La democrazia italiana attraversa una fase di precarietà che ha tutte le caratteristiche della crisi istituzionale. Il quadro non è incoraggiante; inaffidabile il Parlamento; squalificato da una folla di eletti per lo più sconosciuti, preoccupati soprattutto della propria sopravvivenza politica tanto che oltre 200 hanno cambiato gruppo rispetto al partito che li ha eletti; insicuro il Governo la cui maggioranza ne mette in discussione la leadership e cerca un candidato sicuro per le prossime elezioni; incerta la legge con la quale rinnovare, fra circa un anno, l’attuale classe dirigente.
Quali le cause? Secondo il parere prevalente all’origine di tutto ciò sta la crisi che ha travolto i partiti, cancellandone alcuni, costringendone altri a cambiare non solo nome e simboli ma anche patrimonio ideologico e traguardi politici, sociali ed economici; altri si sono disgregati in piccoli gruppi, definiti sprezzantemente – per la loro modestia numerica – “cespugli” impegnati a combattersi con tutte le armi della reciproca diffamazione mentre, in sotterraneo, trattano possibili alleanze e concentrazioni e visto che son cespugli, sperano nel vecchio sottobosco D.C.
Ma perché i partiti sono stati investiti ed in larga misura cancellati da una crisi così devastante?
La maggioranza degli opinionisti politici ne individua la causa nella verminaia di corruzione e corrotti scoperta da tangentopoli.
V’è certamente del vero in tutto ciò. Ma è mia convinzione che tanto la crisi dei partiti come tangentopoli siano conseguenze e non cause della crisi dello Stato.
Essa va ricercata proprio nell’organizzazione di questo; nell’articolazione del potere d’imperio che gli è proprio, nel ginepraio istituzionale che costituisce semplice paravento all’operare dei veri detentori del potere.
Lo Stato centralista avoca al suo vertice tutti i più rilevanti poteri decisionali la cui esecuzione è affidata alla fitta rete organizzativa sottoposta esclusivamente alle sue direttive: Prefetti, Intendenti di finanza, Provveditori agli studi, Procuratori del registro, Capitanerie di porto e così continuando nella miriade di enti statali e parastatali deputati a compiti limitati ma specifici. Ciò ha consentito ai vertici dei partiti di spogliare Parlamento e Governo dei loro poteri istituzionali per trasformarli in semplici organi di trasmissione ed esecuzione di decisioni concordate fra le rispettive direzioni.
Questo è avvenuto per anni al di fuori di ogni controllo democratico e in manifesta emarginazione dei cittadini che, votando un candidato anziché un altro, compiva di fatto una scelta del tutto ininfluente visto che poi l’eletto non aveva alcun potere di contribuire alle decisioni sperate e promesse in campagna elettorale.
Capi e burocrazie di partito, nel segreto dei loro uffici, hanno fatto uso scorretto e addirittura criminoso del potere illegittimamente gestito, raggiungendo intese trasversali a tutto danno della collettività nazionale. Il detto “l’occasione fa l’uomo ladro” se non è vero per santi e galantuomini, è invece certo per larga parte di quanti si trovino nella condizione della sicura impunità.
Quando la collettività viene esclusa da qualsivoglia possibilità di conoscenza della natura, rilevanza, connessioni e quant’altro di un determinato problema, si annienta il principio più elementare di democrazia instaurando un vero e proprio regime partitico malato e congeniale allo Stato centralista.
Il regionalismo italiano è stato fino ad oggi più apparente che reale. Nato vecchio e più che debole sconfitto in partenza. Infatti la vecchia struttura del potere statale non ha subito alcuna riforma. Sono rimasti al loro posto, con i relativi poteri, Prefetti, Questori, Intendenti, Provveditori e quant’altro. Le regioni sono state semplicemente aggiunte, riservando loro competenze minori e comunque di fatto contestabili e paralizzabili in qualunque momento dal potere centrale dello Stato.
Non solo ma è stato loro imposto di adeguarsi alle procedure praticate dalla burocrazia statale quali leggi di bilancio, lavori pubblici ed altro, vecchie di un secolo.
Il problema attuale è quindi quello di cui tutti parlano ma di cui non si profila all’orizzonte neppure lo schema di progetto: la rifondazione (non riforma) dello Stato su base federale.
Tutti i poteri sono del popolo (un tempo si diceva: sovranità popolare) e questo lo esercita attraverso la prima istituzione naturale che è il Comune, delegando alla Regione compiti legislativi, programmatori, di coordinamento e – nell’inerzia dell’ente locale – la sollecitazione e quindi il potere sostitutivo. Nessuna gestione spetta all’istituzione regionale se non, eccezionalmente, quella che, superando la competenza del singolo Comune o di loro Consorzi (ed, eventualmente, dell’ente intermedio, Provincia), investa interessi di ampiezza regionale.
Ancor minori competenze, seppur rilevanti residuano al potere centrale: difesa del territorio dello Stato; rappresentanza internazionale, politica monetaria, principi generali in materia di giustizia e di diritti fondamentali quali sanità, istruzione, esercizi delle attività costituzionalmente garantite.
Quando si parla di sanità ed istruzione non voglio significare che questi compiti sono di competenza del potere centrale, ma solo che questo deve intervenire per garantire a tutti i cittadini dello Stato eguale trattamento ove si accerti che una determinata Regione non sia in grado, quantomeno in parte, di farlo.
Lo Stato deve a sua volta sbaraccare tutte le strutture periferiche del potere centrale, affidando alle regioni ed agli enti locali, l’esecuzione delle direttive rimaste nella sua competenza.
Il potere legislativo centrale deve essere organizzato su base bicamerale di cui un ramo eletto dai cittadini e quindi costituito da rappresentanti eletti in proporzione al numero dei votanti, mentre una seconda camera sarà costituita da parlamentari pariteticamente eletti in numero di due da ciascuna Regione.
La Corte Costituzionale infine, limitatamente ai conflitti di competenza fra potere federale e Regioni federate, sarà costituita da giudici eletti in numero eguale da ciascuna delle due Camere.
Ovviamente le Regioni sono fra loro legate da un fecondo vincolo di solidarietà garantito, secondo precise norme costituzionali, dall’intervento del potere centrale che opera come momento di guida e coordinamento della comunità federale.
Ed i partiti? avranno il compito essenziale ad ogni democrazia. Dare voci alle correnti di opinione pubblica, maggioritarie e minoritarie sui temi che interessano la collettività, dimenticando gerarchie, poteri e radiazione e quant’altro evoca immagini di superiori ed inferiori tipici di subordinazione da caserma. Sistemi di elezioni primarie consentiranno la scelta dei candidati come dei responsabili delle istituzioni elettive.
Tutti i cittadini hanno diritto di proporsi. Sta al popolo decidere.
La libertà non ha confini se non il rispetto dell’altrui libertà.
Preparazione al XXVIII Congresso del P.S.d’Az – Nuoro – 19 maggio 2000
17 Aprile 2024 by