Lettera ai Giornalisti dell’Unione Sarda – primi anni 2000

Cari giornalisti dell’Unione Sarda,
mi scuso per il ritardo nell’esprimerVi la mia più completa e preoccupata solidarietà.
Purtroppo una fastidiosissima frattura, accompagnata da altri non meno debilitanti acciacchi, mi ha sostanzialmente bloccato per quasi due mesi. Non sono ancora guarito e solo ora posso obbedire al desiderio di esprimerVi la mia più calda partecipazione.
Personalmente non credo – nonostante il clamore suscitato dalla miserabile aggressione – che dietro vi sia un’organizzazione mobilitata da fermento rivoluzionario sardo.
A Voi il messaggio intimidatorio, così clamoroso, lo ha lanciato un anonimo piccolo gruppo di persone che tende a far passare la sua mediocre dappocchezza con il frastuono simbolico delle bombe; simbolo di una presunta azione rivoluzionaria del corpo sociale di Sardegna.
Vedo che per dar corpo a tale ipotesi affidano alla posta le loro rozze minacce, dirette a figure istituzionali rappresentative del potere legittimo, che in larga misura risulta essere stato eletto in libero confronto dai cittadini sardi o dai ceti sociali altamente qualificati.
Mentre resto un fervente militante della democrazia, accettando con eguale impegno ed entusiasmo il ruolo di maggioranza come di opposizione, disprezzo chi, in mancanza di qualsiasi presupposto, simula una tensione rivoluzionaria che non ha alcun riscontro nella società civile.
Voi avete subito l’aggressione gratuita di un gruppo di persone che possono essere individuate e perseguite con le tradizionali indagini di polizia senza perdere tempo a cercare un’inesistente organizzazione che non avrebbe nessuna ragion d’essere. Una rivoluzione, suscitata da tensioni esplose in attentati mirati a livello nazionale, non può scontrarsi in Sardegna con il suo reale nemico che è il potere istituzionale (che ha sede a Roma) ed economico, ben più diffuso e rappresentato in tutto il nord Italia ed in particolare in Padania, non certo in Sardegna.
Qui si lotta onde scrollarci di dosso millenni di subalternità politica, economica, culturale.
Ecco perché penso che, pur non ignorando la pericolosità di questi personaggi, una normale investigazione di polizia dovrebbe essere largamente sufficiente.
Non mi pare saggio enfatizzare una forza fantasma che vesta panni che non le spettano.
Quanto sopraddetto non significa che in Sardegna non vi sia sofferenza e insofferenza per lo status quo. Talvolta, localmente, si minaccia o danneggia l’Amministrazione comunale. Questo, purtroppo, per delusioni personali e per imitazione di episodi analoghi avvenuti in altri paesi.
Certo anche nei primi decenni del secolo passato avvenivano, rarissimamente, motti popolari che scalzavano il sindaco (più raramente il parroco) con una procedura ci partecipava a viso aperto tutto il popolo, costringendo il malcapitato a lasciare il paese (simbolicamente) “a cabaddu ‘e s’ainu”. Si trattava di casi eccezionali che non avevano nulla di misterioso, ma una sorta di voto di sfiducia conclamato in forme fissate dalla tradizione.
Nella stessa Nuoro, in occasione della rivolta di “su Connottu” si è “inchiodato” un ferro di cavallo sulla porta del Municipio per significare che il consiglio era “sfiduciato”, assieme al suo sindaco. Il motivo era a tutti noto e bruciante di ribellione in una parte della popolazione, esclusa dal godimento dei diritti di pascolo in terre pubbliche, diventate private, con la legge delle chiudende.
Forme di protesta che entrano nella fisiologia delle manifestazioni di sofferente dissenso che investe gran parte della popolazione di un certo paese.
Oggi ci troviamo di fronte a singoli individui che, protetti dall’anonimato, ricorrono a mezzi tanto più pericolosi quanto vili perché coincidono con la grande probabilità dell’impunità. Ma sono individui, non il popolo e neppure una corrente sommersa di opinione pubblica, il che presupporrebbe gerarchie, strutture fisiche e depositi di armi. Tutto ciò da vita ad una vera e propria componente della società civile che attenta con la violenza alle istituzioni, attraverso chi le rappresenta. Ma allora si parte da un’area che, pur turbata, non fa vacillare le istituzioni a livello nazionale e queste considerano il fatto come una pustola sociale limitata localmente.
A Voi, personalmente, la mia più amichevole espressione di solidarietà e invito a continuare nel Vostro essenziale lavoro per la libertà di tutti noi.