Signor Presidente, signor Presidente del Consiglio, nell’ascoltare il ministro De Michelis tracciare le linee politiche dell’Europa federale, capace di accogliere con pari dignità nella casa comune che andiamo costruendo tutti i cittadini dal Nord al Sud, sarei tentato di esprimergli il consenso della mia parte politica – il Partito Sardo d’Azione – ma il suo è un discorso, direi, soffuso di significative sfumature e al di là delle intenzioni di evidenti ambiguità.
Certo, l’impegno di definire entro il semestre la Conferenza istituzionale, che investirà appunto le istituzioni comunitarie di poteri legislativi ed attuativi su un vasto ambito di materie essenziali nel governo dei popoli, prefigura il decisivo avvio di un processo storico volto a realizzare l’unità politica sovranazionale dell’Europa federale.
Non apprezziamo però – e mi riferisco all’intervento or ora svolto dal collega greco Alavanos – la genericità per quanto riguarda il ruolo delle regioni e il mancato reale riconoscimento del principio che non vi sarà una vera Europa senza il riequilibrio interno. E questo obiettivo sembra lontano, scarsamente perseguito. Un obiettivo così ambizioso d’altronde non si realizza con i soli fondi strutturali: ridotti a fatto finanziario questi si collocano nella logica dell’assistenzialismo; tutta l’Italia meridionale e il Terzo Mondo ne conoscono l’illusoria sterilità. Il riequilibrio sarà possibile restituendo autonoma autorità di governo ai popoli d’Europa in modo che essi possano affrontare la complessità globale dei problemi strutturali e congiunturali che ostacolano i rispettivi processi di sviluppo.
Queste realtà così diverse fra loro, elevate a dignità di istituzione coincidono di norma con le regioni etnostoriche con le quali la Comunità dovrà stabilire un rapporto diretto aprendo in tal modo nuovi spazi di democrazia alle grandi masse popolari del nostro Continente. Se non si segue questa strada si resta prigionieri della logica antica degli Stati-padroni che neppure la cosmesi di facciata europeista può rendere credibile. Ed è la logica abbastanza scoperta che ispira le relazioni interlocutorie che il Parlamento ha concluso – in mancanza di meglio ha subìto – appena ieri e, in fondo, quella che dà connotazione politica ai discorsi del ministro.