Intervista del giornale “Emigrazione” al Presidente della Giunta regionale della Sardegna On.le Mario Melis – aprile 1985

D. – Dal settembre dello scorso anno Lei presiede il governo regionale della Sardegna. Una Giunta di sinistra, sardista e autonomista che, a parte le polemiche e gli attacchi venuti da quelle forze politiche che nell’isola hanno subito una secca sconfitta, ha avuto in eredità non pochi guasti causati da scelte e indirizzi, e anche da non scelte e immobilismo, che il solo inventario di esse rendeva ardua la stessa individuazione delle priorità. Non c’è mai stato a nostro parere un “caso Sardegna” se non quello di dare alla gente, ai cittadini che vivono nell’isola e a quelli trasferitisi nel continente, nella penisola e in Europa, un governo regionale meno distante e non appiattito su formule e schieramenti non rispondenti alla realtà e alla volontà degli elettori.
On. Melis, il governo da Lei diretto è venuto incontro a queste aspettative?

R. – Il significato del voto del giugno 1984 è stato chiarissimo: i Sardi hanno detto no alla crisi industriale, governata solo dai dirigenti delle Società di Stato, alla discriminazione delle produzioni mediterranee (e quindi sarde) in sede di Comunità Europea, allo intollerabile disservizio nel settore dei trasporti, alla disoccupazione soprattutto giovanile e intellettuale, alla perdita della propria identità culturale, al saccheggio del territorio. Sarebbe inesatto dire che la Giunta da me presieduta ha rimediato a tutti questi mali in otto mesi di lavoro; è certo però che si è posto mano con impegno a farne un inventario e una valutazione, per procedere all’individuazione di una scala di priorità di interventi. Le assicuro che non è stata e non è un’impresa facile.

D. – Quali sono a grandi linee i programmi della attuale Giunta?

R. – I programmi dell’attuale Giunta restano sostanzialmente quelli enunciati al momento della sua costituzione.
Premesso che noi intendiamo operare all’interno e non in contrapposizione allo Stato, come un’articolazione della Repubblica dotata di reale potere di autogorveno, intendiamo operare per superare una lunga condizione di isolamento e subordinazione, avviando a soluzione macroscopici problemi quali l’emigrazione e la disoccupazione di massa, l’indebolimento della base produttiva tanto agricola che industriale, il degrado del territorio e la distruzione delle risorse, il nodo finora irrisolto dei trasporti, la svalutazione del nostro patrimonio culturale e linguistico.

D. – Abbiamo accennato al fatto che una parte considerevole di cittadini e di lavoratori, di giovani, di donne sarde hanno dovuto lasciare la loro terra, trasferirsi nella penisola o andare all’estero. In cosa è diversa la politica dell’emigrazione della Sua Giunta rispetto a quelle precedenti ed in particolare alle Giunte a direzione DC che si caratterizzavano per gli interventi a pioggia e assistenziali?

R. – Il primo atto che ha caratterizzato in modo diverso questa Giunta da quelle a direzione DC, per quanto riguarda la politica dell’emigrazione, è stato il mio intervento al Convegno “Stato e Regioni sull’emigrazione”, tenutosi a Roma il 4 e 5 aprile scorsi. In quella sede, con altri Presidenti di Regione, ho chiesto che la nuova legge attualmente in discussione al Parlamento riconosca alle Regioni concrete possibilità di intervento in materia di emigrazione, che si istituisca il Fondo sociale dell’emigrazione come strumento base per la politica dei reinserimenti, criticando nel contempo la mancanza di impegni concreti da parte dei rappresentanti del Governo.

D. – Può dirci qualcosa di più sul programma sociale della Regione a sostegno degli emigrati?

R. – La Giunta, e per essa l’Assessorato del Lavoro, hanno già avviato in termini diversi dal passato numerosi interventi nel settore; in particolare, si è già iniziato ad operare per:
– organizzare manifestazioni culturali, abbinate ad iniziative economiche dando ad esse il massimo della pubblicità nei paesi stranieri;
– istituire una biblioteca in grado di offrire un servizio continuativo per tutti i Circoli e le Leghe degli emigrati;
– promuovere conferenze sulla società sarda, da tenersi nei più importanti Centri dell’emigrazione;
– predisporre ed attuare programmi integrati per coordinare le varie fasi dell’emigrazione, al fine soprattutto di agevolare il ritorno in Sardegna di soggetti dotati di capacità imprenditoriale;
– facilitare l’accoglienza e l’integrazione degli emigrati nell’ambiente di lavoro e nella società dei Paesi della Comunità europea;
– adeguare la formazione degli operatori sociali e del personale insegnante che operano fra gli emigrati ai nuovi e più impegnativi compiti.

D. – Quindi da una Regione con le caratteristiche socio-economiche della Sardegna quale spinta può venire affinché assieme alle altre Regioni italiane si possa concorrere nel costruire un programma, una linea di intervento nazionale ed europeo? Quali sono le premesse?

R. – La premessa indispensabile perché le Regioni, e con esse la Sardegna, concorrano validamente all’elaborazione di un programma, nazionale ed europeo, per l’emigrazione, è che esse non siano più considerate, né in sede di legislazione, né nei rapporti col Governo e con le istituzioni comunitarie, soggetti passivi, tutt’al più destinatari di una politica assistenziale.
Solamente la Regione, infatti, può essere il tramite più efficace e sensibile fra i bisogni, le aspettative, i problemi degli emigrati e le istituzioni governative e sovranazionali preposte ad attuare gli interventi; se la Regione non avrà nessun ruolo, o ne avrà uno marginale, l’intervento sarà inevitabilmente burocratizzato, e quindi tardivo ed inefficace.