Il Sistema Portuale dell’Area Cagliaritana dopo il completamento del Portocanale – Cagliari – 13 giugno 1986

 

L’iniziativa assunta dall’ISPROM per avviare un confronto di idee e di posizioni su un problema di così pressante attualità come è quello della portualità sarda, e del sistema cagliaritano in primo luogo, cade in un momento particolarmente opportuno perché se ne possano trarre i maggiori benefici.
La situazione nazionale e quella internazionale, almeno a livello europeo, recano infatti il segno di un rinnovato e crescente interesse verso il tema dei trasporti, le cui politiche vengono positivamente rivalutate in quanto decisamente capaci di concorrere a determinare processi di sviluppo complessivi dei sistemi economici e territoriali, secondo insiemi di obiettivi espressi dai diversi e distinti livelli istituzionali.
Basti ricordare la recente approvazione del Piano Generale dei Trasporti, dove le opzioni fondamentali che riguardano la nostra terra sono state decise con il concorso attivo della Giunta regionale, sia in sede politica che tecnica; e, sul versante europeo, l’attenzione riservata alle grandi infrastrutture e particolarmente rivolta agli oggetti specifici dell’attraversamento della Manica, di quello di Gibilterra, dei ponti sullo stretto di Messina e sul Bosforo. In questo quadro può essere proposto, come grande tema d’interesse europeo, il problema dell’integrazione dei sistemi insulari con quelli continentali; e possono, anzi debbono, essere definite nei contenuti le ipotesi progettuali di intervento attraverso le quali si dia corpo alle opzioni del Piano Generale dei Trasporti che ci riguardano, precisandone configurazioni di assetto, tempi di attuazione, canali finanziari e soggetti istituzionali responsabili dei vari livelli di decisione. Perché, infatti, l’argomento va affrontato in tutta la sua complessità, non limitandolo al solo aspetto infrastrutturale ma estendendolo a quello dei servizi e delle imprese di trasporto; non badando unicamente alla politica degli investimenti ma determinandone anche gli assetti gestionali. Tutto ciò richiede una forte unitarietà del processo di decisione e quindi un efficace coordinamento della spesa complessiva: obiettivo questo non completamente centrato dal Piano Generale dei Trasporti poiché l’organismo di pianificazione previsto, il CIPET, è stato via via declassato nelle diverse fasi di consultazione del Piano, fino ad essere ridotto al rango di uno dei tanti Comitati funzionanti nell’ambito CIPE.
La capacità di decidere rimane pertanto tuttora in qualche maniera dispersa fra i numerosi Ministeri variamente interessati ai trasporti, e ciò richiede un’accentuazione del ruolo e della funzione dell’istituto regionale sia come luogo di sostanziale coordinamento dell’insieme dei problemi sia come sede di iniziative singole nei confronti dei Ministeri, Enti o Aziende di volta in volta chiamati ad esercitare precise responsabilità.
Queste considerazioni, di ordine affatto generale, investono ovviamente tutti i campi dei trasporti; dato che ci troviamo oggi a discutere sui trasporti esterni e particolarmente su quelli che riguardano l’elemento centrale del sistema portuale sardo, esse meritano alcune peculiari precisazioni.
È un dato ormai acquisito alla consapevolezza collettiva che il trasporto marittimo si stia sempre di più convertendo verso il sistema a container, diventato ormai l’elemento nevralgico di una nuova concezione di trasporto nel campo delle merci varie.
Infatti la completa automazione del carico, che così si verifica, permette una nuova dimensione produttiva del trasporto e fa nascere “l’industria del trasporto” consentendo notevoli riduzioni di costi rispetto ai sistemi tradizionali e grandi economie di scala.
Il British Transport Docks Board arriva a quantificare in oltre il 50% la potenziale riduzione del costo del trasporto che può essere ottenuta grazie all’uso del container, e che si concretizza in risparmi armatoriali (poiché dovrebbe diminuire la sosta della nave in porto con un più rapido turn over della stessa); in risparmi portuali (poiché la fase portuale diventerebbe un anello altamente automatizzato dell’intero ciclo con costi unitari molto bassi); e in risparmi amministrativi (poiché perdendo la merce parzialmente la sua identità e rimanendo il solo container come elemento in gioco, verrebbero semplificati gli interventi amministrativi sia dei funzionari delle compagnie di navigazione che degli intermediari).
L’insieme di queste economie controbilancia più che positivamente l’aumento dei costi dovuti all’introduzione della nuova tecnologia di trasporto e realizza un servizio ad alto valore aggiunto.
Si pongono tuttavia a questo punto i problemi connessi ad una profonda evoluzione nella struttura dei trasporti che inciderà sia sulla configurazione delle principali correnti di traffico sia, conseguentemente, sulle funzioni che i singoli porti saranno chiamati a svolgere.
Attualmente il Mediterraneo è interessato solo marginalmente dai grandi traffici. Lo stesso Piano Generale dei Trasporti riconosce che la possibilità di un recupero non dipende solo da un adeguamento funzionale dell’offerta ma dalla strategia generale che il Paese intenderà adottare nel medio periodo.
E allora vale la pena di introdurre nel sistema elementi di novità capaci, da un lato, di proporre condizioni di concorrenzialità con i porti del Nord Europa, e dall’altro di sfruttare l’occasione delle correnti merci di traffico Est-Ovest che si stanno sviluppando in questo periodo con ritmi notevoli.
Accennando alla necessità di una strategia complessiva che non riguardi soltanto l’offerta del servizio, mi riferivo al fatto che questi problemi non possono essere esclusivamente affidati alla responsabilità della politica marittima ma devono coinvolgere la politica del commercio estero e in generale la politica estera. E per richiamarsi ancora allo schema di impostazione del Piano Generale dei Trasporti, i due scenari dove vanno colte le opportunità di iniziativa e di sviluppo sono quelli dei servizi “giromondo” e del cabotaggio nazionale e mediterraneo. Inserirsi nel traffico dei servizi “giromondo”, che va prendendo piede in maniera sempre più decisa, presuppone il superamento della condizione di inferiorità nella quale in generale versa tutta la portualità mediterranea nei confronti di quel la nordeuropea, e quindi l’assunzione di una calibrata politica di investimenti nell’armamento e nelle strutture di trasporto, e l’adozione di un nuovo assetto gestionale dei porti come necessarie precondizioni per il successo dell’operazione. Le stesse considerazioni valgono, e a maggior ragione, nei confronti del cabotaggio poiché esso costituisce per noi il più importante mezzo di relazionamento con il restante territorio nazionale.
Va sottolineato a questo punto un dato importante del problema, e cioè il fatto che la modalità marittima di trasporto è quella che realizza, rispetto alle altre, i minori consumi energetici e richiede complessivamente investimenti per le infrastrutture relativamente limitati: ne consegue che se si eliminano i sovracosti ai quali va attribuita la generale situazione di inferiorità del sistema mediterraneo che ho ricordato poco avanti, essa è in grado di ridurre sensibilmente gli effetti geografici dell’isolamento e di produrre quelli positivi dell’integrazione dei sistemi economici e territoriali.
L’uno e l’altro degli scenari richiamati propongono la necessità di individuare dimensioni e funzioni da attribuire ai sistemi portuali indicati nel Piano Generale dei Trasporti: propongono perciò a noi sardi la necessità di un confronto a tutto campo in un quadro di riferimento nazionale e internazionale per stabilire dimensioni e funzioni del sistema portuale sardo e del suo nodo principale, Cagliari.
È evidente che, comunque sia, per la nuova filosofia del trasporto marittimo che si va affermando i porti saranno sostanzialmente di due tipi: quelli deputati prevalentemente allo smistamento dei container, e perciò fra loro collegati da linee di traffico di grandi dimensioni che raccoglieranno la domanda di trasporto di vaste aree economiche; e quelli che svolgeranno una funzione prevalentemente di terminal locale e che saranno collegati ai centri di smistamento attraverso linee marittime di minori dimensioni.
Ora il Mediterraneo si presenta come ambito ideale per un programma di questo tipo, e già iniziative in questo senso sono avviate o possono essere convertite da parte dei Paesi che vi si affacciano.
Stando così le cose, deve essere colta subito l’occasione per correggere strutturalmente lo schema direttore del sistema dei trasporti in qualche modo emergente a livello della Comunità Europea, perché viziato da una concezione doppiamente centralistica, in quanto prodotta unicamente su iniziativa degli Stati membri (in dipendentemente dal concorso delle Regioni mediterranee) e perché rafforza ancora di più gli Stati centrali d’Europa a scapito di quelli periferici. Affermare però, in questo quadro, che rimangono del tutto valide le ipotesi sul la cui base è stato a suo tempo varato il progetto del Porto Container di Cagliari è certamente rischioso, perché non sono state ancora verificate le condizioni strutturali del contesto nel quale questo Porto si colloca.
D’altro canto, è proprio per conseguire un simile risultato che è stata recentemente avviata, su iniziativa del Commissario del Governo per l’Intervento straordinario nel Mezzogiorno, la revisione del Progetto Speciale n. 1, attraverso la messa a punto di indagini e di studi per la riqualificazione dello stesso progetto, per l’individuazione di un modello ottimale di gestione portuale e per la formazione delle risorse di lavoro necessarie.
Ritornerò fra poco su questo argomento e su come esso dovrà essere gestito. Mi preme, per ora, sottolineare che giocano a favore o a svantaggio della scelta di localizzazione di un centro smistamento di container sia fattori interni che esterni al porto.
Fra i primi, possono essere annoverati le facilities offerte: oltre alla ovvia dotazione di infrastrutture portuali, di mezzi specializzati ecc. giocano un grande ruolo le disponibilità di spazio, dato che ogni accosto ha mediamente bisogno di almeno 6/10 ettari a sua diretta disposizione e deve poter contare su spazi necessari per lo smistamento, l’afflusso e il deflusso di mezzi terrestri, per i servizi, ed altro, spesso notevolmente superiori ai valori suddetti. Da questo punto di vista la situazione di Cagliari si propone con elementi di vantaggio rispetto alle altre del Mediterraneo.
I secondi fattori, e cioè quelli esterni al porto, rivestono un’importanza ancora maggiore ai fini della scelta ubicazionale: essi riguardano sostanzialmente la configurazione e il volume delle correnti di traffico, nei confronti delle quali il porto deve assumere una posizione geografica baricentrica dal punto di vista economico, e che rappresentano – ognuna – un problema a sé stante che va affrontato singolarmente.
Nell’ambito del sistema marittimo mediterraneo possono essere individuate, in prima approssimazione, tre grandi linee transcontinentali sul versante occidentale e tre su quello orientale. Le prime riguardano, attraverso Gibilterra, le destinazioni del Nord America, del Centro e Sud America, e dell’Africa Sud occidentale; le seconde, attraverso Suez, le aree dell’Asia occidentale, dell’Australia, e dell’Estremo Oriente. Per ognuna di queste, sarà utile verificare la localizzazione del centro di smistamento, individuandone il baricentro commerciale; e verificare altresì a quali condizioni, scali mediterranei possano esercitare una effettiva concorrenza con quelli, già attrezzati, nel Nord Europa.
Può essere dimostrato, a questo proposito, che proprio a seguito dell’evoluzione del trasporto containerizzato le relazioni di traffico fra le stesse grandi aree industriali del Mediterraneo Nord occidentale e, per esempio, il Nord America presentano condizioni di sostanziale parità, sia che seguano percorsi interamente marittimi, sia che si dividano in tratte terrestri (sino a Rotterdam) e marittime (da Rotterdam alla destinazione finale). Se questo è vero, la nostra portualità può entrare nel mercato dell’offerta se saprà giuocare un ruolo efficace verso la domanda.
Ma c’è un’altra considerazione che a questo punto vale la pena di introdurre nel nostro discorso, ed è il fatto che con l’uso del container il trasporto marittimo diventa competitivo rispetto al trasporto terrestre anche sulle medie distanze, cioè su percorsi di 400-600 miglia (750/1.100 Km.).
Ciò va sempre più determinando uno spostamento della domanda di trasporto dalle modalità terrestri a quella marittima: la conseguenza che ci riguarda più da vicino è che la posizione insulare della Sardegna tende a diventare sempre meno un handicap.
Naturalmente, perché ciò accada, occorre determinare un concorso di volontà verso il raggiungimento dell’obiettivo: i risultati positivi non sono mai infatti semplicernente connessi a fattori esterni alla volontà dell’uomo ma al contrario ne sono fortemente dipendenti.
Ci troviamo ora in una condizione relativamente favorevole al successo dell’operazione di cui stiamo discutendo.
Insieme con l’acquisizione di un nuovo stock di capitali sui canali di finanziamento della BEI, per il completamento del primo lotto funzionale del Porto di Cagliari (si tratta di 160 miliardi) viene avviato anche, come ricordavo più avanti, uno studio complesso e articolato sulla riqualificazione dello stesso Porto. Opportunamente l’analisi non si ferma a considerare la sola portualità cagliaritana ma estende l’interesse sino a comprendere tutto il sistema portuale sardo. Il Porto di Cagliari, al quale viene dedicata ovviamente la maggiore attenzione, si pone quindi come cerniera fondamentale dell’intero sistema portuale, in stretta interazione con gli altri elementi di esso.
Incidentalmente va sottolineata a questo punto la necessità di disporre di efficaci sistemi di collegamento interno (stradale e ferroviario) fra gli elementi del sistema portuale, e a questo fine la attuale Giunta Regionale si adopera sin dal momento della sua prima costituzione affinché sia possibile conseguire livelli di efficienza complessiva adeguati alle attese.
Il Protocollo d’intesa con le Ferrovie dello Stato rappresenta – e non mi stancherò mai di dirlo – l’esempio più significativo di questo tipo di iniziativa politica e di attività.
Per riprendere il filo del discorso principale per il quale ci siamo qui riuniti, devo ora proporre un aspetto della questione che, implicitamente contenuto in tutti i nostri discorsi, non è ancora emerso completamente.
Si tratta cioè di precisare come la politica dei trasporti, e quella del trasporto marittimo in particolare possano e debbano essere usate come strumento di promozione generale dello sviluppo economico e sociale della nostra Isola insieme con tutti gli altri strumenti tradizionali della politica economica. L’obiettivo principale è, e rimane, quello della integrazione del sistema economico e territoriale sardo con quelli esterni e delle diverse parti del sistema territoriale isolano tra di loro.
Da questo punto di vista prevale sugli altri il ruolo della pianificazione regionale, e quindi degli organi di governo ad essa preposti che si pongono come elementi di coordinamento e di indirizzo del sistema sia nei confronti degli organi della pianificazione nazionale sia in quelli dei livelli infraregionali, di ordine locale.
E infatti non può essere dimenticato che un porto è struttura fortemente radicata nel contesto territoriale locale che la contiene, capace di influenzarne il modulo di sviluppo e di esserne, a sua volta, influenzata: esso rappresenta in quest’ottica una grande esternalità per l’allocazione o la riallocazione delle attività produttive e di servizio nella propria area di influenza. È evidente quindi il legame che lo connette con l’area urbana più direttamente pertinente, dalla quale dunque deve essere in qualche misura possibile esercitare un controllo istituzionale su di esso.
Siamo di fronte per questo motivo al punto nodale del nostro confronto: da un lato, per i ragionamenti esposti nella prima parte di questa relazione, le possibilità di successo per l’inserimento del sistema portuale sardo e del cagliaritano in ispecie nel vasto contesto del panorama mediterraneo ed internazionale dipendono dalla capacità che sapremo esprimere di gestire questo patrimonio con grande managerialità, efficienza (in senso tecnico o produttivo) e rapidità di decisione; dall’altra, le strutture di cui parliamo sono così profondamente integrate con il contesto generale d’area da richiedere l’istituzione di un controllo democratico sulla loro configurazione e sulle politiche di gestione. Il problema è più complesso di quanto a prima vista non appaia, anche perché entrano in giuoco non soltanto i soggetti istituzionali (Governo nazionale, Regione, Provincia e Comune) ma anche i soggetti economici, soprattutto quelli che producono l’offerta dei servizi.
L’attuale situazione dei porti italiani è a questo proposito caratterizzata da condizioni di disordine e di casualità.
È noto a tutti che l’ordinamento del lavoro portuale italiano ha origine dal Codice della Navigazione del 1942 il quale affida in esclusiva ai lavoratori portuali riuniti in “Compagnie” o “Gruppi portuali” l’esecuzione delle attività manuali connesse con il carico e lo scarico delle merci nell’ambito portuale, quindi sia sulla banchina che a bordo delle navi.
Successivamente all’emanazione del Codice, e con leggi speciali, sono state definite alcune tipologie di gestione portuale (gli Enti Porto, le Aziende dei Mezzi Meccanici), per cui possono essere ravvisati oggi sostanzialmente tre modelli: quello che si basa sul binomio Ente -Compagnia; oppure su Azienda Mezzi Meccanici – Compagnia; oppure ancora sulla sola Compagnia.
In qualche misura, la creazione dell’Ente Porto rispondeva alla esigenza di controllo democratico che ho prima richiamato, ma la esasperata burocratizzazione di tale organismo ne ha annullato progressivamente il carattere di ente economico per farlo diventare più un ostacolo che un incentivo allo sviluppo delle attività portuali.
Il caso di Genova è emblematicamente rappresentativo di questa affermazione; e proprio a Genova è in atto un forte tentativo di recupero attraverso la semplificazione degli strumenti di gestione.
A titolo di curiosità, possono essere citati i 36 diversi enti che agiscono nel Porto di Cagliari ognuno con competenze definite sul piano legislativo e che tuttavia in molti casi si intersecano producendo conflitti di competenza o vuoti di potere.
È evidente che non può più essere tollerata una situazione del genere e che deve pertanto essere accelerato quanto più si può l’iter della formazione e della approvazione di una nuova legislazione del lavoro portuale, la cui competenza risiede nel Ministero della Marina Mercantile.
Ma si può sin d’ora presumere, senza paura di sbagliare troppo, che questo iter non sarà né rapido né indolore. Occorre pertanto rispondere all’esigenza di rinnovamento utilizzando al meglio gli elementi positivi già oggi offerti dalla legislazione vigente. Limitando per ora l’attenzione all’ambito del sistema regionale sardo (il quale per altro, per le considerazioni su esposte, è interconnesso con quello nazionale sia sul piano funzionale che su quello istituzionale) possiamo distinguere un ruolo strategico-istituzionale e un ruolo operativo: al primo andranno connesse le attività di pianificazione e di controllo; al secondo più propriamente quelle di gestione.
Il primo livello si identifica con la dimensione regionale del problema dove per tanto sarà principalmente curata la politica degli investimenti e quella tariffaria attraverso le quali si garantisce l’unitarietà dell’insieme e si riducono i pericoli di conflitto e di concorrenzialità esasperata fra i singoli porti. Il secondo livello appartiene all’ambito più strettamente locale e di subsistema portuale. Qui il carattere imprenditoriale e manageriale nella conduzione della “impresa porto” deve manifestarsi completamente.
Non è infatti automaticamente vero che alte tariffe portuali siano di per se compressive della domanda di servizio: nei porti del Nord Europa le tariffe sono finalizzate all’obiettivo del pareggio di bilancio eppure tali porti attraggono quote sempre più consistenti di trasporto perché offrono servizi rapidi e economicamente convenienti al vettore.
I costi fissi della nave sono infatti di molto superiori a quelli variabili: è dunque interesse del “cliente-nave” ridurre quanto più è possibile i suoi tempi di permanenza nel porto.
La finalità principale del livello operativo deve essere perciò quella della efficienza tecnica.
Lo strumento di gestione giuridicamente più adatto per realizzare questa finalità è certamente la Società per azioni.
È possibile coniugare l’esigenza del controllo democratico con quella della razionalità e della rapidità delle decisioni costituendo società miste dove il capitale pubblico abbia la maggioranza e dove quindi siano istituzionalmente presenti gli enti locali direttamente interessati al governo del sub-sistema. E per parlare più specificamente del caso di Cagliari, qui più che altrove si presenta con evidenza la necessità di un funzionamento e di un dominio unitario delle singole parti che costituiscono il sub-sistema, da quella – importante – che è il Porto Canale in fase di ultimazione, all’attuale Porto Commerciale, al Porto pescherecci, al Porto turistico.
Deve essere realizzato un continuum funzionale e territoriale fra queste distinte sezioni dal momento che il funzionamento in regime di pull è di parecchie volte più efficace, nei confronti di una domanda di servizio stocastica, rispetto a quello così detto del “single service”.
In questo quadro, i soggetti pubblici e privati partecipanti alla società per azioni dovranno esprimere la loro funzione ai livelli massimi di professionalità e competenza; e la stessa compagnia portuale alla quale gli articoli 108 e 110 del Codice della Navigazione riservano oggi di fatto il monopolio del lavoro portuale, dovrà trasformarsi sempre di più in impresa capace di gestire con alta managerialità la propria funzione, abbandonando quella posizione di rendita che la recente storia ha dimostrato non pagante nemmeno sul piano della difesa di interessi corporativi.
Naturalmente gli argomenti dei quali ci siamo fin qui occupati richiedono riflessioni e analisi successive per il loro approfondimento.
Non dimentichiamo che esiste un forte legame attraverso il quale si interconnettono le decisioni della pianificazione territoriale di ambito vasto, con quelle della definizione progettuale dei singoli elementi di essa (in questo caso del porto) con quelli infine della politica di gestione e di controllo nella produzione dei servizi.
Il supplemento di indagini che prende ora le mosse sotto il controllo e la guida della Regione, con la partecipazione della ex Cassa per il Mezzogiorno (che lo finanzia), del Consorzio per lo Sviluppo dell’Area Industriale di Cagliari e del la SIACA ha proprio lo scopo di precisare i contorni ancora indefiniti e di tracciare una strategia di comportamento attraverso la quale, rispettando le premesse, possa essere da subito giocata la carta della nuova portualità cagliaritana.