Dopo l’interessante convegno tenutosi ad Osidda sul tema “Autonomia e globalizzazione – passato e presente”, ho fatto un salto ad Oliena per salutare Francesco Cossiga al quale mi lega una trentennale amicizia.
Mi illudevo di parlare con lui di politica in un momento nel quale avverto una diffusa domanda di partecipazione popolare delusa dalle continue liti fra leader regionali che, specie nella maggioranza, stanno paralizzando ogni serio discorso di rinnovamento e prospettiva.
Ripeto, mi illudevo perché il Presidente Cossiga, dopo il consueto cordiale e, direi, affettuoso saluto, si è doverosamente sottoposto alle domande dei giornalisti ai quali ha risposto con vivacità, ricchezza di evocazioni storiche e attualità politiche per oltre un’ora dopo di che, essendo piuttosto tardi, affaticato da una giornata evidentemente molto intensa, ci ha salutato ritirandosi nelle sue stanze.
Insomma non gli ho parlato. Pur presente al suo dire, ho riletto sui giornali la sintesi delle sue risposte trovandole tutte estremamente interessanti, anche se non sempre condivisibili.
Infatti parla dell’esperienza autonomistica cogliendone i momenti meno felici, come il passaggio di un gruppo di dirigenti sardisti al fascismo nella speranza di dar vita esclusivamente alla promozione economica dell’Isola, avulsa però dai grandi temi dello Stato.
La verità è che fu una minoranza a farsi corrompere (forse l’espressione è eccessiva) dal mitico miliardo di Mussolini, mentre la stragrande maggioranza dei sardisti restò fedele agli ideali accettando esilio, galera e persecuzioni di ogni tipo nella certezza che la storia avrebbe dato loro ragione, seppellendo il fascismo e le altre dittature che andavano oscurando l’Europa. Sfidarono con dignità e rocciosa fermezza la violenza del potere in nome del regionalismo internazionalista che avrebbe, in un futuro non lontano, affratellato i popoli dal Mediterraneo agli Urali, in forza di una solidarietà federalista incompatibile con i nazionalismi di cui erano allora vittime non supine.
La storia ha infatti dato loro ragione, sconfiggendo tutte le dittature, di destra e di sinistra, ed aprendo ai popoli un futuro di pace nell’ambito di una comune Patria federale europea.
A scrivere della futura Comunità europea, nel 1922, concludendo il Congresso Sardista di Oristano, fu uno dei militanti di cui Francesco Cossiga va sempre orgoglioso, non solo per ciò che ha profeticamente intuito, con sensibilità e intelligenza politica della storia, ma anche perché suo zio: Camillo Bellieni, perseguitato dal fascismo e perciò trasferito da Sassari a Napoli, da qui a Bologna e infine licenziato.
Ma la violenza della dittatura non spense l’empito creativo di libertà e solidarietà che Bellieni diffuse, in collaborazione con Ferruccio Parri, Guido Dorso, Tommaso Fiore ed altri nel Mezzogiorno d’Italia: Molise, Campania, Irpinia, Calabria, Puglia, Basilicata e la stessa Sicilia. Aveva nel contempo fecondi contatti col mondo contadino piemontese e più in generale padano. Sognava una federazione di partiti regionali che, raccogliendo il mondo contadino di allora, scalzasse le fondamenta stesse del fascismo.
Alla fede di questi protagonisti dobbiamo l’istituzione della Regione, del suo Governo e dell’Assemblea legislativa. Dal fervido operare degli eletti è fiorito l’iniziale, tumultuoso processo di sviluppo civile ed economico che ha restituito ai Sardi consapevolezza della propria soggettività politica e dei diritti conculcati da oppressori esterni.
Furono le Giunte regionali a scrollarci di dosso il colonialismo elettrico, quello dei trasporti interni e a trasformare pastori e contadini da tributari degli industriali caseari e vitivinicoli calati dal Nord (Edison, Fiat, Locatelli e Galbani di Melzo) in imprenditori con l’America, la Germania, la stessa Italia e, in parte, nelle nicchie di mercato meridionale e della stessa Grecia.
La Regione ha saputo mobilitare le Università finanziando le ricerche nei più diversi campi interessanti in modo diretto e indiretto la Sardegna. Ha dato vita a diverse istituzioni finalizzate a sostenere le iniziative della piccola e media industria e, ancora una volta, con l’istituzione del CSR4, la ricerca nei campi più avanzati delle moderne tecnologie. A presiederlo ha chiamato il Nobel Rubbia che formò, nel breve volgere di pochi anni, giovani altamente professionalizzati tanto che un imprenditore intelligente, coraggioso e, soprattutto, conoscitore del mercato, quale il sanlurese Soru, utilizzando quei giovani, ha dato vita a Tiscali, una delle industrie più moderne e forti d’Europa.
È vero che il turismo ci è stato imposto, ma la civiltà dell’accoglienza era nel cuore dei Sardi da sempre e credo che, oltre le suggestioni delle trasparenze marine, i turisti apprezzino gli affascinanti misteri della civiltà nuragica che, accanto alle strutture possenti, quali appunto sono i nuraghi, sapevano esprimere le loro spiritualità nella raffinata eleganza dei bronzetti.
È vero, la situazione odierna non è entusiasmante né in campo nazionale, né regionale; basti pensare alle continue zuffe della maggioranza berlusconiana, che paralizzano Giunta e Consiglio regionale, per capire il senso di diffusa delusione che c’è in Sardegna.
La delusione non è però indifferenza né abbandono, è amarezza per gli obiettivi elusi e trascurati da chi si limita ad esercitare solo potere.
Il popolo non chiede altro che di avere fiducia per riprendere la battaglia, per riaffermare, in libertà, il proprio ruolo nel contesto nazionale e internazionale.
Non vogliono essere appiattiti, né fagocitati da Paesi egemoni, sebbene dialogare con loro, lombardi o lorenesi, turchi o tunisini con pari dignità da italiani, europei e mediterranei, ma prima e, soprattutto, Sardi.
La stessa Costituente così duramente criticata da Cossiga (salvo le furberie attribuite a taluno e le oggettive difficoltà dell’iter parlamentare) ha avuto il grande merito di mobilitare larga parte dell’opinione pubblica, richiamandola alla severità dell’autogoverno.
Capisco che si possano percorrere anche altre strade ma tant’è; il Consiglio regionale ha così deliberato e non sarò certo io a lottare per delegittimarlo.
Altea ha avuto l’impressione che fra me e Cossiga vi sia stato un fitto conversare; in verità non sono riuscito a dirgli nulla di significativo, ma solo ad ascoltare le sue pur interessanti interviste.
Avrei voluto dirgli che l’essere stato autorevole Ministro del Governo nazionale, Primo Ministro e prestigioso Capo dello Stato, non cancella ma esalta la sua sardità.
Torni fra noi con l’empito giovanile che anima il suo quotidiano operare, riprenda l’appassionato dialogo con la gente, ricordando ciò che in fondo tutti sanno: l’unica forza della Sardegna sta nell’unità del suo popolo. In questo impegno non sarà solo.
L’amore di Sardegna è nella stragrande maggioranza dei cittadini. È un potenziale di per sé invincibile. Riprendiamo il cammino dei Padri onorando gli alti valori morali, prima ancora che politici, di quel documento che Cossiga ama orgogliosamente portare sempre con sé: la tessera sardista di suo padre.
Intervento giornalistico – novembre 2002
29 Aprile 2022 by