Signor Presidente, signor Ministro, colleghi senatori, brevi considerazioni per motivare il voto favorevole della Sinistra indipendente al disegno di legge di delegazione. Non mi soffermerò nell’esame dell’articolo, condividendo l’analisi già ampiamente compiuta con lucida organicità dal relatore e dai colleghi che mi hanno preceduto. Se accetto l’impostazione generale, pur condividendo le riserve che attengono, fra l’altro, all’inopportuna quanto generica delega al potere giudiziario di individuare con criteri troppo spesso soggettivi e mutevoli la sussistenza dei presupposti giuridici dell’applicabilità, nel caso concreto, del provvedimento di clemenza.
Non ritengo utile ai fini di questo dibattito addentrarmi nella sottile disputa se il provvedimento di amnistia estingue il reato, come poc’anzi ci ricordava il collega Nencioni, o l’azione penale oppure l’efficacia della legge richiamata dal provvedimento abrogandola per quel breve arco di tempo all’interno del quale dispiega i propri effetti. È questo un tema di indubbio valore dottrinale, ma scarsamente rilevante per gli scopi di politica penale proposti alla nostra riflessione con il provvedimento in esame.
Non mi pare neanche di grande interesse individuare una nuova teoria che dia all’atto di clemenza caratteri e fisionomia etico-giuridici diversi da quelli originali (donum principis) o ne faccia un moderno strumento dello Stato democratico volto a recepire i nuovi valori emersi nella opinio iuris della collettività. La verità è che il Parlamento sta oggi esprimendo una precisa volontà politica e che a tal fine si avvale degli istituti previsti dal nostro ordinamento giuridico e consacrati nella Carta costituzionale.
Va detto subito che l’istituto dell’amnistia, nella valutazione del nostro Gruppo, è superato ed antistorico: revoca in dubbio la certezza del diritto, vanifica la tutela penale dei beni aggrediti con l’azione criminale, delude le legittime aspettative di giustizia delle persone offese; non si ristabilisce l’equilibrio giuridico turbato con la violazione della norma penale ed il reato resta così impunito. Questo va detto per chiarezza degli assunti di principio, onde evitare che il consenso che all’approvazione del disegno di legge il nostro Gruppo si accinge a dare aquisti significati diversi da quello che ne è in effetti alla base.
La verità è profondamente diversa e trova la sua genesi in motivazioni di ordine eminentemente politico. La prima fra tutte — lo dicevo inizialmente — attiene all’emergere di valori etici e sociali profondamente diversi da quelli assunti dal legislatore nel momento della formulazione delle ipotesi di reato e della loro sanzione penale. Siamo tutti consapevoli del lungo e travagliato evolversi della nostra civiltà giuridica dal 1930, data della promulgazione del codice penale, ad oggi. La comunità nazionale ha saputo elaborare modelli di comportamento e di vita acquisiti con duri sacrifici, la cui genesi ritroviamo nell’emergere della coscienza sociale di nuovi valori etici, come nella marginalizzazione di altri non più sentiti attuali. Compito del legislatore è quello di cogliere con sensibile tempestività le linee di tendenza traducendo la nuova esigenza morale in norma giuridica.
Certi fatti che per la loro eccezionalità non minacciavano il sereno convivere della comunità e che pertanto non avevano dato luogo a ipotesi di reato oppure erano puniti con sanzioni particolarmente miti costituiscono oggi, per la loro diffusione e gravità, un pericolo reale che va prevenuto e represso in termini più puntuali ed organici. L’organizzazione di bande armate costituite per sovvertire violentemente l’ordinamento costituzionale dello Stato, la loro specialzzazione, le modalità stesse di tradurre in atto l’ideologia sovversiva, la loro estrema gravità postulano normative più specifiche e coerenti con la tutela dei beni che la collettività intende preservare e difendere. Si tratta di fenomeni criminali che appartengono alla nostra storia recente e di cui troviamo adeguato riscrontro nella legislazione codificata.
Così è da dirsi, passando ad altri tipi di beni non sufficientemente tutelati, per i reati di inquinamento, intimamente connessi e dipendenti dal tumultuoso evolversi della nostra economia da agricola ad industriale, reati particolarmente gravi perché aggrediscono e degradano la qualità della vita dei cittadini attraverso un processo di privatizzazione, a fini di puro profitto, di beni liberi in natura come l’aria e l’acqua, beni di cui gli inquinatori si impossessano restituendoli alla comunità adulterati e pericolosi alla vita. Così è da dirsi dell’abusivismo edilizio che, condizionando e degradando i centri urbani, li rende invivibili ed alienanti. Non parliamo poi del massacro paesaggistico ed ecologico delle nostre coste, sempre in tema di abusivismo edilizio.
Ma non meno allarmanti sono i reati contro la pubblica amministrazione, le diverse forme di corruzione attraverso le quali si avvilisce il ruolo della pubblica funzione, screditandola e diffondendo, per mero fine di lucro o di potere, la sfiducia dei cittadini nelle istituzioni dello Stato. L’esemplificazione potrebbe continuare, parlando del commercio dei medicinali adulterati, dei sequestri di persona a scopo di estorsione e così via, ma mi preme rilevare che il disegno di legge coglie questi aspetti e se ne fa carico escludendoli dai benefici del provvedimento. Questa è indubbiamente una caratteristica che lo qualifica e ne legittima l’approvazione.
Il nostro Gruppo valuta positivamente la inclusione dei reati di competenza del pretore, reati che per la loro scarsa rilevanza, per la modestia stessa dei beni aggrediti non suscitano allarme sociale e che in parte dovrebbero essere depenalizzati o puniti con pene alternative.
L’enunciazione, come è evidente, ha valore indicativo, posto che anche tra le ipotesi di reato punibili con un massimo edittale di tre anni, ne figurano diverse di tale gravità da meritare una sanzione più incisiva. Ben pertanto ha fatto il Governo ad escludere dai benefici del provvedimento le ipotesi che dall’esame dell’articolo possono desumersi. Non di meno — è inutile tacerlo – a queste motivazioni se ne aggiungono altre di valore contingente ma non per questo meno rilevanti e significative: l’urgente esigenza di allentare la tensione crescente in atto nel nostro sistema carcerario in conseguenza di un affollamento che ha superato in misura notevole i livelli di normale recettività, in uno con quella di alleggerire, quanto meno in parte, il grave arretrato degli uffici giudiziari, specie delle preture, alla cui competenza vengono con recenti leggi attribuiti compiti di sempre crescenti, esigenze che costituiscono una valida base di scelta in materia di politica penale.
Della amnistia beneficiano infatti i soggetti che si sono resi responsabili di reati di scarsa rilevanza penale, mentre dal beneficio dell’indulto sono esclusi coloro che hanno commesso reati che suscitano particolare allarme sociale. Ma su questo punto voglio essere molto netto: non riteniamo il provvedimento di clemenza lo strumento legislativo più corretto e coerente con lo spirito del nostro ordinamento, che pure lo prevede, ma neppure con lo spirito a cui si informa la nostra civiltà giuridica, democratica e repubblicana. Si doveva, proprio cogliere i nuovi valori etici emergenti dalla coscienza giuridica della collettività nazionale, dare corpo ad un complesso di norme quali la depenalizzazione dei reati meno gravi e l’istituzione di pene alternative per altri, coordinandole con il nuovo codice di procedura penale, con la riforma dell’ordinamento giudiziario e con la nuova legge penitenziaria; creare insomma un quadro organico di norme che esprimessero una coerenza civile, ancorché di tecnica penale, capaci di meglio rispondere ai nuovi modelli di vita e comportamento maturati nella coscienza giuridica dei cittadini.
Il provvedimento di amnistia costituisce perciò un semplice strumento anticipatorio del quadro di riferimento cui ho fatto cenno. In questo contesto mi pare indilazionabile por mano alla riforma del codice penale che a distanza di quasi mezzo secolo dalla sua emanazione non risponde più con la necessaria puntualità, specie per quanto riguarda i reati contro la personalità dello Stato, all’esigenza di una società profondamente mutata nelle sue strutture sociali, economiche, civili ed istituzionali. Con queste riserve, ma altresì con questa fiducia, il nostro Gruppo voterà a favore del disegno di legge di delega.
L’istituto dell’amnistia è superato e antistorico – Senato della Repubblica -VII Legislatura – 2 agosto 1978
30 Settembre 2021 by