La Sardegna è tutta area svantaggiata, Consiglio regionale, 1988

Non è mia intenzione entrare in polemiche con gli interventi, non di meno alcune precisazioni, ma molto fugacemente, ritengo di doverle, lasciando al collega Mannoni il compito, se lo riterrà, di precisazioni più puntuali, in merito a temi e materie che sono di sua specifica competenza ma soprattutto di sua gestione operativa.
Mi spiace che questa struggente nostalgia di governo induca alcuni colleghi a voler cogliere tutte le opportunità per creare momenti nei quali dobbiamo costruire un consenso e una linea che ci aiuti ad individuare obiettivi, che ci aiuti a cogliere tutte le sinergie possibili e proponibili, per creare momenti di sfiducia, tutto sommato disgreganti ed è un momento veramente di scarso successo, quello di dire che il bilancio non ha potuto produrre effetti promozionali di spendita solo perché si è riusciti a ritardarne l’approvazione, tenendoselo in commissione per mesi, senza alcuna utilità innovativa, senza alcun arricchimento, ma solo bloccando e paralizzando l’attvità dell’amministrazione.
Non è un grande successo, questo. Non è un successo per i sardi. Sarà la politica del rallentare (quasi che non siamo abbastanza lenti), paura della velocità, non so io perché.
Sarà la politica del dire “avete visto? fanno peggio di noi” (che è difficile). Ci vogliono proprio impegni non comuni. Ma certo non è la politica della Sardegna che ha bisogno di confronti reali, seri, impegnati, volti a costruire, a creare, a dare impulso, a stimolare, a crescere, non a fermare.
Quando si dice: “Ma non avete individuato le zone svantaggiate” – già che io sono contrario a individuare zone svantaggiate in Sardegna – si apre la politica della “pelle di leopardo”, di una politica disarticolante.
La Sardegna è tutta area svantaggiata.
Certo, Cagliari è in una posizione migliore di Nuoro, perché offre opportunità di lavoro, di occupazione, superiori di quante non ne offra Nuoro; ma nel suo ambito, nel suo ruolo è certamente svantaggiata rispetto a Milano, rispetto a Torino, rispetto al resto del Paese che cammina all’altra velocità.
E Nuoro è svantaggiata; certo, rispetto a Oniferi o a Ororelli sono fortemente svantaggiati Oniferi e Orotelli rispetto a Nuoro.
E c’è l’albagia dì venire a Nuoro per trovare la soluzione; ma Nuoro è svantaggiata, certo, in ordine al ruolo che dovrebbe assolvere come punto di aggregazione di un contesto sociale, economico, produttivo che le gravita intorno.
Certo, conviene questa politica alla Lombardia, perché ha qualche valle alpina con piccole aree di sottosviluppo e individua più facilmente le zone svantaggiate, perché, essendo una zona di vantaggio e di sviluppo e di progresso, ha qualche area, qualche neo, che ha consentito al Governo dello Stato di ricomprendere nella zona dei piani integrati mediterranei una parte dell’Emilia, che è una delle regioni a più alto indice di reddito, di produzione, di occupazione d’Europa.
Non di meno l’Emilia è ammessa a beneficiare dei piani integrati mediterranei, così come la Toscana, così come la Liguria. Che strano Mezzogiorno è codesto!
E pensare che i piani integrati mediterranei sono stati studiati, pensati per salvaguardare le regioni dell’economia mediterranea agricola per l’effetto concorrenziale dell’ingresso della Spagna e del Portogallo nel Mercato Comune Europeo.
E l’Emilia che ha uno dei più alti indici di produzione industriale, è riuscita a inserire le sue valli appenniniche, perché magari ogni 20-30 km c’è una zona dove non c’è una fabbrica, e quella è zona svantaggiata.
Ma noi, per quanto volgiamo lo sguardo nei nostri orizzonti, aree sicure, vigorose di sviluppo, che consentano di individuare quelle che invece tali non sono, ho l’impressione che non ne troviamo.
A noi non conviene la politica delle oasi, dello sviluppo per oasi; noi dobbiamo individuare tutt’al più le zone avvantaggiate se abbiamo la capacità dì individuarle: quelle zone turistiche; sì quelle effettivamente hanno avuto un impulso allo sviluppo finché dura l’edilizia (perché appena finisce quella piombano verticalmente; e poi non hanno i paesi le fognature, giustamente mi ricorda il professore on. Senatore Sotgiu).
Ma la verità è che anche quelle zone ad alto indice di sviluppo turistico non hanno sviluppato adeguatamente tutti i supporti produttivi al servizio di quel turismo, che tumultuoso è cresciuto, cogliendo anche impreparate le amministrazioni, cogliendo impreparato il potere pubblico a governare questo fenomeno così dirompente, sfuggito di mano e dal controllo (non da oggi, ovviamente, non per colpa di questa Giunta); io credo senza responsabilità specifiche e particolari; perché un’esperienza e una cultura in settori così nuovi non si improvvisano e una generazione non se le dà così dalla sera al mattino, sul piano urbanistico, sul piano dei servizi; senza consapevolezza dell’impatto ambientale che certi fenomeni di massa determinano.
Certo, noi non siamo d’accordo; a parte il fatto che per individuare le zone svantaggiate dobbiamo sapere che cosa intende la legge per “zona svantaggiata”; e si sta sostenendo, da parte nostra e da parte delle altre regioni, l’esigenza che in sede nazionale si definisca il concetto, senza di che noi partiremmo dicendo che zona svantaggiata è Lollove, e quelli
diranno che zona svantaggiata è Forlì; che zona svantaggiata, rispetto a quale altro centro importante, è una città che per noi è l’Eldorado?
E così non è giusto accusare la Giunta di non aver studiato priorità, di aver predisposto un piano straordinario per il Mezzogiorno, senza aver l’ago della bussola, facendo un assemblaggio di progetti e basta.
Perché se Cogodi l’ha detto se ne sarà assunto la responsabilità. Certo, tutto è perfettibile, tutto è migliorabile, ma certo è che le priorità ci sono perché in materia di acque vi è una scelta e un’opzione, come vi è una scelta e un’opzione in materia di ricerca. Che significa 60 miliardi destinati alla ricerca? non è un’opzione questa, in un bilancio e con risorse così modeste come quelle sulle quali può fare affidamento la Regione Sarda, 60 miliardi per la ricerca, dite che non è una scelta, che non è un ago della bussola, che non è indirizzo altamente qualificante.
Sappiamo bene che solo gestire non è sviluppo, non è crescita, non è prospettiva, senza una ricerca che consenta di aprire nuovi spazi alla prospettiva, cosi come la formazione del parco progetti, così come le infrastrutture industriali: queste sono le tre grandi opzioni.
Sistema globale delle acque, priorità per le infrastrutture industriali, ricerca, formazione parco progetti: questi sono gli elementi che emergono.
Lo chiamate assemblaggio, assiematura di progetti; ma per far questo, per la prima volta nella storia dell’autonomia, la Regione ha convocato una grande assemblea di amministratori a Cagliari, si è tenuto un grosso dibattito. E cos’è? è passato clandestino l’incontro al Settar Hotel?
È stato largamente partecipato dalla democrazia di base ed insieme si è costruito, e si è andati avanti.
Certo, tutto è perfettibile, tutto è migliorabile; e Cogodi, se questo ha detto, aveva ragione, e siamo d’accordo con lui; certo, non siamo soddisfatti dell’esistente ed abbiamo il dovere di migliorarlo.
Tornando ai temi più specifici dirò che circa le note distintive fra il vecchio sistema dell’intervento straordinario e il nuovo, le differenze ci sono, sono rilevanti: quel tipo di organizzazione manageriale dell’intervento affidato ad una istituzione capace di governo unitario, di intervento operativo, in certo senso svincolato dall’osservanza delle ordinarie procedure, consentiva tempestività, flessibilità, duttilità di interventi; ma consentiva anche le espropriazioni del potere istituzionale riservato, attraverso le rappresentanze democratiche alle popolazioni.
Vi era una mente che faceva calare dall’alto gli interventi; e tutto questo noi sappiamo come si è tradotto negli effetti: con effetti che in qualche modo hanno creato impulso, hanno determinato anche un certo processo di evoluzione; ma i ritmi e l’obiettivo del riequilibrio territoriale è stato clamorosissimamente fallito; ed oggi ci troviamo in una condizione di distanza fra le aree sviluppate e quelle sottosviluppate del Mezzogiorono, che probabilmente è peggiore della fase iniziale.
Ed allora quali meccanismi manageriali, che dovevano garantire duttilità e flessibilità d’intervento, si sono dimostrati non gratificanti?
Bisogna coinvolgere le popolazioni, bisogna renderle protagoniste, bisogna far sì che la gente senta, come espressione della volontà propria, il realizzarsi del processo di sviluppo; che si senta interessata e coinvolta nelle fasi decisionali ed attuative.
Ed ecco, quindi, delinearsi una filosofia diversa, più aperta al contributo, alla cooperazione, al concetto del pluralismo istituzionale; ecco quindi gli organi centrali dell’Aministrazione che ritrovano momenti di sintonia e convergenza con le Regioni, con le Comunità, i Consorzi, gli Enti, i Comuni, i privati.
Ma non può essere il piano triennale che realizzi la nuova politica meridionalistica, questi strumenti, queste procedure, ma una elaborazione ministeriale, se non come sintesi, come coordinamento delle programmazioni regionali; e questa la risultante delle indicazioni del dibattito, del confronto, che la società regionale è in grado di proporre e di esprimere.
Sì, abbiamo una molteplicità di strumenti – il piano triennale, il piano annuale di attuazione, il piano finanziario, tutta una serie di operatività, che favoriscono il realizzarsi e il definirsi di una politica -; ma le minacce sono insite nella stessa legge, nelle ambiguità, negli spazi vuoti, nei silenzi della legge; per cui ne sono stati ricordati alcuni di questi pericoli, che sono però in atto, in corso di preparazione, quali i completamenti – certo la Regione Sarda è andata chiedendo anche dei completamenti (i 150 diventati 180 miliardi dell’Eporto Terminal di Cagliari, per fare un esempio, l’abbiamo sollecitato come completamento, perché tale è nella sua struttura giuridica; ma vi ci siamo durissimamente opposti acché questo criterio si dilatasse e patologicamente andasse a snaturare la nuova legge e la sua vocazione democratica.
La Regione deve diventare quindi una sorta di responsabile globale dello sviluppo nell’ambito territoriale dei suoi confini coordinando, stimolando, recependo i fermenti propositivi che vengono dalla molteplicità delle altre istituzioni e dai privati.
Dobbiamo puntare sul nuovo, dobbiamo impegnarci con tutte le nostre energie per potenziare l’esistente, ma proiettandolo e vedendolo nella logica di un’economia che non è più conchiusa negli ambiti territoriali della nostra regione e del nostro paese; non c’è nulla di più internazionale dell’economia.
E dobbiamo pensare in termini internazionali ai problemi economici; dobbiamo vedere ciò che accade nella nostra terra, nel nostro paese, nel nostro villaggio inserito nel contesto dell’economia mondiale, se vogliamo dare prospettiva, capacità concreta di sviluppo; che altrimenti ci muoveremmo nel precario, nel congiunturale, nel fatuo accendendo fiammelle che potranno dare bagliori di momento ma riprecipiteremmo inesorabilmente nel grigiore di un sottosviluppo senza speranza.
Dobbiamo pensare in termini di respiro che ci proietti fuori, all’esterno della nostra realtà; e per questo dobbiamo studiare, approfondire, ricercare.
Non a caso il Presidente della Regione, più di un anno fa, è stato protagonista di uno scontro pesantissimo (che tutti i giornali sardi, tutte le istituzioni sarde hanno finito col raccogliere in modo non generoso, sostanzialmente) col presidente dell’ENI, perché traducesse in termini di ricerca l’operatività che è in Sardegna; perché non è più proponibile che il più grande polo, l’unico polo di produzione di fibre acriliche pubbliche esistente in Italia, si trovi in Sardegna, ma l’Istituto di ricerca in Sardegna non è; quasi che si tratti di una ricerca pura.
No; è la ricerca applicata, la ricerca di processo quella che deve dare nuove tecnologie alla produzione, che deve risparmiare i denari, che deve mettere in condizioni di produrre competitivamente sui mercati internazionali.
Quella ricerca perché farla fuori di Sardegna? Bisogna farla nello stabilimento per vedere come quello stabilimento può crescere, come la ricerca di prodotto la si fa nello stabilimento; e invece no.
Quando il Presidente della Regione poneva questo problema all’ENI e diceva: la ricerca bisogna farla in Sardegna, perché se no tra cinque anni ci possiamo trovare di fronte alla concorrenza che produrrà quegli stessi prodotti a prezzo minore, o produrrà una merce in qualche modo migliore di quella nostra, questo insieme così solenne e imponente di strutture produttive diventeranno ferri vecchi, inutilizzabili e gli operai e 1l’economia intera della Regione ripiegherà su se stessa ancor più rattrappita di quanto oggi non sia.
“Io non ho soldi per la ricerca”, questa è stata la risposta.
La Duppon può destinare 1000 miliardi alla ricerca, io ho 100 miliardi all’anno per fare la ricerca e con 100 miliardi debbo coprire tutto l’arco della ricerca proposta dall’ENI.
Ridicolo! Un Ente che solo in un settore destina 1000 miliardi, può destinarne 900 in quel settore e 100 alla ricerca; e così nei diversi settori un Ente che ha molte migliaia di miliardi nel suo fatturato annuo non può dare risposte così palesemente reticenti.
Così come in materia di piombo zinco, così come in materia di carbone, la gassificazione, la ricerca, i letti fluidi per il disinquinamento dei fiumi.
Oggi c’è un riconoscimento unanime: il Parlamento gli ha detto, all’ex Ministro Reviglio, che deve fare la ricerca; che la metanizzazione si fa attraverso la ricerca.
A distanza di un anno se l’è sentito dire dai massimi organi dello Stato.
No, non è stato un bello spettacolo. Quando il Presidente ha denunziato all’opinione pubblica sarda la diserzione del massimo Ente a partecipazione statale in Sardegna, della Holding più grossa che condiziona lo sviluppo della Sardegna, perché è il maggiore industriale presente oggi in Sardegna; ha denunciato questa sua diserzione, c’è stata una gara per chi correva a schierarsi col più forte.
E resta una pagina di documento che non si cancellerà facilmente nella storia di Sardegna.
Ecco perché dico: attenti che la polemica politica non porti ad abbandonare il ruolo reale cui siamo chiamati, perché maggioranza e opposizione stanno bene, purché il voler contraddire l’altra parte politica non significhi snaturare il proprio effettivo ruolo e tradirlo.
Oggi la ricerca è condivisa in materia di alluminio, di carbone, di fibre; però è condivisa a livello teorico. Sì, si sono anche creati i centri della ricerca, ma badate: 10 miliardi non sono la ricerca; solo la Regione Sarda ne ha stanziati 60.
Ho visitato nei giorni scorsi una grande industria nel settentrione d’Italia, a Monza; ho vistato la Candy e l’ufficio di ricerca della Candy ha 70 addetti – dal suo dirigente tutti i laureati nelle diverse materie – che fanno ricerca. Ed è un’azienda che nei confronti della Carbosulcis o di altre istituzioni, non è poi così rilevante; direi che è meno rilevante.
Nei confronti del più importante polo pubblico dell’alluminio primario presente in Italia è meno rilevante, come è meno rilevante nei confronti del polo pubblico più importante delle fibre acriliche italiano che è in Sardegna; però tanti addetti alla ricerca noi non li abbiamo in tutte le istituzioni presenti in Sardegna.
Non è con le risorse locali e basta, che risolveremo i nostri problemi; non è con l’agricoltura, né col turismo, né con la forestazione, come ho sentito dire qui da grandi economisti (forse “grandi” per altri interessi, non certo per i nostri), che si esauriscono e si risolvono i problemi della Sardegna, senza una vigorosa, reale industrializzazione, possibilità non vi sono.
E gli incentivi: ma smettiamola con questa storia degli incentivi! Cosa significa la “defiscalizzazione”?
Non è un incentivo la defiscalizzazione, non si traduce in migliaia di miliardi quando viene applicata a tutto il sistema industriale e produttivo del Nord Italia. Perché la defiscalizzazione la si fa laddove esistono le strutture produttive, e le strutture produttive non sono a Triei, né a Domusdemaria; sono a Monza, sono a Milano, sono a Varese, sono in quest’area di sviluppo prorompente.
E la defiscalizzazione altro chè se è un incentivo; è un grande incentivo che si inserisce in un tessuto produttivo che cresce, che si sviluppa, che utilizza tutte le energie che sono presenti.
Non mitizziamo gli incentivi, mitizziamo invece i poteri reali che debbono diventare la nostra forza, la forza politica, di impegno, di confronto, di proposta, di lotta.
Non dividiamoci perché nei momenti reali la nostra forza, la nostra prospettiva sta nella consapevolezzza di essere un soggetto politico che può solo unitariamente, raccogliendo tutte le energie che sono presenti nella società, guardare con fiducia al possibile successo.
Comuni, provincie, comunità, consorzi industriali, consorzi di bonifica, comunità montane, privati: una molteplicità di soggetti pubblici e non che nel loro insieme possono costituire la nuova forza della legge sul Mezzogiorno, perché a loro è affidato questo compito. Così come è affidato alla nostra capacità di denuncia e di confronto il dire che il riequilibrio non lo si fa con l’intervento straordinario.

È tempo che usciamo dall’albagia del miracolismo di questo intervento taumaturgico, di questo intervento onnicomprensivo.
Che attraverso l’intervento straordinario – si chiami rinascita o si chiami legge per il Mezzogiorno – si risolvono i problemi del Mezzogiorno è falso.
L’esperienza storica ce lo ha detto, è lì a testimoniarlo: si risolvono i problemi del riequilibrio con le politiche ordinarie dello Stato, con la politica dei lavori pubblici che devono essere realizzati laddove sono necessari; con la politica della Sanità, che deve garantire gli ospedali dove non ci sono; con la politica dei trasporti, che deve creare le infrastrutture dove queste sono assenti; e non con la politica della spesa storica, che dà più soldi a chi più ne riceve; così nella Sanità, i soldi non sono dati in base alla popolazione, ma in base al numero degli ospedali; così chi ha più ospedali e più garanzia di essere assistito e curato avrà più soldi; chi ha meno ospedali, minori garanzie di essere assistito e curato e sarà costretto ai viaggi della speranza, quegli avrà meno soldi.
Questa è la politica dello squilibrio. Non è con l’intervento straordinario che si rimedia a queste cose, è con la politica di uno Stato più giusto, finalmente; con le politiche articolate per tutti i settori della vita pubblica.
L’intervento straordinario è solo un fatto aggiuntivo, è solo un fatto che, tenendo conto della peculiarità delle singole situazioni, si pone in termini di parificazione; ed allora non è un privilegio, non è un fatto discriminante a favore, ma è soltanto uno strumento di riequilibrio; che prima ancora di essere economico è un fatto etico; è un riproporre il senso dello Stato nella sua funzione più alta, più significante nella funzione della solidarietà; perché questo è in fondo la ragione d’essere della Comunità statuale, che altrimenti riprecipitiamo nella politica della forza che chi più ha più prende, e più contestualmente emargina chi meno ha; sicché la politica dello sviluppo diventa la genesi del sottosviluppo e il sottosviluppo trova la sua piena matrice nello sviluppo delle altre regioni, in questa ingiustizia profonda nella quale si articola la politica dello Stato.
Non entro nei particolari degli strumenti, degli episodi, delle articolazioni della legge; so che ogni giorno che sono chiamato ad assolvere alla mia responsabilità, questo diventa nella sua, come dire?, vitalità, profonda indicazione e linea di comportamento.
La Giunta nel suo insieme ha assunto e va definendo senza manuali quasi sacerdotali che stabiliscano in termini insuperabili e definiscano confini, punti di partenza e di arrivo, ma dentro questa filosofia e questa logica con tutta la forza di reinterpretazione quotidiana del proprio ruolo, un impegno che noi speriamo di trasformare in messaggio che tutta la comunità dei Sardi riesca a riproporre alla Comunità dello Stato. Ed in questa prospettiva, io credo, noi possiamo interpretrare la legge del Mezzogiorno come uno strumento che finalmente riesca ad unificare l’Italia.