Nel concludere questa seconda giornata di riflessione voglio sottolineare la rilevanza politica che assume non solo in vista delle risposte che sono state proposte ad un tema di così grande attualità quale il Federalismo, ma per l’impegno profuso dalle maggiori forze politiche della sinistra progressista italiana e sarda , accettando un confronto severo ed aperto con noi che del Federalismo abbiamo fatto la Bandiera di 70 anni di lotte.
Di ciò voglio ringraziare le forze politiche che hanno accolto il nostro invito attraverso i loro dirigenti più prestigiosi e voglio ringraziare voi che con la vostra partecipazione testimoniate un interesse civile, mai spento, sui grandi temi della nostra democrazia.
Oggi i problemi non appartengono più al dibattito di pochi eletti ma sono discussi in pubblico perché il pubblico ne è , non solo giudice, ma il più diretto ed interessato protagonista.
Centotrenta anni, nel corso dei quali lo Stato unitario e centralista, spogliando il popolo dei suoi più naturali poteri, della sua sovranità, riservata ai vertici delle istituzioni centrali, ha generato i profondi squilibri che sono all’origine della convulsa e complessa impetuosa crisi che ancor’oggi rende incerto e problematico il futuro di questo paese.
Passando da Cavour a Giolitti, da Mussolini ad Andreotti in questi 130 anni il potere è stato collocato in ristrette fasce ed in ben precise aree territoriali, emarginando tutto il resto.
Lo squilibrio nord-sud, industria-agricoltura, blocco agrario e criminalità organizzata, barriere doganali e parassitismo industriale, burocrazia ed inefficienza, clientelismo e subalternità trovano nella verticalizzazione centralistica del potere la causa prima, pur non esclusiva, dell’odierna pesante crisi.
Arrivo ad affermare che tangentopoli non è il momento più alto della crisi del nostro paese ma tale è il diffuso senso di precarietà che domina il rapporto diritti-doveri trasformati ora in favori, ora in discriminazioni e soprusi che il sistema di potere ha consentito ad un notabilato politico illegale, elettorale, pressappochista, senza futuro.
Ha costretto all’umiliazione dell’assistenzialismo milioni di persone, distruggendo dignità civile, forza creativa del diritto e responsabilità del dovere. Prima che nei tribunali lo Stato si è disgregato nella coscienza dei cittadini.
Questi sono stati, con momenti involutivi ben più drammatici quale la guerra e la dittatura fascista, (interrotti da momenti esaltanti di alto impegno politico-sociale), i 130 anni dello Stato in Italia.
Guai a noi se chiudessimo gli occhi dinanzi a questa esperienza e dovessimo ancora una volta ritenere possibile apportare correzioni, aggiustamenti, lasciando indenne l’attuale impalcatura costituzionale.
Il Federalismo capovolge non solo la logica etica ma i valori stessi sui quali si legittima lo Stato.
Questo non è un’entità astratta e lontana gestita da potenti che si collocano al vertice di gerarchie difficilmente controllabili ma, spazzando via queste sovrastrutture artificiose, si evidenzia in tutta la sua essenziale semplicità l’organizzazione del potere diffuso e policentrico in rapporto estremamente ravvicinato al cittadino.
Lo Stato è qui; noi sul territorio nel quale risediamo realizziamo lo Stato; territorio e popolo sono l’espressione più alta e direi esaustiva dello Stato.
Non dobbiamo cercarlo altrove ma in noi stessi; nella nostra comunità, nella nostra capacità di stare insieme, di produrre, di essere partecipi come singoli e come popolo ai grandi eventi che attraversano la storia dell’umanità ed essere protagonisti convinti e creativi delle necessarie soluzioni. Su queste basi si definisce il primo requisito della statualità: la sovranità popolare.
Tutto il potere è del popolo e non di astratte, inventive e lontane.
Il popolo questo suo potere esercita attraverso le istituzioni che liberamente è chiamato a darsi nella realtà storica del nostro tempo; il Comune la Regione – lo Stato -la Comunità Europea.
Ma perché non vi siano equivoci, atteso che le Regioni hanno poteri legislativi e fissano i grandi obiettivi del vivere civile, sociale, culturale ed economico delle rispettive comunità, saranno le Regioni, a nome del popolo che rappresentano, a delegare allo Stato i necessari poteri per assolvere a quei compiti che per natura e dimensione superano la competenza e le capacità realizzatrici della Regione.
Lo Stato opera quindi come destinatario di un potere delegato e non può in alcun caso appropriarsi, di sua iniziativa , di altri poteri che non gli competono perché non delegati.
Lo Stato quindi non è che l’insieme delle sue Regioni; in esse si realizza – come per altro la stessa Comunità Europea.
In questo spirito va letto il preambolo paragrafo del trattato di Maastrich nel qual si afferma che i dodici Stati sono “decisi a portare avanti il processo di creazione di un’unione sempre più stretta fra i popoli dell’Europa (i popoli si badi, non gli Stati) in cui le decisioni siano prese il più vicino possibile ai cittadini, conformemente al principio di sussidiarietà”.
Ecco allora che le Regioni dialogano tra di loro, dialogano con l’Europa; escono dal localismo soffocante che chiude gli orizzonti ed inaridisce lo spirito per inserirsi in un contesto internazionale attraverso il quale arricchire il patrimonio di valori economico-culturali dando nel contempo agli altri il contributo della propria esperienza e solidarietà. Questo non significa disgregare lo Stato ma dinamizzarne il ruolo entro ambiti costituzionalmente previsti e definiti.
Un federalista non pensa però a regioni onnipotenti, aperte all’esterno e chiuse a loro interno; andremmo incontro ad un fallimento regionalista di cui stiamo ancor’oggi pagando le conseguenze.
La Regione dovrà realizzarsi nei Comuni sui quali ricadrà quasi esclusivamente l’attuazione delle programmazioni elaborate in sede Regionale, Nazionale ed Europea. Saranno gli Enti Locali a gestire la grande parte delle risorse finanziarie e dovranno perciò trasformarsi in Enti autonomi dotati di una forte organizzazione amministrativa, programmatica, tecnica ma soprattutto culturale.
Questo significa “le decisioni prese sempre più vicino al cittadino”. La trasparenza e la semplicità della gestione dovranno diventare la regola.
Non avranno più ragion d’essere perciò nel territorio delle Regioni le strutture burocratiche, amministrative e tecniche che dello Stato esprimono il potere centrale. In questo spirito non hanno più ragione d’essere Prefetti, Provveditorato agli Studi e gli stessi organi dirigenti della Polizia Territoriale.
Queste alte professionalità, se lo vorranno, dovranno essere messe al servizio e sotto la direzione della democrazia regionale nel cui territorio saranno chiamate ad operare.
Rifiutiamo nel modo più netto e definitivo soluzioni approssimative e inconcludenti quali “Orizzonte Federalista” o il “quasi Federalismo” che ricordano, in termini non più emotivi, ma decisamente sarcastici il “quasi goal” di sportiva memoria.
Su questa linea non sono possibili compromessi. Non possiamo rendere stretta, tortuosa ed oscura una strada che è ampia, diritta e luminosa.
Entro certi ambiti ed in relazione al processo storico in atto possiamo accettare un serrato confronto sull’ampiezza e l’articolazione dei poteri ma mai sui principi e su ambiguità operative dei diversi livelli decisionali. In questa chiarezza perdono di significato istanze separatiste che la naturale internalizzazione del Federalismo Europeo colloca fuori dalla storia esponendo la nostra comunità a ben più alti e prevaricanti condizionamenti esterni.
Il sistema fiscale come la raccolta del risparmio e l’erogazione del credito, pur rispondendo a criteri e obiettivi di coordinamento europeo, debbono trovare nei poteri regionali e comunali competenze promozionali ed attuative di rilevante significato operativo.
Allo Stato dovranno andare soltanto le risorse finanziarie necessarie a soddisfare i compiti istituzionali riservatigli: primo fra questi il riequilibrio economico e sociale delle aree svantaggiate rispetto a quelle di più alto indice di sviluppo. Da questo valore deriva il vincolo solidaristico posto a base dell’unità federale.
Passando dai temi istituzionali a quelli più squisitamente politici riteniamo che nella futura legislatura il gruppo parlamentare sardo che dovrà costituirsi in sede di alleanza elettorale quale presupposto essenziale per dare una prima concreta attuazione all’autonomia politica dei propri eletti, dovrà proporsi la salvaguardia della specialità del futuro status che andrà ad assumere nel contesto federale ed europeo sì da garantire il pieno rispetto delle sue peculiarità economiche, geografiche, ambientali, culturali ed etniche.
Tra queste: uno speciale regime fiscale in materia di commerci internazionali finalizzati all’interscambio fra i paesi d’oltreoceano e quelli mediterranei con diritto di accesso nell’imprenditoria sarda alle materie prime e ai semilavorati per sottoporli a processo di trasformazione industriale di alto valore aggiunto sì da favorire afflusso di capitali d’investimento: zona franca, da realizzarsi in tutti quei punti in cui si riterrà opportuno individuare un centro propulsore di sviluppo. Questo non dovrà interessare solo l’orlatura marina ma svilupparsi secondo assi strategici attraverso le zone interne per rimpicciolire e unificare la Sardegna.
L’intervento non dovrà quindi avere più carattere assistenziale – dannoso più che utile – ma si realizzerà attraverso strumenti di sviluppo che dovranno mobilitare risorse economiche nel rapporto dei sardi con il mondo sì da garantire al nostro popolo un ruolo protagonista nella storia.
Convegno Partito Sardo d’Azione – Progressisti – Cagliari – 30 Gennaio 1994
19 Dicembre 2012 by