Cara Eccellenza,
ho particolarmente gradito la Sua del 1° agosto corrente e sono onorato dell’invito che Ella rivolge a me e ai colleghi della Giunta regionale, a partecipare alla solenne cerimonia con la quale il Santo Padre eleverà alla gloria degli altari l’umile contadina di Orgosolo, Antonia Mesina, che seppe affrontare il supremo sacrificio della vita per esaltare, in purezza di spirito, la fedeltà – nel vivere quotidiano – agli alti principi di una morale intensamente partecipata.
Ricordo la vicenda umana di questa giovane donna quando la sua tragedia ebbe a consumarsi e la viva emozione che i fatti produssero nell’opinione pubblica.
Ricordo il severo esempio che nella sua semplicità, sorretta da incrollabile fede, seppe donare alla società del nostro tempo e, per i valori universali che esprimeva, al mondo.
Ma parlando a Lei, così umano ed attento alle sconvolgenti distorsioni dello spirito, voglio sottoporle le riflessioni dell’assassino di Antonia Mesina, morto, per quanto ne so, nell’isolamento più atroce. Prima di essere fucilato affidava all’accorata meditazione della sua solitudine l’immagine di tristi rintocchi della campana di paese che anziché gioia, diffondevano una fosca tristezza.
Immaginava che la gente nel sentirli esclamasse (riferendosi a lui): è l’anima maledetta di… che se ne va all’inferno.
Questo, a un dipresso, il senso delle sue parole per quanto ne ricordo.
Aveva riacquistato la sua umanità? Era consapevole dell’enormità del suo delitto e, condannandosi, si redimeva?
Ho spesso pensato a lui nella mia infanzia chiedendomi quale tragedia siasi scatenata nel suo spirito, dopo il diradarsi delle nubi che ne avevano offuscato la mente e la coscienza.
Con l’affetto e la stima di sempre, Mario Melis
Lettera a Monsignor Giovanni Melis, Vescovo di Nuoro – settembre 1987
26 Maggio 2021 by