Intervento del Presidente alla 2° Conferenza delle Regioni del Mediterraneo – Malaga – 16/18 settembre 1987

 

La mia relazione è stata già distribuita e voi potete prenderne visione e valutarne gli argomenti.
Consentitemi di svolgere oggi altre considerazioni suggeritemi dallo svolgere dei lavori sulla giornata di ieri e di oggi.
Voglio, prima di tutto, esprimere il più vivo apprezzamento al Consigli d’Europa per l’iniziativa assunta nell’organizzazione di questo importante Convegno che ci chiama ad una riflessione critica sull’organizzazione attuale del trasporto marittimo e a ricreare soluzioni volte a favorire il riequilibrio territoriale fra le aree economiche ed etto-storiche europee e mediterranee.
In effetti, niente come il sistema dei trasporti può esprimere organizzativamente la colonizzazione di vaste aree economiche a vantaggio di altre, trasformando le une in fornitrici di materie prime e mano d’opera a basso costo, mentre le seconde, assumendo il ruolo industriale, non solo trasformano quelle materie prime in prodotti finiti, ma invadono con quei prodotti il mercato dei paesi fornito sfruttandoli così due volte.
In questi meccanismi economici va individuata la genesi della lacerante contrapposizione emulativa fra i paesi d’Europa, del Mediterraneo, del mondo; contrapposizione dalla quale scaturisce l’ampio disegno che si configura nella ripartizione delle vaste aree del Nord e del Sud capaci di ridurre molti stati, quando non addirittura interi continenti, subalterni e tributari di altri.
Questa politica di per sé globale e totalizzante e come tale attraversa al proprio interno l’economia degli stessi Stati colonizzatori riproducendo forme degradanti di sottosviluppo connesse e determinate dallo stesso sviluppo; né, certo, ha molta rilevanza il riferimento geografico ben potendosi realizzare il sottosviluppo come accade nei paesi scandinavi, nel Nord a tutto vantaggio del Sud.
L’asse fondamentale intorno al quale fioriscono le economie, la crescita civile, le stesse civiltà, resta la politica del trasporto con particolare riferimento a quello marittimo.
Non a caso le grandi civiltà si sono sviluppate in larga misura sulle sponde del mare dando vita a fiorenti economie marittime capaci, di per sé, di suscitare una vigorosa forza espansiva.
È di tutta evidenza che la politica non è di per sé neutrale; e tale non è la politica degli Stati.
Intorno a questa si aggregano interessi che tendono a coinvolgerne sempre di nuovi, articolandosi in strutture multinazionali per approdare a vere e proprie forme di oligopolio. Cessa allora la forza promozionale dello sviluppo per diventare la paralisi di questo, creando scompensi e squilibri che da economici diventano politici sottomettendo, in un rapporto di subalternità reale, vaste aree geopolitiche a favore di altre.
Si producono in tal modo tutta una serie di effetti fra loro incoerenti, ma tali non sono, se non nell’apparenza, quali l’assenza o, quanto meno, l’interruzione di organico rapporto con il mare di intere popolazioni rivierasche, giungendo a coinvolgere in questo processo, addirittura, quelle insulari, che proprio nel mare trovano limite ed invalicabile barriera, una vera e propria prigionia, anziché, come in effetti è, una grande e possente risorsa.
Per queste popolazioni, che non governano i loro collegamenti marittimi, si accentua la dipendenza dall’esterno attenuandosi fortemente le stesse possibilità di integrazione sociale, civile ed economica con gli altri paesi rivieraschi.
L’Europa è stato teatro emblematico d questo processo storico che ha dato vita a una sfrenata competizione di singoli Stati, ma sopratutto, degli interessi che prevalgono al loro interno per assicurarsi col sempre maggior volume organizzativo del trasporto più vaste aree di mercato; politiche queste di per sé coordinate e finalizzate ad obiettivi validamente competitivi purché non conflittuali.
Il prevalere di questa seconda ipotesi ha portato non solo alla divisione dei paesi europei ma al loro scontro certo che, nel breve volgere di questa prima parte di secolo, ha dato luogo a due guerre sterminatrici di livello mondiale.
Ne è derivata così una intrinseca debolezza dell’Europa nel suo complesso mentre si va definendo, prorompente ed impetuosa, la forza di economie emergenti quali quelle delle coste orientali del Pacifico in cui incremento di sviluppo supera mediamente il 10% annuo e che si vanno affermando significativamente quali economie marittime dal Giappone alla Corea del Sud – da Singapore ad Hong Kong a Formosa e più di recente alla grande Repubblica Popolare Cinese.
Basta un dato per riassumere emblematicamente il rovesciamento dei rapporti fra le economie continentali: la Corea del Sud produce nei suoi cantieri ogni anno il 27% dell’armamento navale mondiale, mentre l’Europa è attestata su un allarmanti 11%.
Si spiega così come l’asse dell’economia mondiale dal Mediterraneo e dallo stesso Atlantico si è sempre più spostato sulle coste del Pacifico.
Il problema che ci sta di fronte è quindi eminentemente politico: dobbiamo propugnare e sollecitare dai governi degli Stati una politica comunitaria europea che sia capace di aggregare le potenziali energie che tradizioni, culture e multiformi ricchezze propositive che le sue popolazioni sono in grado di esprimere.
Per realizzare un obiettivo così ambizioso e superare gli schemi politici imposti dalla logica degli interessi dominanti diventa sempre più essenziale arricchire, ampliandola, la partecipazione dei soggetti istituzionali alla elaborazione ed attuazione delle grandi scelte.
Non è possibile lasciare inerti e marginali le regioni etno-storiche delle quali si auspica una più concreta definita e coerente istituzionalizzazione europea.
La verità è che le regioni sono il fulcro essenziale degli Stati costituendone il territorio, la popolazione e i reali interessi; espropriarle dei loro poteri significa violentare il diritto naturale delle genti.
I problemi però non sono facili né semplici. Gli Stati, al di là delle dichiarazioni d’intenti dei politici, paventano da un lato i poteri soprannazionali della nascente Europa alla quale dovrebbero cedere una parte della loro sovranità e quelli sub-nazionali delle regioni che esprimono quanto meno sul piano delle domanda, il sempre più diffuso e crescente bisogno di soggettività politica delle popolazioni.
La verità è che europeismo e regionalismo sono espressione di un’unica forza innovativa capace di restituire all’Europa un grande ruolo determinante di storia, in virtù del multiforme esprimersi di culture, tradizioni, genialità creative, diversità oggi imprigionate ed appiattite nella politica degli Stati; regionalismo ed europeismo sono per loro vocazione forza di democrazia e libertà, ma soprattutto di pace perché sconvolgendo la logica verticistica del potere, ne determinano la diffusione orizzontale coinvolgendo nella sua gestione le popolazioni rese così responsabili e fervidamente partecipi nel ruolo di governo del loro stesso sviluppo.
In questa nuova Europa le regioni dovranno intensificare i rapporti interregionali ben al di là delle frontiere statali senza perciò diventare soggetti di diritto internazionale ma più semplicemente e concretamente capaci di atti internazionali.
In questa logica che risponde ad una visione politica profondamente innovativa nell’ambito delle politiche statuali le popolazioni rivierasche ed insulari nel governare il loro territorio potranno idealmente estenderne i confini sul mare.
Cesserà così quel sistema di limiti costruito dall’ordinamento dei singoli Stati per trasformarsi in una intrinseca forza di solidale impulso e coordinamento dei poteri regionali sostituendosi a questi solo in casi di gravi distorsioni o inerzia di questi.
L’Europa potrà liberarsi così di vecchi concezioni ormai statiche e pietrificate nel tempo e restituire fervore e iniziativa operosa alle sue popolazioni che, utilizzando le moderne tecnologie, potranno, non solo cancellare gli squilibri territoriali, ma aprire una nuova pagina alla storia delle civiltà.
Il Mediterraneo verrà restituito alle sue popolazioni che riappropriandosene troveranno in esso il superamento delle frontiere tradizionali.
Solo in questo contesto potranno intensificarsi i rapporti fra l’Europa ed i paesi del Nord Africa oltreché con i paesi del vicino Medio Oriente e delle loro proiezioni oceaniche in una visione di intensa e feconda collaborazione ed integrazione capace di superare i concetti di subalternità coloniale e di creare reali e durature prospettive di pace in un punto cos+ sensibile e nevralgico per la vita dell’umanità.
La stessa geografia cambierà o, quanto meno, la sua concezione; regioni come la mia, la Sardegna, non sarà più periferia d’Europa ma il centro del Mediterraneo, di questo mare del quale non dovranno più temere per le improvvise devastanti incursioni del non lontano passato, ma che potremo, finalmente, amare quale momento unitario nel quale la convivenza non sarà imposta dagli equilibri del terrore ma dal convergere di comuni interessi capaci di affratellare e non contrapporre i popoli. Il mare nel quali il lavoro promosso dalle attività economiche potrà convivere, così come oggi ci insegna la bella e operosa città che ci ospita, l’incontro di chi dall’Europa e dal mondo viene nelle nostre sponde per ritrovare nella bellezza delle marine, nella suggestione dei paesaggi, nella luminosa ricchezza dei colori, nella cordiale ospitalità delle popolazioni il clima di pace e di serenità che è la base prima ed essenziale di civile progresso.