La Casa comune dei Sardi – Nuoro – 14 dicembre 1995

Il dibattito sulla «Casa Comune» dei Sardi ruota stancamente nel vuoto siderale dell’indifferenza.
La spiegazione, ridotta all’essenziale, è molto semplice: delusione.
La contraddizione insita nel rapporto fra regionalismo istituzionale e centralismo partitico si risolve nell’imbavagliamento dei politici sardi, condannati, se ribelli, a non essere ricandidati dai rispettivi partiti e così cancellati dalla scena politica. In queste condizioni l’autonomia è parola vuota di senso, del tutto dipendente dalla benevolenza del Principe.
Centralismo, autonomia, federalismo evocano, se non si riducono a vuoti “nomen juris”, forme di governo attraverso le quali si esercita il pubblico potere.
In breve: prefigurano la sede del potere. Lo stato è infatti la struttura organizzativa del potere quale s’è venuta definendo in una particolare fase storica.
Quando si fa riferimento al federalismo non ci si limita quindi a definire una determinata architettura istituzionale, più o meno efficiente rispetto al centralismo, ma si evoca una diversa concezione politica della democrazia. Il federalismo si inscrive così fra i valori ideologici al pari del liberalismo e del socialismo e si propone quale specifica e diversa visione del mondo.
Mentre infatti il centralismo colloca il potere in un vertice decisionale al quale per il cittadino è difficile accedere in virtù di lontananza gerarchica e fisica, il federalismo ne realizza l’articolazione territoriale creando un policentrismo decisionale di cui diventano protagonisti i cittadini resi partecipi attivi del potere statuale.
L’indifferenza dell’opinione pubblica al nostro disquisire nasce dalla delusione delle attese. Il regionalismo, nei fatti, non riesce a rappresentare e difendere il diritto dei sardi al progresso, al lavoro, alla cultura, alla sanità, ai trasporti ed, in ultima analisi, alla pari dignità con i cittadini di altre regioni d’Italia e d’Europa. A questo punto s’impone una seria riflessione sulle cause della crisi regionalista.
L’attuale smarrimento esprime una crisi di crescita o denunzia lo spegnersi della speranza aprendo così larghe brecce al grigiore della rassegnazione?
Siamo cioè alla fase della rimozione o stiamo invece prendendo coscienza che la forma di autonomia in atto non è altro che il «paravento dipinto a vari colori, dietro cui si nasconde tutta la pesante macchina statale, quella che ci soffoca e ci opprime e contro cui s’è levata la nostra ribellione»? (così Camillo Bellieni in un profetico messaggio al congresso sardista dell’ottobre 1921!).
All’interrogativo rispondo: crisi di crescita; come si spiegherebbe altrimenti il diffuso parlare di federalismo? Il popolo è consapevole che la sede del potere non è, se non in modesta parte, nel governo regionale, mentre è sempre più arroccato nei vertici nazionali delle istituzioni statali, economiche e partitiche.
La risposta che i sardi si attendono dalla loro dirigenza politica è la lotta ferma, inflessibile volta a rivendicare U potere di organizzare la nostra democrazia politica, economica e culturale in forme coerenti alle specificità e diversità, che danno precisa connotazione alla nostra identità.
“L’autonomia è arte, è sapienza, è religione” insegna Bellieni; così anch’io fermamente credo.
Dobbiamo trovare in noi stessi la sapienza e la forza politica per questa lotta. Dar vita ad una vasta mobilitazione che muovendo dalla realtà sarda coinvolga il popolo e lo faccia protagonista nel rivendicare diritto e responsabilità di governo reale della Sardegna non già per combattere alcuno, ma per promuovere, in un dialogo fervido e paritario con le altre realtà regionali d’Italia, d’Europa e Mediterranee, un processo di sviluppo e d’integrazione che consenta di assumere, da sardi, il ruolo che ci spetta nell’ambito italiano, europeo e mediterraneo.
Un nuovo partito? Dio ne guardi! E neppure una corrente dell’attuale Partito Sardo d’Azione, ma piuttosto una federazione dei partiti operanti in Sardegna, disposti a darsi un’organizzazione regionale che pur mantenendo legami ideologici con partiti confratelli presenti in Italia, in Europa e nel Mondo ne siano disancorati da qualsivoglia rapporto gerarchico. valori della Fede non contraddicono il loro radicamento territoriale.
Il problema è e rimane quello dell’allocazione del potere. Se lo abbiamo decidiamo. Se non lo abbiamo decidono gli altri. E decidono anche per noi!
Una volta chiarito questo punto nodale diamo alla vocazione federalista le architetture istituzionali che riteniamo più giuste: presidenziale o parlamentare, leggi elettorali proporzionali o maggioritarie, a doppio turno o a turno unico, l’importante che ciascuno comandi in casa propria e tutti insieme nel governo dello Stato.
Camera delle Regioni, Corte Costituzionale pariteticamente rappresentativa del potere centrale e regionale; federalismo fiscale e solidarietà, identità e cultura, responsabilità e trasparenza saranno i requisiti base del nostro progetto di democrazia. Una democrazia tanto più forte quanto più partecipata.
Restituiamo ai sardi la speranza e, con essa, l’entusiasmo dell’impegno.