Intervento dell’on. Mario Melis alla Tavola rotonda: “Quale “Autonomia per lo sviluppo della Sardegna” – Cagliari, 25 Settembre 1985
Anch’io avrei gradito sentire anche altre voci se pur critiche per dare risposta visto che non sono qui per fare dichiarazioni programmatiche che ho già reso al Consiglio Regionale che hanno costituito la base di un dibattito che vedo infatti non è sfuggito al prof. Usai e nel corso del quale si è parlato sostanzialmente di tutti i temi che il prof. Usai poc’anzi con passione e competenza ha toccato.
Posto che è difficile parlare di questi argomenti senza approfondire i temi e le ipotesi delle quali sin qui si è parlato, io penso che noi dobbiamo ampliare e approfondire, posto che l’autonomia è certamente una conquista culturale e una presa di coscienza della soggettività e peculiarità politica che la collettività regionale acquista sul piano istituzionale e la esercita attraverso gli organi che democraticamente la costituzione ha previsto attraverso cui garantisce e tutelala collettività perché i cittadini restino cittadini e non degradino al ruolo di sudditi. E prima di tutto dicevo è una presa di coscienza del proprio diritto/dovere di costruire in autonomia il proprio sviluppo pensando all’esterno in termini di solidarietà e non di dipendenza, non di passiva ricettività degli impulsi degli indirizzi, delle indicazioni che possono venire dall’esterno quella è una concezione centralistica che l’autonomia ribalta e che ripropone in termini antitetici; la creatività deve nascere all’interno della società autonoma e deve proporsi in termini creativamente fecondi alla collettività dello Stato perché nel suo ruolo di sintesi di contemperamento di coordinamento di ciò che più vitale le comunità locali riescono ad esprimere va ricondotto ad unità di sforzo… una politica che nasce quindi dal consenso e non dal potere di imperio di un governo centrale da un consenso e da una proposta che nell’autonomia trovano la loro legittimazione, la loro elaborazione, la loro garanzia, la loro prospettiva.
Chiaro che però l’autonomia, lo diceva sotto altra forma Zaru, deve vivere non in uno splendido isolamento in una astrattezza che la trasforma in una grande solitudine, deve vivere in correlato al contesto politico, territoriale, istituzionale, all’interno del quale esplica la propria azione, quindi all’interno dello Stato mobilitando tutte le energie e le solidarietà che all’interno dello Stato sono proponibili e possibili, all’interno della più vasta aggregazione demografica cui tutti tendiamo e che è l’Europa dei popoli, l’Europa delle regioni, l’Europa di quelle entità etiche che esprimono le realtà locali, i francesi sono certo francesi, ma i borgognoni sono molto più borgognoni che francesi e i bretoni sono molto più bretoni che francesi, si ritrovano tutti, all’interno della statualità francese e la difendono perché capiscono che è lo scudo che insieme li tutela e li rappresenta internazionalmente, però gli alsaziani o lorenesi o i catalani in Francia del Rossignone francese o gli stessi baschi francesi rivendicano un loro ruolo propositivo ed è uno Stato, che pur non avendo riconosciuto le regioni, soffre di questa incoerenza fra la forte personalità e caratterizzazione delle realtà locali e il codice napoleonico che ancora le imprigiona all’interno di una logica centralistica che non è più accettata nel Belgio che vede messa in discussione la sua sopravvivenza come Stato unitario per le non compatibilità tra le due realtà nelle quali si articola tra fiamminghi e valloni, ma la Spagna attraverso gli andalusi, i catalani, gli alsaziani così continuando o gli inglesi che nella Cornovaglia trovano scarse compatibilità col Galles e il Galles con la Scozia o la Scozia con l’Irlanda, la storia d’Europa è una storia di minoranze.
L’Italia stessa ha vissuto gli anni ruggenti e splendidi della sua grande civiltà laddove ha consentito e ha potuto esprimere la genialità creativa delle sue popolazioni. Cosa era Urbino, ma era una capitale che produceva, cultura che produceva statualità che era un centro di diffusione d’impulso di progresso, ma cosa è stata Firenze, ha insegnato la civiltà al mondo sul piano culturale, sul piano commerciale sul piano industriale. I segreti di fabbrica erano custoditi eccome! con quanta severità e con quali severe pene, nel 400 tra i lanaioli fiorentini, esportavano in regime di monopolio perché erano i soli industriali capaci di produrre certe merci, ma la loro capacità commerciale, la loro capacità finanziaria li poneva al centro delle economie finanziarie del mondo, prestavano i soldi agli Stati o le Repubbliche marinare.
Erano tante realtà diverse tante culture diverse tante potenzialità diverse, cioè la genialità creativa quando non è appiattita dal conformismo, quando non è ricondotta a meccanismi che sono ripetitivi e che costringono tutti a muoversi all’interno di schemi fissi che vanno dalla valle di Bormio, dalla Valtellina, fino al la valle del Belice è chiaro che risponde al valore della coerenza esalta però le potenzialità specifiche beneficio della collettività. Io l’altro giorno partecipavo a Ponte di legno ad un dibattito sulla realizzazione del parco dello Stelvio dell’Adamello o delle montagne del Bergamasco che incombono in quelle zone e mi si diceva e la Sardegna?, il Gennargentu non è lo stesso, sono realtà diverse, sono problemi diversi. Non si può diffondere una normativa che valga altrettanto bene per queste realtà e per realtà profondamente diverse, quindi l’autonomia è un fatto non solo italiano ma visto che siamo in Europa è un fatto europeo e, noi siamo tenuti a vederla in questa prospettiva. Certo, quando si parla però di che cosa noi possiamo fare dobbiamo dire che molte cose sono state fatte, moltissime non sono state fatte, se io avessi avuto la percezione di questo tipo di impostazione del nostro discorso vi avrei portato le dichiarazioni del Presidente della Regione in proposito.
Noi non possiamo scaricare sugli altri le nostre inefficenze i nostri ritardi le nostre incapacità di dare risposte reali a problemi altrettanto drammaticamente presenti. Ed in questo senso credo che le dichiarazioni del Presidente della Giunta, in sede di dichiarazioni programmatiche, abbiano fatto il punto in termini estremamente severi e durissimamente autocritici; noi prima di tutto dobbiamo restituire ai sardi una struttura capace di produrre amministrazione, quanto meno questo, perché ancor prima di produrre linee politiche dobbiamo produrre amministrazione.
Abbiamo una regione che è pressoché paralitica, che nel corso degli anni si è andata appesantendo, si è andata, come dire, incrostando di procedure e di pesantezze così corpose, per cui tra la decisione politica dell’intervento amministrativo e il suo realizzarsi passano mediante 3 anni, e in un periodo come questo nel quale le attività economiche si svolgono con la dinamica così incalzante dei tempi reali nei quali l’informazione e i collegamenti si svolgono con una rapidità che è di ore tra un continente e l’altro, noi non possiamo far attendere le nostre decisioni all’operatore senza disincentivare il suo operare, cioè la Regione ormai si è trasformata in uno strumento così lento così tardigrado che finisce col disincentivare lo sviluppo. È una situazione della quale dobbiamo prendere consapevolezza dobbiamo porre mano alla riforma della Regione alla riforma delle procedure, alla riforma della struttura, alla disarticolazione del potere evitando la verticalizzazione che ne abbiamo fatto in termini regionali, trasformando la giunta regionale e gli assessori in detentori di una gestione di potere che non gli spetta che va restituita ai suoi naturali soggetti che sono la democrazia di base i comuni, i consorzi di comuni, le comunità montane, i consorzi di bonifica, le strutture che gestiscono nel concreto i problemi della vita locale restituendo a questi soggetti la gestione del potere e riservando alla Regione quelli che sono i suoi compiti più qualificanti che sono la legislazione la programmazione, il coordinamento, l’impulso, l’indirizzo, un potere vicario se del caso, ma mai un potere sostitutivo di quelli che sono i poteri naturali della democrazia di base e questo bisogna farlo. La Giunta regionale se lo è posta come problema, non più tardi di ieri la Giunta regionale ha già cominciato a individuare i possibili collaboratori che saranno chiamati ad elaborare nel concreto le soluzioni tecnico-scientifiche attraverso le quali questi problemi possono risolversi posto che gli obiettivi politici sono stati già da tempo individuati dallo stesso consiglio regionale.
Si è fatta una domanda sulla zona franca doganale.
Voglio sottolineare che io sono qui non come rappresentante del partito Sardo d’azione ma come Presidente dell’Amministrazione regionale e quindi debbo esprimere non il parere del mio partito, ma il parere della coalizione che guida il governo della Regione e non vi è un parere ostile anzi vi è tendenzialmente un parere favorevole che va definito (“se lei non filmasse mi farebbe una cortesia”) che va meglio definito; ed è un problema già acquisito dallo stesso Governo dello Stato tant’è che il Presidente del Consiglio l’on. Craxi, venendo a Cagliari in occasione dell’inaugurazione della Fiera Campionaria, ha confermato l’interesse del Governo su questo problema sottolineando i passi già espletati dal Governo presso la comunità economica Europea, perché si consenta una deroga agli indirizzi delle comunità per consentire in Sardegna una forma di franchigia doganale. Saranno i punti franchi, sarà la zona franca, secondo me non è che abbia molta importanza non è l’estensione territoriale quello che conta, questo è il problema, è la qualità che deve caratterizzare la franchigia doganale, se cioè io indirizzo la franchigia doganale alle merci faciliterò i consumi, e questo non so quanto ci giovi, perché i consumi a costi particolarmente ridotti facilitano le importazioni e quindi la dipendenza dall’esterno e 1’impoverimento del mercato finanziario sardo. Saremmo tributari all’esterno delle nostre risorse, accumuleremmo risparmi per esportarli acquisendo dall’esterno le forniture.
Allora il problema non è tanto di finalizzare la zona franca o la franchigia doganale alle merci, quanto ai soggetti che dovranno operare, cioè noi vogliamo una zona franca volta ai processi di trasformazione, allora dobbiamo indirizzarla all’industria cioè all’industriale, all’operatore industriale che importerà materia prima, trasformerà questa materia prima aggiungendovi il valore del lavoro ed esporterà più che materia prima esporterà lavoro, avendo in vantaggio però di non pagare 1’IVA su questo valore aggiunto e creando quindi condizioni di competitività sul mercato internazionale, condizioni tali da vincere le diseconomie dell’insularità, le diseconomie che ci derivano dal costo dei trasporti e da tutta un’altra serie di condizioni di sfavore conseguenti per esempio al particolare costo della distribuzione commerciale qui in Sardegna. A Milano sono 3 milioni di persone in poche decine di km, in Sardegna sono un milione 500 mila persone in 24 mila km, voi capite che la distribuzione commerciale in un mercato di questo genere è molto più costosa che non in un mercato che ha una concentrazione. Ci sono tutta un’altra serie di fattori e quali per esempio il rifornirsi di materie prime che per l’operatore economico sardo comporta una immobilizzazione di capitale, tale condizione è sconosciuta all’operatore economico del continente. Perché a quello se gli mancano le lamiere per completare un certo lavoro fa una telefonata e mezz’ora dopo ha le lamiere in fabbrica. Se lo fa 1’operatore economico sardo deve aspettare 15 giorni che la nave gliele carichi e gliele porti in Sardegna e allora per evitare questa interruzione nel suo processo produttivo si deve fare scorte di materia prima che comportano immobilizzazione di capitale
e quindi di una situazione di maggiore pesantezza di maggiori esborsi di interessi ecc..
Tutti questi svantaggi noi li possiamo vincere attraverso una maggiore solidarietà dello Stato nella gestione dello strumento fiscale che può essere la franchigia doganale, non tanto perché il dazio doganale è di per se rilevante, ma travolge l’incidenza del tributo nazionale e questo rappresenta il grande vantaggio. Ecco quindi che si tratta di uno strumento che va studiato non in termini squisitamente ed esclusivamente politici, ma in termini di mercato e non di mercato mediterraneo, non di mercato locale, ma in termini di mercato mondiale; vanno viste queste opzioni attraverso un progetto di fattibilità che dovrà essere studiato da dei tecnici che la Giunta regionale sta individuando e ai quali conferirà l’incarico di presentare un progetto di fattibilità con le scelte operative sulle quali ci confronteremo con il Governo. Ma con il Governo non ci dobbiamo confrontare solo su questo punto, ma su tutto il progetto di autonomia, io ricordo un anno e mezzo fa ero ancora deputato, prima che mi dimettessi per assumere la carica che oggi ricopro e di cui sono molto onorato, e facendo un certo discorso in un dibattito al quale partecipava il Presidente del Consiglio posi il problema dello Statuto di Autonomia della Sardegna ed ebbi la grande soddisfazione di cogliere nella risposta del Presidente del Consiglio l’attenzione e il rispetto per un problema di questa rilevanza tanto che nelle sue proposte vi è stata l’assicurazione che si sarebbe dato vita ad una commissione paritetica Regione-Stato.
Si tratta di vedere se avrà caratteristiche prevalentemente politiche o prevalentemente tecniche, questa commissione paritetica per ridiscutere un rapporto che restituisca alla nostra autonomia il suo carattere di specialità che verifichi la rispondenza delle istituzioni autonomistiche così come sono state pensate dalle consulte e approvate dal Parlamento e recepite nella Costituzione attraverso lo Statuto o se invece quelle norme non si siano rivelate insufficienti e quindi meritevoli di ampliamento, certo che noi dobbiamo governare, io vi chiedo scusa, la sto facendo lunga, sto per concludere.
Volevo soltanto dire cioè che un’autonomia che non governi 1’economia non è autonomia, è un fatto di decentramento amministrativo. Bene noi non governiamo l’economia della Sardegna, un Consiglio regionale e una Giunta regionale che non sono in grado di governare l’economia, di dargli indirizzi. Non svolge appieno il suo compito.
Perché le banche o gli istituti finanziari raccolgono il risparmio in Sardegna, lo possono esportare, c’è un divario nettissimo tra raccolta e impieghi sui quali il Governo della Regione ha scarsissimo potere di decidere, occorre che quindi nella ritrattazione con lo Stato che si creino le condizioni perché questo potere sia rivendicato alla Regione nel governo delle partecipazioni statali che sono rappresentate in Sardegna.
Tra le strutture industriali più importanti vi è certo Mambrini, è un grosso industriale dinamico, creativo, pieno di fantasia però di fronte ad una Samim, di fronte a un ENI chimica, di fronte all’Euroallumina, all’ALSAR o come si chiamano oggi Alluminio Italia ecc.. evidentemente vi sono condizioni di disparità tali per cui il Governo regionale deve tener conto di tali aspetti nelle linee di programmazione industriale di questi istituti per poter coordinare la sua programmazione industriale.
Noi abbiamo tremila miliardi di bilancio, teniamo conto degli indirizzi dell’attività industriale di queste grosse istituzioni, questi però improvvisamente possono decidere di mutare totalmente i loro piani i loro programmi, ci mettono in “cassa integrazione” continua.
C’è necessità di una integrazione tra potere autonomistico e indirizzi dell’industria pubblica in modo che si possano valutare anche le ricadute degli investimenti dell’industria pubblica sull’economia isolana, i coordinamenti con le attività produttive locali, tutto un sistema di condizionamenti reciproci che facciano dell’attività dello Stato nelle sue diverse articolazioni un fatto armonico che metta in moto le sinergie e non gli scoordinamenti altrimenti noi paghiamo pesantemente questa situazione e la stiamo in gran parte pagando, per cui ecco qual’è il rapporto tra la Regione e il sindacato: la Regione è una controparte del Sindacato, né sembra abbastanza problematico il ritenere questo STATUS direi dialetticamente contrapposto; io credo che in gran parte noi ci muoviamo in sintonia, ci sono certo spazi, e importanti, nei quali dobbiamo confrontarci perché all’interno della programmazione regionale il sindacato deve svolgere un ruolo determinante e qualificante di grande prestigio e di grande determinazione però teniamo conto che dalle energie che possiamo mettere insieme nel confronto coi poteri esterni che sono estremamente condizionanti noi possiamo acquisire delle notevoli possibilità di successo per continuare il cammino che è faticoso e lungo ma che possiamo percorrere se lo percorreremo insieme.