Ordinamento dello Stato finalizzato a realizzare un modello di società quale è venuto emergendo ed affermandosi dopo il definirsi dell’unità, salvo la piemontesizzazione iniziale realizzatasi in forme violente, oppressive, duramente repressive.
Questo si è tradotto nell’esaltazione delle potenzialità insite e connaturate in certe aree economiche del paese costituenti, per loro naturale vocazione, i punti di forza del paese sia per densità demografica come per i rapporti internazionali (Francia, Svizzera, Austria, Germania, paesi Balcanici), un formidabile mercato per la nascente industria rapidamente insediarsi subito dopo la conquista dell’indipendenza nazionale.
Da questa premessa sono derivate due conseguenze:
1° le profonde differenze esistenti fra le diverse regioni storiche del Paese dovute a esperienze culturali, tradizioni, economie del tutto diverse (Lombardia, Calabria, Piemonte, Basilicata) hanno determinato reazioni altrettanto diverse all’impatto di una manovra politica monocorde, feconda, stimolante, promozionale per alcuni, rovinosa, incomprensibile, disincentivante per altri.
2° Connesso a questo primo danno ne è derivato un secondo non di meno rovinoso per gli effetti moltiplicatori del primo: che lo sviluppo decisamente affermatosi nelle aree forti ha determinato il sottosviluppo delle deboli.
Da notare che con l’indipendenza il sud non era affatto l’area economica più debole. Napoli capitale cultura.
Peculiarità Sardegna
Insularità / Isolamento: diseconomie esterne /geografia
Soluzione politica / Storia della Sardegna scritta da altri
Così 2000 anni di dominazioni: Punici, Romani, Greco-bizantini (nel 400 si dipendeva dalla prefettura d’Africa), Genovesi, Pisani, Catalani, Aragonesi, Piemontesi (1720), Italia
Sfruttamento della posizione strategica, delle poche o, a seconda dei periodi, delle molte opportunità di arricchimento, ma abbandono della popolazioni a se stesse.
I Sardi non hanno quindi mai potuto sviluppare una propria economia, ma hanno subito una dura colonizzazione esterna.
Sino agli albori di questo secolo abbiamo subito le scorrerie barbaresche senza che alcuna marineria ci difendesse. Quindi nessun paese sul mare: solo Alghero, Cagliari, Olbia e Porto Torres che erano piazzeforti dei vari dominatori (Castelsardo).
Non si è quindi sviluppata un’economia marittima il che, per un’isola, è un nonsenso.
L’economia sarda si è come rattrappita, chiusa in se stessa, all’interno di un’economia pastorale e contadina che ha dato vita ad una società pastorale e ad una cultura peculiare, specifica che è unica e irripetibile.
Non è un caso che proprio dalla Sardegna sia partito a più riprese il messaggio per una diversa statualità: alla fine del ‘700 con G.M. Angioy, come in questo primo dopoguerra, nel 1919-’20, con il Partito Sardo d’Azione si propugna, in antitesi allo Stato centralista, uno Stato (più che decentrato) articolato sulle regioni storiche organizzate in larga autonomia politica, sì da consentire alle popolazioni di meglio affrontare le rispettive realtà, risolvendone i problemi in coerenza alle molteplici diversità che non consentono di accomunarle.
Autonomia conquistata ma, in effetti, fallita.
Perché in fondo l’Autonomia si traduce nel potere legislativo di disciplinare l’organizzazione amministrativa.
Non si hanno poteri reali di governo delle banche e quindi dei reinvestimenti, non si controlla la manovra fiscale, non si controllano i trasporti né esterni, né interni, non si programma lo sviluppo.
In queste condizioni la Sardegna è costretta in una economia di sussistenza, da mercato periferico e marginale.
Non dispone di un mercato interno che costituisca, come volano iniziale, supporto adeguato per il decollo di attività produttive e commerciali: vasto territorio con piccoli nuclei dispersi.
Milano nel raggio di 100 kmq dispone di 10/15 milioni di probabili clienti ad alto tenore di redditi.
Due ipotesi:
o lasciare alla Sardegna quel tanto di autonomia da organizzare i suoi commerci internazionali attraverso l’istituzione della zona franca doganale e consentirle il governo dei suoi collegamenti, pur nell’ambito del quadro statuale nazionale ed Europeo, lasciando che alla convenienza economica di operare quale momento auto-propulsivo dello sviluppo;
od operare in termini di solidarietà nazionale con piani di intervento straordinario capace di dotare l’Isola delle infrastrutture necessarie che consentano non solo di creare condizioni di parità all’investimento ma, in fase iniziale, la maggiore convenienza con contributi in conto capitale, prestiti a tasso agevolato, economie esterne, servizi reali.
Con il piano di rinascita si è tentata l’industrializzazione forzata attraverso la Petrolchimica e le industrie di base: Rovelli, ANIC, Montedison.
La crisi provocata in tutto il mondo industrializzato dalla politica dei paesi produttori di materie prime ha messo in crisi la politica di sviluppo della Sardegna, facendo sostanzialmente fallire il piano di rinascita.
Oggi che la politica delle ristrutturazioni, diciamo meglio, della smobilitazione e chiusura di numerosi stabilimenti modernissimi ad alto tasso di tecnologia, (decisi per consentire la pace fra Montedison e ANIC da un lato e gli accordi internazionali dei due colossi italiani) sembra conclusa, in Sardegna abbiamo un sistema di aziende a partecipazione statale che stanno realizzando utili.
Ad Ottana si è passati da -400 a + 100, il che significa + 500 (fibre acriliche). A Portovesme con l’Alluminia si realizzano di nuovo larghi margini di utile tanto che si stanno facendo nuovi investimenti e si sta passando al manifatturiero con la Consol e la (Sadal).
A San Gavino si stanno operando in accordo con il nuovo impianto di produzione piombo-zinco 130.000 tn/a e nuove importanti aperture nel manifatturiero. Si stanno quindi studiando Job creation fra ENI-EFIM-IRI Aziende a Partecipazione regionale e privati per nuove iniziative nei campi ad alto indice di tecnologia nei settori dominati dell’informatica, telematica e robotica. Stiamo spendendo cifre importanti nei campi della ricerca di processo e di prodotto e guardiamo con particolare favore agli operatori economici che scelgono la Sardegna come sede per le loro attività produttive principali ed integrative.
La Sardegna è destinata a diventare l’area marginale d’Europa e quale mercato marginale, mercato mediterraneo, utilizzando la sua centralità, diventare terminale della navigazione atlantica ed oceanica da Oriente (Suez) da Occidente Gibilterra. Anziché puntare su Rotterdam, Anversa ed Amburgo, noi contiamo che le conferences che governano i traffici marittimi trovino nella Sardegna il punto di snodo per l’afflusso delle merci dirette dal Mediterraneo oltre oceano e da queste provenienze punto d’irradiazione per le destinazioni mediterranee.
In questo senso stiamo attrezzando il nuovo Porto Canale di Cagliari, in questa prospettiva puntiamo a un nuovo regime giuridico per le attività produttive.
Nella prospettiva vediamo la Sardegna passare dal ruolo di regione assistita a quello di momento propulsivo e di sviluppo e quindi contribuire alla crescita sociale e civile dei popoli ai quali dal mare è unita e non più separata ed esclusa.