Direttore regionale del P. S. d’Az – Cagliari
Presidente del Consiglio regionale del P. S. d’Az
Componenti del Comitato Centrale del P. S. d’Az
anni ’70
Noi sottoscritti Sardisti Mario Melis, della sezione di Oliena, e Antonio Simon Mossa, della sezione di Sassari, riferiamo con la presente relazione dei contatti avuti con esponenti di Movimenti e partiti politici europei che lottano per l’affrancazione dei rispettivi popoli dalla soggezione culturale, economica e politica su di essi esercitata da Stati sovrani che si comportano nei loro confronti come potenze coloniali.
• Convinti che questo stato di cose sia la risultante della politica comunemente adottata dalle Nazioni organizzate su un piano statuale con il fine precipuo di garantirsi posizioni strategiche ed economiche di forza o di difesa nei confronti delle altre Nazioni-Stato e che a tali finalità politiche sia stato sacrificato il libero e civile evolversi delle Nazioni etniche di tutta Europa, ivi compresa la nostra;
• convinti altresì che l’unificazione europea che si va laboriosamente strutturando a livello delle Nazioni-Stato minaccia di realizzarsi al di sopra e contro la volontà delle minoranze etniche e in danno di queste;
• convinti, infine, che il rapido processo di concentrazione degli strumenti finanziari a livello europeo non può consentire dubbi su quali saranno i protagonisti dell’unificazione e che appare evidente che gli Stati Uniti d’Europa saranno preceduti in ordine di tempo dall’unificazione dei potentati economici emarginando di conseguenza le grandi masse popolari dai poteri decisionali previa super concentrazione topografica degli insediamenti industriali e demografici con ulteriore, progressivo e irreversibile spopolamento delle regioni escluse;
• previa informazione della nostra iniziativa agli Organi del Partito, abbiamo voluto avere uno scambio di idee con gli esponenti dei gruppi etnici, come il nostro, minacciati dall’ulteriore appesantirsi della politica che i gruppi di potere esercitano all’interno e all’esterno dei singoli Stati d’appartenenza.
• In effetti, dopo le conversazioni avute a tal fine, abbiamo preso atto come a fondamento della lotta di liberazione intrapresa dai vari gruppi etnici, non sempre è presente la rivendicazione economica (catalani in Spagna, alsaziani, etc.) mentre è comune a tutti la coscienza di essere componenti di unità nazionali omogenee per cultura, lingua, tradizioni e civiltà particolari e peculiari.
Ciascun gruppo etnico, insomma, associando al concetto di insediamento in un determinato territorio di una popolazione avente lingua, cultura, tradizioni, economia e civiltà sue proprie, reclama il diritto della propria autonoma sopravvivenza e non tende a lasciarsi assorbire, come oggi suol dirsi, alienare dalla Nazione-Stato nella quale, per ragioni storicamente diverse, sono stati inglobati.
Altra caratteristica comune a tutti è quella del rifiuto del separatismo o dell’irredentismo inteso come aspirazione ad unirsi e confondersi in altre Nazioni-Stato loro più vicine per cultura, lingua, tradizioni e civiltà.
Gli alsaziani e i lorenesi, ad esempio, nel contestare la propria appartenenza allo Stato francese, non si propongono ceto di entrare a far parte della Germania al cui ceppo linguistico prevalentemente appartengono, ciò per le molteplici caratteristiche che li diversificano e, in certo, li contrappongono alla Germania.
I catalani in Spagna, ad esempio, pesano sul bilancio dello Stato nella misura del 7% ma vi contribuiscono per il 20%. Altrettanto accade ai baschi che vedono reinvestito nel loro territorio meno di 1/5 di quanto versano allo Stato per tributi.
Questi due gruppi etnici, insomma, sono costretti a pagare all’etnia dominante castigliana le spese militari e di polizia che garantiscono la loro soggezione.
Entrambi però sono fortemente consapevoli d’essere portatori di una cultura, di una tradizione storica e, in ultima analisi, di una civiltà che li fa assolutamente diversi e lontani dall’etnia castigliana che, organizzata in Nazione-Stato, li ha assoggettati al proprio dominio e vieta loro persino di parlare la lingua materna.
Più grave e drammatica è la situazione di altri amici da noi visitati quali i bretoni, i catalani di Francia, i gallesi in Gran Bretagna.
Nei confronti di questi l’emarginazione culturale coincide con quella economico-sociale. Questi popoli hanno in comune con noi, e con molti altri d’Europa, il grave dramma dello spopolamento. Sono, al pari di noi, trattati come colonie, per cui al sentimento d’indipendenza uniscono la difesa esasperata e drammatica della sopravvivenza.
In forme e accentuazioni diverse, i rappresentanti dei gruppi etnici europei pongono il problema della propria lotta in termini di liberazione nazionale non già per rivendicare uno sterile orgoglio di bandiera e per isolarsi in una economia propria in contrapposizione cn quella degli altri, sibbene per aprirsi ad un dialogo europeo in cui ciascuno dia il proprio contributo originale e autonomo, liberato dall’oppressione e dalle strettoie della Nazione-Stato, per dar vita invece a un’Europa federale strutturata sulla base delle Nazioni etniche.
Non si accetta, insomma, il principio che la Francia o l’Italia entrino a far parte di una Federazione degli Stati Uniti d’Europa con un seguito di vassalli, ridotti al rango di sudditi e non di cittadini.
Dobbiamo però rilevare le gravi perplessità espresse dal rappresentante del Partito Indipendentista Gallese circa la concreta possibilità di costituire un’Europa federata sulla base di un’effettiva giustizia.
I gallesi si dicono convinti che anche tale confederazione sarà dominata dal capitale anglo-tedesco, per cui pur risolvendo il problema all’interno della Nazione-Stato, si rischierebbe di precipitare in una forma nuova e moderna di soggezione, meno brutale nei suoi aspetti estrinseci, ma tecnologicamente più avanzata e, quindi, più difficile da superare. Pensano che si dovranno anzitutto intensificare le lotte di liberazione nazionale all’interno delle Nazioni-Stato, dando vita a nuovi equilibri economico-politici a livello di Nazioni Unite o altri organismi internazionali.
Le stesse riserve espresse dai gallesi sono condivise dagli scozzesi e da alcuni Stati sovrani quali i paesi Scandinavi che, per lo scarso peso demografico dei rispettivi popoli, paventano il proprio rapido assorbimento nell’area di una economia che li vedrebbe in Europa in posizione subalterna, progressivamente condizionata da fattori esterni e determinanti.
Da quanto sopra è emerso che, pur nella diversità dell’interpretazione della nostra attuale condizione, esistono presupposti comuni e comune genesi.
Abbiamo pertanto a tutti proposto di convocare in Sardegna una conferenza internazionale per dibattere questi problemi.
Lottando ciascuno all’interno del proprio Stato non riusciamo a porre il problema nei suoi veri termini che sono quelli europei. Ormai non si può più parlare di questione sarda o bretone o catalana come fatto interno, interessante la Nazione italiana, francese o spagnola.
Se è vero che ci avviamo verso la Federazione europea, i nostri problemi sono problemi europei. L’Europa non può nascere con malattie congenite e incancrenite, frutto di sopraffazioni perpetuatesi nel tempo e subire più o meno consapevolmente.
La nuova Europa dovrà liberarsi dalle scorie delle incrostazioni, residuo di una antica politica di conquista, di una mentalità e di un’epoca ormai superate.
Noi abbiamo chiesto di convocare questa conferenza sulla base di questi argomenti, per dar vita ad una costituente internazionale che stringa legami di solidarietà aperti a livello internazionale.
Allora la nostra lotta cesserà di essere un fatto interno e isolato per inserirsi in una nuova corrente di pensiero altamente civile, ispirato com’è ai principi di sostanziale libertà