Parte I – L’attuale situazione di crisi in Sardegna e le precedenti esperienze di attuazione dell’Art. 13 dello Statuto. La Questione sarda oggi – fine anni ’80
La Sardegna vive in questi anni una grave crisi che si manifesta attraverso precisi sintomi e indicatori:
– si riafferma l’aumento tendenziale del divario economico con le Regioni del Centro-Nord, cosi che il relativo rapporto, negativo, è stato nuovamente, nel 1983, quello del 1951;
– si avvertono segni di disparità persino rispetto a vaste zone del Mezzogiorno, zone che tendono a consolidare strutture di produzione e servizi relativamente consistenti;
– negli ultimi 10-15 anni vi è stato un sostanziale blocco dello sviluppo, una tendenziale inefficienza del sistema produttivo sardo, con limitati segni di ripresa solo nell’ultimo biennio;
– dal 1975 ad oggi vi è stato nell’Isola un incremento medio annuo di 8.000 unità nelle liste di collocamento che sono così passate da 45 mila alle circa 160 mila attuali;
– si è accelerato il processo di acculturazione e di conformizzazione culturale che ha avuto come effetto l’allentamento dei meccanismi di difesa propri dell’identità dell’etnia sarda.
La natura costituzionale della previsione dell’articolo 13 dello Statuto assume, ancora oggi, il carattere di riaffermazione solenne e giuridicamente “rigida” dell’obbligo dello Stato di “favorire la rinascita economica e sociale” della Sardegna, rimuovendo le cause del mancato sviluppo sia economico sia sociale.
È questa norma, non si può in questa sede non sottolinearlo, che più di ogni altra ha segnato in modo distinto il riconoscimento, all’atto della fondazione della Repubblica, della “speciale” condizione della società sarda, e quindi dell’obbligo a considerare operativamente la “questione sarda” come problema dello Stato nel suo complesso.
Questo impegno era, del resto, al centro delle conclusioni dell’indagine parlamentare d’inchiesta sul banditismo, a metà degli anni ’70: ad oltre 10 anni dalla relazione della Commissione d’inchiesta si rende perciò necessario, da parte della Regione e del Governo, procedere sia ad una verifica sullo stato di attuazione degli interventi in quella sede proposti sia ad un aggiornamento dell’analisi e degli strumenti operativi.
I termini del malessere regionale sono in parte mutati in questi decenni; ma è comunque presente una rete di “disagi”, antichi e nuovi. Ciò che è decisamente maturato è la consapevolezza delle misure politiche e amministrative necessarie per superare tale critica tradizione. E cioè: la crisi sarda è ancora fatta di isolamento e dipendenza (un tempo la carenza di trasporti e scambi; adesso l’occupazione del mercato interno e del sistema delle comunicazioni), di uso distruttivo delle risorse (ieri le foreste e i giacimenti minerari, oggi le coste, l’ambiente e le relazioni umane, i territori e le attività “impediti” dalle servitù militari), di impossibilità di prevenire la violenza (prima solo gli omicidi e i sequestri di persona, in seguito anche la droga e i reati connessi), di carenze e distorsioni di servizi pubblici (scuole, strade, amministrazioni locali, sanità, carceri e supercarceri, ecc.); e soprattutto è fatta ancora della difficoltà ad organizzare autonomamente il sistema produttivo e culturale regionale.
È però decisamente mutata nel tempo l’analisi delle strategie strutturali e procedurali da attivare per invertire il senso delle diverse spirali degenerative. In estrema sintesi si può qui perciò affermare che da un rapporto con lo Stato e con le classi dirigenti nazionali che tendeva a porre quasi esclusivamente la questione di “riparazioni” per le originarie forme di relazioni squilibranti (dall’unione diseguale” del 1848 alle politiche protezionistiche di fine ‘800) – e dopo l’illusione, delle prime due fasi della “Rinascita”, di poter risolvere lo “sviluppo” in termini di semplice autonomia e qualità di risorse – si è giunti alla consapevolezza della necessità di aprire una fase decisamente nuova delle relazioni Stato-Regione, per un diverso avvenire della programmazione in Sardegna, basata su tre scelte fondamentali:
– garantire la presenza decisionale (il “concorso”) della Regione nelle sedi in cui si stabiliscono le politiche dello Stato che abbiano un qualche riguardo con la Sardegna;
– assicurare che l’autonomia speciale dell’Isola sia, in tutte le fasi della programmazione regionale, il luogo di effettivi poteri, da quelli di proposta sino a quelli di attuazione, poteri rispetto ai quali debbono essere considerate strumentali e subordinate tutte le scelte statali che comunque coinvolgono interessi della Sardegna.
– assicurare alla Sardegna, dietro delega dello Stato, poteri autonomi di relazioni commerciali e culturali con Stati terzi.
Parte II – Obiettivi della nuova programmazione. Contenuto e ruolo del Piano
Le finalità strategiche della nuova fase di attuazione dell’art. 13 non possono che essere individuate sulla base di ciò che l’analisi concreta della situazione sarda e il connesso dibattito politico e culturale propongono.
Il motivo ispiratore fondamentale che dovrà permeare il complesso delle azioni programmate sarà la riumanizzazione dell’ambiente di vita, con la garanzia delle condizioni di base dell’esistenza: il lavoro, la libertà culturale, la pari dignità fra le persone e fra la Sardegna e i suoi interlocutori esterni. Condizioni essenziali per il perseguimento di questi obiettivi saranno la creazione, anche attraverso l’istituzione di un regime di zona franca, delle premesse a una moderna base produttiva; la garanzia delle necessarie quote di mercato interno ed esterno, le quali ultime hanno come condizione l’autonomia di relazioni con stati terzi; la tutela delle risorse; lo sviluppo dell’istruzione fondata sulla conoscenza della civiltà sarda e sul confronto tra questa e le civiltà altre; il potenziamento della ricerca scientifica; la valorizzazione della identità sarda e delle sue componenti: la lingua, cultura, storia. Sono le condizioni, queste, per realizzare un modello di sviluppo globale autocentrato che determini una fase di “accumulazione endogena” e di autonomia sostanziale.
Tale modello dovrà avere carattere “integrato, secondo una pluralità di accezioni:
⁃ a le relazioni fra produzioni materiali e culturali della Sardegna con quelle del resto dello Stato e del mondo dovranno essere promosse nel modo più ampio, in termini di reale reciprocità;
⁃ b soggetti pubblici e privati dovranno cooperare nell’Isola, a questi fini
⁃ c i diversi settori produttivi dovranno crescere favorendo interconnessioni e meccanismi di vicendevole riequilibrio. In particolare andrà stimolata l’integrazione tra produzioni tradizionali e settori di attività relativamente nuovi (ambiente, territorio, cultura, ecc.);
⁃ d dovrà prevedersi una diretta connessione tra produzione di beni e di servizi: il prevedibile ed auspicabile sviluppo del terziario avanzato e la destrutturazione del sistema industriale tendono del resto ad annullare i confini stretti della”produzione” in senso tradizionale;
⁃ e soprattutto dovrà puntarsi ad una complessiva ridefinizione del sistema territoriale regionale, con una integrazione profonda fra zone interne ed aree urbane e costiere, con positivi “scambi” reciproci in termini di ricchezza, valori, sistemi organizzativi.
Il Piano, attraverso finanziamenti e interventi aggiuntivi, dovrà rimuovere tutti i condizionamenti economici e sociali allo sviluppo della Sardegna, secondo indicazioni che l’analisi economica e la riflessione storica hanno ormai consolidato.
Si tratta a questo punto di perseguire un modello di sviluppi che coinvolga non solo l’apparato industriale, ma tutta la struttura economica, sociale e culturale. Le stesse battaglie a difesa della base produttiva esistente debbono essere inserite in un contesto più ampio che abbracci i problemi dell’innovazione, dell’efficienza dei servizi, della qualità del terziario, della ristrutturazione dell’agricoltura, i problemi del territorio, delle città, del miglioramento complessivo della qualità della vita; il problema, in definitiva, dell’acquisizione di strumenti e mezzi per la valorizzazione di un’identità la cui messa in mora è fra le cause non ultime della mancata rinascita.
In questo quadro vanno superate concezioni della programmazione che risultano del tutto inadeguate in contesti caratterizzati da forte innovazione, interdipendenza, mobilità. Questi fattori impongono un tipo di programmazione pubblica flessibile, gestita da apparati capaci di recepire le discordanze tra previsione e realtà e di predisporre rapidamente i correttivi necessari: una programmazione, cioè, più attenta a governare i processi economici, anziché a gestirli direttamente; a fornire un quadro di riferimento per tutte le attività produttive e a definire un progetto sociale che riveli chiaramente obiettivi e strategie di insieme.
La nuova legge di attuazione dell’articolo 13 dello Statuto dovrà recare norme, molto più incisive di quelle contenute nelle leggi precedenti, concernenti sia il concorso della Regione alla determinazione degli indirizzi della programmazione economica dello Stato, sia le sedi e le procedure per attuare quel processo costante di produzione di decisioni coerenti e di verifica della loro efficacia in cui sostanzialmente consiste la politica del Piano.
Lo Stato si deve impegnare a subordinare tutti gli interventi concernenti la propria attività ordinaria e straordinaria nel territorio della Sardegna agli obiettivi posti alla base del piano organi_ co, al fine di rendere tali interventi in linea di principio strumentali rispetto alla realizzazione dello sviluppo economico e sociale della Sardegna.
Nel Piano sono precisati ed articolati gli obiettivi generali della politica di rinascita (anche mediante la fissazione di risultati da conseguire e di parametri di verifica dell’efficacia degli interventi), sono indicati i progetti e le rispettive competenze di attuazione (compresi quelli da realizzare congiuntamente tra Regione e Stato), nonché gli altri provvedimenti di carattere legislativo e amministrativo la cui adozione si renda necessaria per il conseguimento degli obiettivi del piano, e sono infine quantificate le risorse occorrenti per l’attuazione delle politiche programmate.
La legge dovrà indicare gli obiettivi generali del Piano sui quali si dovranno concentrare gli interventi e le risorse, evitando dispersioni e sprechi. Tali obiettivi, che si inquadrano nella strategia di sviluppo integrato della quale si è parlato in precedenza, concernono:
– a la rimozione, riduzione o compensazione dei principali condizionamenti dello sviluppo;
– b la tutela dei valori ambientali, storici e linguistici;
– c l’infrastrutturazione e il risanamento idrogeologico del territorio e l’elevazione del livello dei servizi; – – d la creazione di nuovi posti di lavoro.
A) Per quanto riguarda i condizionamenti allo sviluppo, la cui rimozione dovrà essere onere finanziario dello Stato, il Piano dovrà prevedere:
– il coordinamento degli interventi nel campo dei trasporti interni ed esterni, concernenti sia il potenziamento dei porti, delle linee ferroviarie principali, della rete stradale e delle attrezzata re aeroportuali, sia il contenimento dei costi secondo il principio della continuità territoriale;
– gli interventi necessari per contribuire ad assicurare l’autosufficienza energetica dell’Isola, anche mediante l’impiego di fonti alternative e la gassificazione del carbone Sulcis, nonché attraverso l’inserimento organico della Sardegna nel Piano di metanizzazione statale, adottando nell’immediato misure compensative per ridurre i costi energetici del sistema delle imprese; va anche prevista la creazione di uno strumento tecnico di supporto alla gestione della politica energetica regionale;
– misure destinate sia a ridurre i costi e ad incrementare le disponibilità di credito per le attività produttive (tra cui le agevolazioni per la costituzione di consorzi-fidi tra imprese industriali ed artigianali, di un fondo rischi e di un fondo per le garanzie all’esportazione), sia ad assicurare alla Regione, in attuazione dell’art. 4 lett. b) dello Statuto, un concreto potere di indirizzo e di controllo della politica creditizia degli istituti di diritto pubblico operanti prevalentemente od esclusivamente in Sardegna;
– interventi per la modernizzazione del sistema produttivo, l’acquisizione e la diffusione delle nuove tecnologie e delle innovazioni, con particolare attenzione per le piccole imprese e per l’imprenditorialità giovanile. In questo quadro vanno previsti incentivi per agenzie che si propongano la creazione di nuove attività d’impresa;
– interventi per lo sviluppo di un moderno sistema agro-alimentare industriale basato sull’estensione dell’agricoltura irrigua, sulla valorizzazione delle colture agricole e sulla piena attuazione della riforma agro-pastorale.
B) In relazione alla tutela dei valori ambientali, storici e linguistici, il Piano dovrà prevedere un impegno organico dello Stato in direzione del potenziamento delle strutture universitarie e di ricerca, del complesso delle istituzioni culturali nell’Isola, impegno che si traduca nel finanziamento di un progetto della Regione sia per la ricognizione e la salvaguardia del patrimonio linguistico, naturalistico, antropologico, storico e di produzioni e convivenze tradizionali sia gli studi per la relativa evoluzione e modernizzazione, studi finalizzati, cioè, in senso applicato, alla complessiva armonizzazione e razionalizzazione del sistema ambientale, produttivo e culturale della Sardegna.
C) Per quanto riguarda gli interventi sul territorio e sugli aspetti civili, il Piano dovrà indirizzarsi:
– alla previsione operativa di interventi coordinati per la piena salvaguardia e per la valorizzazione dell’ambiente naturale, e ad un complessivo progetto di risanamento idrogeologico dell’Isola che comprenda la riforestazione organica del territorio, soprattutto nelle zone a rischio alluvionale, la regimazione dei corsi d’acqua, ed immediatamente il sistematico disinquinamento delle acque;
– alla piena utilizzazione delle risorse idriche sia per usi civili sia per quelli produttivi;
– al potenziamento della dotazione delle infrastrutture civili e produttive sia nelle zone interne che nelle aree urbane al fine di favorire diffusi processi di crescita generale ed equilibrata e di ridurre progressivamente il divario tra la Sardegna e il resto del lo Stato.
La questione urbana e quella delle zone interne acquistano, unite, nel nuovo Piano, eminenza specifica e complessiva, danno cioè il segno generale al nuovo progetto di società e di struttura produttiva, al progetto cioè che intende definire il superamento del “malessere” della Sardegna.
D) Per quanto riguarda infine l’obiettivo dell’incremento della occupazione – che assume rilievo decisivo in questa fase della rinascita, per il sommarsi di antiche e nuove ragioni, che concorrono a determinare una drammatica eccedenza dell’offerta di lavoro rispetto
alle potenzialità di assorbimento spontaneo da parte del sistema economico regionale – va tenuto presente che il suo pieno conseguimento richiede la messa in opera di politiche strutturali di non breve periodo, capaci di creare le condizioni per la ripresa dell’accumulazione delle imprese, per la localizzazione di nuove iniziative, per il consolidamento e la diversificazione del tessuto produttivo locale. È tuttavia indispensabile che il Piano preveda anche interventi immediati, sia per il sostegno tecnico e finanziario alla creazione di nuova occupazione da parte delle imprese, sia per la creazione di nuove opportunità di lavoro, che possono in particolare derivare dall’attuazione delle politiche per la riqualificazione dell’ambiente e l’elevazione dei servizi, a cui si è appena fatto riferimento.
Una specifica serie di interventi dovrà essere prevista per la rimessa in moto del processo di industrializzazione.
L’attivazione di tale processo non può aversi se non si pone l’industria come settore prioritario di intervento. Senza una industrializzazione diffusa infatti non è neppure concepibile un processo di sviluppo affidato esclusivamente ai settori agricolo, turistico e artigianale o terziario.
Se non si ipotizzasse per la Sardegna uno sviluppo industriale, radicalmente diverso ovviamente da quello finora perseguito, saremmo condannati, anche se avessimo un marcato sviluppo negli altri settori, a essere pur sempre ai margini delle aree sviluppate, cioè avremmo un tasso di sviluppo notevolmente inferiore a quello che ci potrebbe essere assicurato da una industrializzazione diffusa. Premessa a questa, non unica ma certo decisiva, è l’istituzione di un regime di zona franca.
In definitiva, la nuova legge di attuazione dell’articolo 13 dello Statuto dovrà rispondere fondamentalmente a due esigenze.
La prima è quella di intervenire in maniera adeguata a compensare e, nei limiti del possibile, a rimuovere le specifiche cause di sottosviluppo attraverso interventi straordinari e risorse aggiuntive da destinare a questo obiettivo specifico.
La seconda esigenza è quella di assicurare il concorso della Regione alla determinazione degli obiettivi della programmazione economica nazionale e il coordinamento dell’insieme delle politiche statali e di quelle regionali rispetto ai fondamentali obiettivi della rinascita dell’Isola. Si tratta cioè di dare un’interpretazione aggiornata e una attuazione effettiva al principio statutario del concorso della Regione, affermato specificamente dall’articolo 13 con riferimento al piano organico disposto dallo Stato per favorire la rinascita economica e sociale dell’Isola, ma la cui portata dev’essere estesa al complesso delle politiche pubbliche concernenti la Sardegna, com’è implicito nelle ragioni che ispirano e danno contenuto all’autonomia speciale e com’è d’altronde riconosciuto dalle norme di attuazione dello Statuto (art. 8 D.P.R. 19 giugno 1979, n. 348).
Ciò significa che il piano organico deve essere visto non come un ordinario provvedimento di mero finanziamento, ma come un atto avente rilevanza tale da incidere sui rapporti tra Regione e Stato, in una dimensione che ponga l’autonomia sarda come valore fondamentale, rispetto al quale debbono essere considerate strumentali e subordinate tutte le scelte statuali che comunque coinvolgano interessi della Sardegna.
In tale prospettiva l’articolato di legge dovrà pertanto, al di là delle pure dichiarazioni di intenti e delle affermazioni di principio, prevedere e definire precisi vincoli giuridici per tutti i soggetti statuali impegnati e coinvolti nei rapporti Regione-Stato.
In mancanza di ciò gli interventi speciali (come l’esperienza di due piani di rinascita ha ampiamente dimostrato) risulterebbero sostanzialmente inefficaci, a fronte di politiche ordinarie dell’amministrazione statale, delle aziende e degli enti pubblici nazionali orientate in direzioni divergenti rispetto agli obiettivi del piano, così come risulterebbe vanificata l’aggiuntività delle risorse straordinarie destinate alla Sardegna.
È dunque necessario non solo richiedere che sia riaffermata la responsabilità primaria dello Stato nel rinnovamento economico, sociale e culturale dell’Isola (superando peraltro la temporaneità e la settorialità che hanno finora caratterizzato l’intervento straordinario ai sensi dell’articolo 13 dello Statuto), ma altresì individuare procedure e sedi istituzionali che assicurino complessivamente il concorso della Regione, attribuendo a questa i poteri necessari perché tale concorso non si riduca a fatto formale od episodico, ma assuma i caratteri di processo costante di cooperazione nel conseguimento di comuni obiettivi (la “rinascita dell’Isola”),in una visione nella quale le particolari forme e condizioni di autonomia attribuite dalla Costituzione alla Sardegna si concretino in una effettiva capacità di autogoverno del popolo sardo.
Questo disegno richiede la contestuale messa in opera di diversi strumenti:
– un organo di governo nel quale si confrontino e cooperino al massimo livello i poteri dello Stato e della Regione e che sia dotato di un idoneo apparato amministrativo di supporto e di informazione;
– una procedura di verifica dei risultati conseguiti e di aggiornamento costante degli obiettivi e delle relative politiche di attuazione;
– norme che assicurino un congruo finanziamento del Piano, ed in particolare il trasferimento alla Regione di risorse effettivamente aggiuntive da impiegare – senza peraltro rigidi vincoli di destinazione – per l’attuazione delle politiche di sviluppo.
Le norme concernenti i punti sopra indicati dovranno costituire il nucleo essenziale della nuova legge di attuazione dell’articolo 13, che verrà quindi fondamentalmente a configurarsi come una legge di procedure e di risorse.
Parte III – Strumentazione istituzionale e finanziaria
Come già indicato la determinazione del contenuto del Piano e dei suoi stralci attuativi dovrà avvenire con il rispetto di due fondamentali principi politico-istituzionali:
– la responsabilizzazione diretta dello Stato e l’integrazione di organi e procedure fra Governo e Regione;
– la valorizzazione dell’iniziativa regionale e del carattere costituzionale dell’impegno per il Piano di Rinascita, che dovrebbe permettere di vincolare gli interventi statali e quelli per il Mezzogiorno, in Sardegna, agli obiettivi della programmazione.
Alla prima di tali esigenze potrebbe darsi soddisfazione, innanzitutto, attraverso la creazione di un organo misto, definibile Comitato Stato-Regione, quale sede politica di raccordo, della quale facciano parte in via ordinaria i ministri maggiormente interessati e il Presidente della Regione. Alle riunioni del Comitato potranno partecipare di volta in volta i ministri specificamente competenti sulle materie in discussione e, insieme al Presidente della Regione, gli assessori competenti. La presidenza del Comitato dovrebbe essere attribuita congiuntamente ad un ministro ed al Presidente della Regione.
È inoltre essenziale che il Comitato sia dotata di uno stabile apparato di supporto, formato con personale proveniente dallo Stato e dalla Regione.
Alla seconda esigenza (quella di valorizzare il ruolo della Regione e la forza costituzionale del piano), potrebbe darsi una risposta prevedendo che le proposte per le determinazioni di programmazione siano elaborate in sede regionale e poi verificate e sanzionate formalmente nel Comitato Stato-Regione per le parti di competenza statale.
Pertanto potrebbe ipotizzarsi, a questi fini, una procedura che preveda il tempestivo invio alla Regione sarda (alla Giunta che ne rende partecipe il Consiglio) e al Comitato Stato-Regione le relazioni programmatiche di settore attualmente previste dall’art. 3 della legge 468/1978 e tutte le altre informazioni che riguardino comunque azioni dello Stato in Sardegna, comprese quelle che siano collegate a politiche comuntarie.
Il Piano dovrà essere votato in tutte le sue parti dal Consiglio Regionale della Sardegna e per le parti di competenza della Regione (bilancio ordinario e risorse ex art. 13) diventa immediatamente esecutivo, mentre, per la verifica delle proposte adottate dalla Regione in merito alle politiche delle amministrazioni statali, il Piano viene sottoposto al parere del Comitato Stato-Regione. L’approvazione finale del documento di piano per le parti riguardanti gli interventi di competenza dello Stato e delle amministrazioni e aziende pubbliche e a partecipazione statale, compete al Consiglio dei Ministri (riunito naturalmente con l’intervento del Presidente della Giunta Regionale ai sensi dell’articolo 47 dello Statuto).
Ciò si rende necessario per dare al Piano efficacia di atto della programmazione statale, nonché per assicurare il raccordo con quegli atti, anch’essi di competenza del Consiglio dei Ministri (dalla presentazione di disegni di legge alle proposte di stanziamenti nel bilancio dello Stato), che possono rendersi necessari per l’attuazione del piano e che devono essere adottati in coerenza con i suoi indirizzi.
Inoltre, per garantire l’efficacia del Piano come strumento di indirizzo e coordinamento delle politiche pubbliche concernenti la Sardegna, è necessario prevedere in legge che i ministeri, gli enti e le aziende autonome dello Stato devono rispettarne i contenuti e che, a tal fine, i Ministri competenti emanano le necessarie direttive agli enti pubblici, alle aziende autonome e alle società a partecipazione statale.
Attuazione del Piano
Per gli interventi previsti nel Piano di sviluppo che richiedono per la completa attuazione l’iniziativa integrata e coordinata di differenti soggetti pubblici, regionali e statali, anche ad amministrazione autonoma, il Presidente della Regione Autonoma della Sardegna, d’intesa con il Comitato Stato-Regione, promuove la conclusione fra di essi di un accordo di programma che attui il coordinamento delle azioni di rispettiva competenza e, fra l’altro, ne determini i tempi, le modalità e il finanziamento stabilendo, altresì, i destinatari della gestione.
Per quanto riguarda le competenze di attuazione sarà comunque necessario (in coerenza con quanto più volte rivendicato dalla Regione) delegare alla Regione tutte le funzioni amministrative previste dalla legislazione sull’intervento straordinario nel Mezzogiorno, consentendole di valersi, per l’esercizio di tali funzioni, degli organi tecnici dell’intervento straordinario (FINAM – INSUD -ITALSTRADE – FORMEZ – IASM), che dovrebbe operare, in Sardegna, come struttura unitaria, al servizio della Regione al fine di assicurarne un più funzionale impegno per l’attuazione del piano di sviluppo regionale.
Per quanto riguarda la parte degli interventi di competenza dello Stato, l’obiettivo principale della nuova legge di rinascita dovrà essere quello di assicurare l’efficacia del coordinamento sulla base degli indirizzi del Piano e la puntualità delle procedure di verifica. Organo deputato a queste finalità, come si è detto, sarà il Comitato Stato-Regione.
Per quanto riguarda le politiche di competenza delle partecipazioni statali sembra opportuno mantenere la previsione (già contenuta nella legge 268, ma che non ha finora conosciuto un puntuale adempimento) di una conferenza periodica sui programmi delle partecipazioni statali, garantendo però:
– che, nel documento contenente le risultanze della Conferenza, il Ministro competente impartisca le conseguenti direttive agli enti di gestione;
– che, nel caso di mancato rispetto della periodicità stabilita per la conferenza o di non concordanza dell’azione degli Enti con le sue risultanze, la Regione possa richiedere il pronunciamento con propria risoluzione della Commissione parlamentare per le questioni regionali.
Particolare rilevanza, fra i problemi di attuazione del Piano, assume l’esigenza di coordinare con esso le decisioni assunte a livello di Comunità Economica Europea. Anche per dare concreta ed aggiornata attuazione al disposto dell’art. 52 dello Statuto, è dunque necessario prevedere che il Governo sia tenuto a sentire (od anche a raggiungere un’intesa con) la Regione sulle posizioni che esso intende assumere negli organi comunitari su materie attribuite dallo Statuto alla competenza legislativa della Regione, nonché sul contenuto dei disegni di legge di attuazione di direttive comunitarie nelle medesime materie e sui programmi interessanti la Sardegna che il Governo intenda presentare in sede comunitaria.
L’attuazione del Piano nella realtà regionale implicherà comunque l’adozione di procedure che siano, insieme, da un lato particolarmente agili ed efficaci, dall’altro sostanzialmente fondate sulla presenza decisionale delle istanze rappresentative. A tal fine potranno definirsi ipotesi su eventuali strutture di specifico supporto operativo che garantiscano l’effettività dell’iniziativa politica ed amministrativa della Regione e degli Enti Locali.
Procedure per la verifica dello stato di attuazione e l’adempimento del Piano
È opportuno, non solo per motivi pratici, ma anche per meglio sottolineare il carattere di atto della programmazione statale che è proprio del Piano, collegare strettamente le procedure per la sua verifica a quelle relative alla programmazione finanziaria e di bilancio dello Stato, coordinandole quindi con le norme statali vigenti in materia e con le relative successive modifiche.
Oltre all’ordinaria procedura di verifica, dovrà essere inoltre previsto che, qualora ne ravvisi la necessità ed anche non contestualmente alla citata verifica ordinaria, il Comitato Stato-Regione possa presentare al consiglio dei Ministri proposte di modifica del documento di piano, o richiedere l’adozione di altri atti amministrativi o legislativi che risultino necessari per dare attuazione alle decisioni del Piano.
Diseconomie e condizionamenti
Occorre definire in modo distinto la questione delle norme specifiche volte sia a compensare le diseconomie derivanti dall’isolamento e dalla dipendenza della Sardegna, sia a completare i grandi progetti di trasformazione avviati con i due primi piani di rinascita, sia a rimuovere i condizionamenti derivanti allo sviluppo sociale della Sardegna dalla mancata tutela e valorizzazione della sua identità culturale, sia a rispondere (anche con misure straordinarie di breve periodo, necessarie per l’eccezionale gravità della situazione) al problema della disoccupazione. La scelta che si propone è quella di inserire solo alcune di tali norme nella legge di attuazione dell’articolo 13, optando per una maggiore articolazione degli strumenti normativi.
Per quanto riguarda condizionamenti e diseconomie, il Piano dovrà prevedere:
– riforma coordinata e integrata del sistema dei trasporti interni ed esterni attraverso l’attuazione del principio della continuità territoriale, la partecipazione sul piano decisionale della Regione alla gestione dei trasporti esterni, il finanziamento di un piano regionale per lo sviluppo della viabilità e dei trasporti esterni;
– interventi necessari per contribuire ad assicurare l’autossuficenza energetica dell’Isola anche attraverso l’utilizzazione delle risorse locali, il carbone in primo luogo, la ricerca delle fonti di energia alternativa e il loro sfruttamento;
– misure destinate sia a ridurre i costi e a incrementare la disponibilità di credito per le attività produttive sia ad assicurare alla Regione un concreto potere di indirizzo e di controllo della politica creditizia in Sardegna;
– interventi necessari alla valorizzazione del patrimonio linguistico, storico, etnografico dei sardi;
– interventi per la modernizzazione del sistema produttivo, l’acquisizione, la ricerca, la diffusione delle nuove tecnologie e delle innovazioni e per lo sviluppo in un moderno sistema agroalimentare industriale.
L’aggravamento della situazione energetica sarda, determinatosi nel momento in cui il programma di metanizzazione ha visto l’esclusione della Sardegna, dimostra che le diseconomie potrebbero ripresentarsi nel futuro con altri problemi. Occorre pertanto sancire un principio per l’oggi e per il futuro in base al quale le diseconomie strutturali devono essere rimosse dallo Stato tramite interventi ordinari o straordinari dei competenti Ministeri, al fine di eliminare ulteriori penalizzazioni dell’economia sarda e dei cittadini sardi nei confronti del resto dello Stato.
Norme finanziarie
La legge di attuazione dovrà prevedere un meccanismo di indicizzazione per la rivalutazione degli impegni finanziari dello Stato programmati negli anni a favore della Regione.
È infine necessario giungere alla sistematica adozione di indici di carenza, con la conseguente esclusione di criteri collegati alla spesa storica, per la determinazione delle quote spettanti alla Sardegna sui finanziamenti statali ripartiti fra le Regioni, adottando a tal fine le necessarie modifiche legislative ed amministrative.
È necessaria, cioè, una modifica dei parametri della spesa ordinaria delle Amministrazioni statali che sia finalizzata alla eliminazione dei divari esistenti.
I divari non dovrebbero più essere calcolati rispetto alle medie nazionali, ma alle medie del Centro-Nord, e dovrebbero essere eliminati mediante obiettivi graduali – anche triennali – da raggiungere in % rispetto alle medie del Centro-Nord (70% – 80% – 90% – 100%).
Nel Piano dovrebbero essere indicati questi obiettivi e nei programmi le percentuali da raggiungere.
Come già indicato il Piano dovrà contenere gli impegni di spesa statale per la soluzione dei cosiddetti nodi storici, delle più moderne “diseconomie strutturali”, e per quei “progetti” integrativi specifici che potranno restare di competenza statale.
Nel Piano infine dovrebbero essere inizialmente previsti specifici finanziamenti destinati a “completamenti” di programmi od interventi già avviati con la legge 588 e la legge 268, come ad esempio:
– completamento della riforma agro-pastorale;
– completamento progetti di comparto del settore agricolo e della pesca;
– programma di forestazione e progetto legno;
– interventi per l’edilizia (settore abitativo, risanamento centro storici, edilizia industrializzata, etc);
– progetto minero-metallurgico