La situazione politica sarda è descritta dagli opinionisti disastrata e preoccupante. Credo però che siamo ben oltre; la situazione è desolante.
Il vocabolario politico non dispone infatti di espressioni capaci di valutazioni positive e critiche per certi comportamenti perché questi sono ormai del tutto estranei alla politica.
Che dire dell’iniziativa auto pubblicitaria del Presidente del Consiglio che, dopo aver trascinato nel fango l’immagine di nobile autorità dell’istituzione che rappresenta ed aver contribuito con il suo voto determinante al drammatico protrarsi della crisi di governo, minaccia lo scioglimento del Consiglio guardandosi bene, non so se per calcolo od ignoranza, dall’unica; prassi che in materia non ha autorità alcuna, salvo quella di controfirmare il provvedimento del Governo.
L’iniziativa dello scioglimento del Consiglio regionale sardo, in tutti i casi previsti dall’art. 51 del nostro Statuto, spetta istituzionalmente solo al Consiglio dei Ministri. Iniziativa che si conclude con una formale deliberazione che il Capo dello Stato può solo recepire ma non sostituire.
Se il Presidente del Consiglio volesse davvero porsi il problema dello scioglimento non a Ciampi deve chiedere o proporre alcunché, ma al Presidente del Consiglio dei Ministri. Va per altro rilevato che anche il Consiglio del Ministri, per assumere la deliberazione di scioglimento, deve preventivamente chiedere il parere della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Ed allora perché? Perché chiedere un colloquio a Ciampi e sottoporgli la valutazione sul possibile scioglimento del Consiglio, pur sapendo che l’iniziativa in proposito spetta al Consiglio dei Ministri?
La risposta è molto semplice: proprio per questo. Perché sa che in questo contesto il Presidente Ciampi non potrà disporre nessuno scioglimento ma, in compenso, avrà offerto all’operazione, in sé truffaldina, un palcoscenico di grande clamore pubblicitario.
In breve: dinanzi alla Sardegna messa in ginocchio dall’assurda crisi di governo che egli stesso ha contribuito ad aggravare, pensa di vestirsi dei panni del Vindice del popolo proponendo lo scioglimento del Consiglio a chi sa che, di sua iniziativa, non può disporlo e neppure proporlo; che dico: proporlo? neppure esprimere in proposito un parere che, pur non vincolante, spetta esclusivamente alla Commissione parlamentare per le questioni regionali. Al Capo dello Stato spetta, come per altro per quanto attiene al potere legislativo, approvare o rifiutare la sua firma alla proposte del Governo o del Parlamento ma non sostituirsi ad essi.
Ed allora ci risparmi il viaggio e smetta di stordire la gente con minacce e fantomatiche iniziative finalizzate solo ad ingannare gli altri in ordine al proprio operato.
O forse crede il Presidente di far passare in seconda linea, come dire? far calare un velo pietoso alla torbida, avvilente pagina offerta con il voto espresso contro la Giunta proposta dall’on. Selis? Il fatto rientra nella normalità di comportamento, se riferito all’orizzonte politico-culturale dell’attuale personaggio che presiede (sarebbe meglio dire: siede) il Consiglio, ma offende la dignità dell’istituzione l’intero popolo sardo che rappresentava.
Il fatto, nella mia esperienza di politico passato attraverso i difficili ed avvincenti confronti del Consiglio comunale, provinciale e regionale ed arricchitosi nelle esaltanti battaglie parlamentari di Camera, Senato e consesso europeo, costituisce una violenza comparabile solo alla turlupinazione delle rapine consumate a danno di una vittima che, scambiando il rapinatore per il suo tutore, si pone sotto la sua protezione.
La figura del Presidente dell’Assemblea regionale, come di qualsivoglia istituzione parlamentare italiana, è concepita in funzione di garanzia di tutte le componenti che vi sono rappresentate. Non può parteggiare per alcuna di esse, né far proprie tesi od antitesi sottoposte al voto dell’Assemblea.
E poiché non tutto è scritto e previsto nei regolamenti, s’è andata consolidando una prassi diventata patto fra gentiluomini, vivificata nel suo quotidiano rinnovarsi dall’impegno d’onore dei protagonisti.
Nel Parlamento inglese (quasi una favola) se alla maggioranza o all’opposizione, in occasione di votazioni, vengono a mancare uno o più deputati, la cui presenza può essere determinante per affermare o respingere una proposta di legge, lo schieramento avverso prega taluno dei suoi componenti di uscire dall’aula, per compensare le assenze dello schieramento contrario. Ciò perché il confronto parlamentare è per sua natura duro, talvolta drammatico ma, essenzialmente leale.
Il Parlamento non è per la giungla ove si tendono trappole e si giocano trucchi, sfruttando situazioni del tutto occasionali per vincere una confronto politico, ma ci si adopera nel far emergere e tradurre in fatti operativi gli orientamenti prevalenti nell’opinione pubblica. Utilizzare una carica così prestigiosa in funzione di un interesse per quanto rilevante, significa distruggere l’autorevole modo di garante verso l’intera comunità che il Consiglio rappresenta e scendere nell’agone dei contendenti.
Prendendo a prestito un’immagine positiva: l’arbitro che corregge volontariamente la traiettoria del pallone e insacca nella posta degli avversari dei suoi amici: in breve dei suoi avversari. Ciò significa che il Presidente del Consiglio, quando presiede, ha amici ed avversari. Cioè non presiede ma, da quel seggio, lotta insieme alla parte politica che lo ha eletto per sconfiggere l’altra che a lui si oppone. Ebbene, è scontato che un’assemblea che ha un presidente di parte, non è più in grado di funzionare. La parte avversa lo considera con sospetto, non se ne fida, si sottrae alle sue direttive, lo contesta ed in ultima analisi si bloccano i lavori dell’assemblea.
Non è certo un caso che da mezzo secolo, nessuna Presidente del Consiglio regionale, sia sceso in basso, come ha fatto l’attuale, a votare per unirsi ad una parte contro l’altra.