Una nuova Autonomia per una nuova Rinascita

Una nuova Autonomia per una nuova Rinascita – Tavola Rotonda – Frank Hotel – Sassari – 13.1.86

Ho accolto con piacere l’invito ad intervenire a questa tavola rotonda dalla CGIL di Sassari perché ritengo che la riforma dello Statuto (assieme agli altri temi di rilevanza istituzionale ad essa strettamente interrelati quali la nuova legge di attuazione dell’art. 13 sulla Rinascita, la riforma dell’Ente Regione e del sistema delle autonomie locali costituiscono oggi più che mai la questione centrale a cui occorre rivolgere il massimo dell’attenzione e dell’impegno da parte di tutte le forze politiche sociali e culturali della nostra Regione.
E questo al fine di disporre di quei poteri e dì quegli strumenti indispensabili per rilanciare il processo di sviluppo e dare risposte efficaci alla drammatica situazione occupativa. E inoltre, in una prospettiva più ampia rispetto ai pur gravi ed impellenti problemi dell’economia e del lavoro, per stabilire quel sistema di poteri istituzionali necessari ad una crescita civile, sociale e culturale della Sardegna che segni realmente l’uscita dall’emarginazione e dal sottosviluppo.
La gravità della crisi che da lunghi anni si registra in Sardegna, che ha determinato una disoccupazione così accentuata e diffusa da scuotere l’intero tessuto socio-economico della Sardegna, ha messo in piena luce la debolezza ed i limiti intrinseci agli attuali istituti dell’autonomia regionale ai fini di un effettivo governo dei fatti economici e sociali.
Debolezza e limiti che risultano ancor più evidenti se posti a raffronto con la maturazione della coscienza democratica dei sardi che aspira all’affermarsi di un ruolo ben diverso rispetto all’attuale livello della nostra autonomia.
Ruolo, in particolare, non più subalterno rispetto al governo centrale ed alle stesse istituzioni comunitarie, in riferimento ai processi di integrazione economica dell’Europa.
Questo processo di accresciuta consapevolezza circa l’intreccio che oggi sussiste tra situazione economica e stato dei poteri autonomistici, per cui occorre agire anche sul fronte delle politiche istituzionali se vogliamo dare una risposta reale e compiuta agli stessi problemi della crisi produttiva ed occupativa è ciò che induce anche il sindacato, come in questa circostanza, ad approfondire il dibattito sui temi della nuova autonomia.
La crisi dei poteri autonomistici ha peraltro radici lontane, che vanno individuate nella mancata attuazione dell’originario disegno costituzionale fondato sugli essenziali principi che regolano la ripartizione e l’esercizio del potere politico: autonomia, pluralismo istituzionale e diffusione territoriale della titolarità dei principali poteri pubblici. La crisi del regionalismo è da ricercare nella mancata attuazione di tali principi.
Le Regioni oggi, non solo quelle di diritto comune, ma anche quelle ad autonomia speciale come la nostra, sono di fatto escluse da ogni partecipazione sostanziale rispetto all’assetto e all’esercizio dei poteri centrali.
Gli attentati che l’autonomia regionale ha subito nel corso degli anni sono stati molteplici e possono così riassumersi:
a) le funzioni amministrative sono state costantemente trasferite dallo Stato alla Regione in modo disorganico e settoriale, secondo la ben nota tecnica del “ritaglio” delle competenze;
b) il potere centrale ha operato ed opera continue invasioni nelle stesse competenze regionali, mediante il ricorso a leggi ordinarie che hanno solamente il nomen juris della riforma economico-sociale, espropriando in tale modo il potere autonomistico di reali capacità di governo in settori statutariamente tutelati;
c) la creazione di numerosi ed importanti enti settoriali, che si sono aggiunti alla fitta trama degli organi statali, con compiti di intervento nei diversi settori dell’economia, ha di fatto disarticolato ed affievolito ulteriormente le complessive capacità di intervento dell’Istituto economistico;
d) la giurisprudenza dalla Corte Costituzionale sui conflitti di competenza, rivelatasi fin dalle origini sempre meno espressione di un potere super-partes e sempre più strumento di condizionamento in senso accentratore.
In questo contesto di drastiche limitazioni e di continuo indebolimento dei poteri autonomistici i molteplici bisogni della società sarda non trovano adeguate risposte. L’autonomia regionale deve perciò arricchirsi dei requisiti necessari per governare in modo efficace l’economia e la società isolana nel suo complesso.
Tra i fattori che debbono essere presi in considerazione per ricostruire i fondamenti della nostra autonomia speciale meritano particolare attenzione:
-la domanda di identità riemersa vigorosamente nel corso di questi ultimi anni, ma che non trova adeguato riconoscimento nell’attuale stato dei rapporti istituzionali tra Regione e poteri centrali;
-la crisi degli Stati nazionali e l’affiorare in tutta Europa di istanze e bisogni nuovi, di cui sono portatrici le comunità regionali. Bisogni che non trovano anch’essi adeguate soluzioni da parte di strutture sempre più accentrate e burocratizzate, incapaci di percepire la pluralità e la specificità dei valori espressi dai popoli europei;
– i crescenti e inarrestabili processi di internazionalizzazione, che riguardano non solo l’economia, ma anche i sistemi e i mezzi di comunicazione e il complesso delle relazioni fra i popoli.
In altre parole occorre essere sempre più coscienti che la Sardegna oltreché una regione italiana è anche una regione comunitaria e mediterranea.
Alla luce di questi elementi è necessario non solo conservare ma vieppiù elevare e irrobustire il livello della specialità della nostra autonomia.
I molteplici fattori (fisici, etnici, culturali, economici, politici e sociali) che sono alla base della specialità dell’autonomia sarda, non solo non sono venuti meno, ma hanno acquistato nel tempo rilievo e peso sempre più importanti. Le stesse vicende che sperimentiamo anche in questa fase di crisi nei rapporti con gli organi centrali dello Stato (Governo, Corte Costituzionale, società a partecipazione statale, aziende autonome) impongono un rifiuto deciso ed una ferma opposizione al progressivo allineamento della nostra autonomia speciale a quella delle altre Regioni ordinarie.
Il rilancio della specialità dello Statuto sardo deve necessariamente saldarsi all’esigenza di un approfondito riesame da parte dello stesso Parlamento dei modi e degli strumenti con cui le aree più deboli e marginali del Paese possono promuovere un loro sviluppo e al tempo stesso partecipare attivamente alla crescita complessiva della comunità nazionale .
La prima direzione in cui occorre riaffermare la nostra autonomia speciale non riguarda tanto le singole materie, quanto invece il complesso dei rapporti tra i soggetti istituzionali (Regione-Governo-Parlamento) puntando a rimuovere l’attuale condizione di subalternità della Regione.
La seconda direzione riguarda la ridefinizione dell’insieme dei poteri necessari a rendere la Regione un Ente di programmazione e di governo dell’economia, del territorio e dell’intera società civile.
Occorre in particolare recuperare adeguati poteri in campo tributario fiscale e tariffario, nonché in materia di credito e di risparmio, di trasporti, di risorse energetiche, di politica-ambientale, di difesa e valorizzazione del patrimonio culturale.
La terza direzione riguarda la riforma degli apparati regionali, da realizzare in un contestuale processo volto a valorizzare pienamente il sistema delle autonomie locali.
La quarta direzione riguarda la nuova legge di attuazione dell’art. 13 dello Statuto, che dovrà essere non solo una legge di risorse, ma anche di poteri e di strumenti da modellare in conformità agli obiettivi di sviluppo economico e di crescita civile e culturale della Sardegna.