(marzo 1987)
Il saluto che vi porgo a nome della Regione Sarda esprime l’apprezzamento per questo Convegno Nazionale che affronta un tema così cruciale e di così vasto respiro qual’è quello dello Stato delle Autonomie, nella ricerca di un nuovo rapporto tra centro e periferia nel segno della diffusione dei poteri, rifiutando tanto le spinte centralisti che quanto le anguste visioni di un localismo statico e autosufficiente.
Ed è altresì di grande interesse, nel riguardare la storia del vostro movimento, attraverso le sue più recenti formulazioni come quelle dalla Conferenza delle Autonomie Locali svoltasi a Palermo nel 1986, riscontrare che le idee forza del lavoro, della democrazia e della pace (che hanno caratterizzato i più alti momenti delle ACLI) acquistino nuovo slancio nella riflessione rigorosa che andate conducendo sulle istituzioni locali. Su questo terreno l’impegno del vostro associazionismo si incentra con quello di altre forze politiche, sociali e culturali, che hanno anch’esse posto a fondamento della loro azione nella società politica e civile l’istanza di una crescita reale del nostro ordinamento, non già nel segno destabilizzante ma costruttivo di un più intenso raccordo tra cittadini ed istituzioni.
Nella società in cui viviamo, in cui l’irruenza delle moderne tecnologie dischiudono nuove frontiere allo sviluppo e al vivere civile e dove il diffondersi dei mezzi di comunicazione e d’informazione imprimono nuove cadenze al tempo, ai ritmi dei processi, delle relazioni, della vita di ogni giorno e tendono altresì a ridurre, annullare le distanze, diventa sempre più pressante l’esigenza di stabilire nuove sintesi efficaci, nuovi modi di intendere ed esercitare il potere, che sia reale espressione di democrazia e di partecipazione.
È il tema di una democrazia compiuta dove la cultura dell’autonomia diventa espressione stimolatrice di nuovi rapporti tra centro e periferia, tra autonomie locali e autonomie sociali,tra società politica e società civile e tende ad un compiuto dispiegarsi nella sfera politico-istituzionale dello Stato delle autonomie.
Sul terreno della storia e delle esperienze che tuttora verifichiamo appare in tutta evidenza l’inadeguatezza di una concezione dello Stato che è nato postulando sul terreno del potere la propria astratta idealità di centro unificante. Rispetto ai bisogni dei cittadini, rispetto ad istanze centrali quali quelle del lavoro, della qualità del la vita, della crescita culturale e scientifica, la visione centralistica di uno Stato che dall’alto e per vie discendenti dà a ciascuno il suo, costituisce un’illusione che di giorno in giorno s’infrange negli squilibri sociali e territoriali, nella disoccupazione, nella burocratizzazione degli apparati, nel crescente distacco che si determina tra i cittadini e le istituzioni.
Né meno gravi e preoccupanti sul terreno della pacifica convivenza dei popoli nella collaborazione e nello sviluppo appaiono le conseguenze che fin dal formarsi degli Stati moderni in Europa hanno portato pensatori illustri – tutt’altro che affetti da anguste visioni localistiche – ad indicare con lucida percezione dei tempi la fragilità di una impalcatura di pace basata sull’equilibrio di potenza e di forza fra gli Stati.
Altre soluzioni urgono, perché se da un lato è vero che nella società dell’informazione esistono le condizioni tecnologiche che hanno portato alcuni ad intravedere il delinearsi di una nuova civiltà del villaggio in senso globale (Mac Luhan) che potrebbero incrinare i tradizionali rapporti centro-periferia facendo sì che le vecchie periferie diventino esse stesse centro, è anche vero che i divari e gli squilibri territoriali si accentuano.
Il tema dell’autonomia e dei poteri locali è dunque il terreno sul quale si misura la qualità dell’impegno politico, dell’azione amministrativa, dell’apporto dell’associazionismo per l’affermarsi ad un più alto livello della vita democratica del nostro Paese. E questo perché le potenzialità insite nello sviluppo delle conoscenze e nelle applicazioni tecnologiche che potrebbero favorire la promozione dell’uomo e dei popoli, determinano invece un radicalizzarsi delle distanze tra centro e periferia in quanto promanano da centri economici e finanziari intermediati da Stati che sono anch’essi espressione di un potere accentratore, che mortifica le autonomie, costringendole a fungere da terminali in cui si riversano per linee discendenti, le conseguenze, le tensioni e gli squilibri di uno sviluppo che è stato altrove concepito, voluto ed attuato.
Le Autonomie prive di poteri diventano “utenti”, espressione di bisogni, tutt’al più fruitrici di tecnologie ma mai esse stesse centri di produzione, e di irradiazione di relazioni, di scambi economici e culturali che le consentano di svolgere un ruolo non subordinato ai tradizionali rapporti verticali, ma espressione di centri compartecipi in grado di attivare processi e raccordi orizzontali tra uguali.
Occorre certamente riprendere la trama di un disegno istituzionale e di una Costituzione incompiuta che ha creato contrapposizioni e antinomie tra Stato, Regioni e le altre autonomie locali quasi che il primo fosse il vero, genuino depositario dell’unità del Paese e le seconde mere espressioni localistiche, se non potenziali soggetti di disarticolazione di questa unità.
Occorre dispiegare appieno tutte le potenzialità insite in una diversa concezione dello Stato, quale Stato delle Autonomie e dei Poteri Locali.
Innanzitutto sviluppando una cultura dell’autonomia. In una fase storica caratterizzata da profondi mutamenti strutturali in campo economico e sociale, le forze politiche e le espressioni più vive e consapevoli della società sono chiamate a ripensare e a ridisegnare l’orizzonte dei propri impegni politici da punti di vista più alti, muovendo (come affermava a Palermo il Presidente Rosati) “dalla parte delle Autonomie Locali” esprimendo con ciò un concetto quanto mai giusto che nella Repubblica delle autonomie non esistono “il basso” e “l’alto” e cioè che le Regioni, le Province ed i Comuni non sono “sotto” ma sono “dentro”, “a fianco” di altre istituzioni sono esse stesse lo Stato diverso che occorre costruire.
Le Regioni e gli altri enti locali sono l’espressione stessa dello Stato nel suo essere territorio, popolo e ordinamento, un punto quest’ultimo che occorre affermare con forza e compiutamente perché: attraverso l’autonomia statutaria, possano recuperare la capacità di attivare ordinamenti istituzionali aderenti alla storia, alle esigenze e agli obiettivi delle comunità rappresentate; attraverso l’autonomia finanziaria e fiscale, possano disporre di quegli strumenti indispensabili ad esprimere una funzione di governo in grado di decidere e di realizzare le proprie finalità; attraverso la solidarietà possano trovare il concorso di altri soggetti, istituzionali e no, che agevoli il conseguimento di comuni obiettivi.
Dobbiamo, dunque, andare al di là di una riforma delle autonomie locali che sia mera razionalizzazione dell’esistente.
Occorre per contro riproporre in tutta la sua radicale centralità il problema dei poteri e della loro diffusione, alla luce delle attuali dinamiche economiche e sociali, in cui emergono nuovi soggetti, nuove conoscenze, nuovi strumenti e tecnologie che rendono più complessa e più difficile la ricerca di criteri univoci di lettura e di interpretazione dei bisogni della società e dei singoli cittadini.
È la sfida culturale di ampio respiro sulla quale voi stessi avete avvertito l’esigenza di misurarvi aprendovi al dialogo e all’apporto di contributi che provengano da altre forze, perché si affermi in concreto e non come utopia quella prospettiva che vede nell’ordinamento della nostra Repubblica un diverso articolarsi dello Stato, non più in termini di livelli “superiori” ed “inferiori” nell’esercizio del potere, ma in termini di ambiti diversi collocati sul piano della pari dignità istituzionale quali momenti autonomi ma concorrenti, nel segno della solidarietà, della cooperazione, dello sviluppo – materiale e spirituale – delle diverse comunità e componenti sociali del nostro Paese.
Uno Stato che da questa diversa posizione si apra al dialogo ed al confronto con gli altri popoli non solo d’Europa, agevolando e non impedendo con preclusioni verticistiche e centralistiche i rapporti orizzontali tra regione e regione, tra poteri locali, in una circolarità di dialogo e di intese feconde rispondenti alle esigenze di Comunità che crescono non solo nel moltiplicarsi dei bisogni ma soprattutto nelle capacità, nei poteri, negli strumenti necessari per affrontarli e risolverli.
Non esiste oggi in Italia alcuna forza che da sola sia in grado di realizzare questo disegno. Occorre perciò che tutte quelle espressioni politiche, sociali e culturali che pur da angolazioni diverse individuano oggi, quale punto centrale del loro impegno politico e civile, lo sviluppo reale dei poteri locali e di nuovi rapporti tra società politica e società civile, si riconoscano e sappiano trovare come in questa occasione momenti unitari di raccordo sul terreno delle analisi e delle proposte.
E siano quindi in grado di esprimere quelle convergenze significative che mancano ancora e di cui si avverte l’urgenza per imprimere una svolta evolutiva nell’ordinamento e nella diffusione dei poteri dello Stato delle autonomie.