involutivo.
Una lezione preziosa da leggere con attenzione – Attilio Deffenu: “…ma prima di tutto Sardi”- Nuoro – 2 maggio 2000
24 Aprile 2024 by