Conferenza sulle politiche del lavoro e di sviluppo – Cagliari – 1986

Sono grato a tutti voi per l’impegno e costanza nel seguire e nel partecipare ai lavori di questa conferenza che rappresenta un momento di importante confronto che la Giunta Regionale ha voluto aprire con la società sarda, col Governo, con le componenti più qualificate ed impegnate della democrazia sarda ed italiana.
La presenza di un Ministro dello Stato, di uno dei massimi dirigenti in rappresentanza delle tre confederazioni sindacali del sindacalismo italiano, la presenza dell’Università, la presenza delle forze politiche, del sindacato in tutte le sue espressioni più significative, della Confindustria, delle organizzazioni dei datori di lavoro, dell’Api Sarda, dell’Intersind, dell’Asa, delle organizzazioni professionali dell’agricoltura, della Confagricoltori alla Coldiretti, alla Confcoltivatori e organizzazione dell’artigianato, quattro delle cinque organizzazioni presenti in Sardegna hanno partecipato ai nostri lavori, le organizzazioni naturalistiche, i disoccupati, la Chiesa, il mondo delle donne, la società sarda nella sua globalità si è sentita impegnata, coinvolta in un dibattito che costituirà certo patrimonio prezioso quando il Consiglio Regionale, nelle prossime settimane, dovrà definire scelte che influiranno nella vita della Sardegna per dare risposte non solo ai disoccupati che costituiscono l’espressione sofferente più acuta e perciò stesso più avvertita dallo stesso Governo Regionale, ma la società sarda nel suo insieme dal mondo imprenditoriale a quello della cultura perché chi ha responsabilità politiche è chiamato a dare risposte a prendere decisioni ad operare nella realtà con provvedimenti concreti capaci di incidere, di innovare, di far crescere.
Quello dell’occupazione è oggi il problema emergente, ma è davvero un problema di oggi? Ieri nel suo intervento il Professor Loy ricordava che il 26 ottobre del 1949 un parlamentare sardo denunziava al Parlamento italiano il primato della disoccupazione amaramente sofferto dalla comunità sarda nella solidarietà della comunità italiana, in una solidarietà che veniva annunziata dal massimo rappresentante delle forze sindacali del tempo, l’Onorevole Di Vittorio, ma che ancora attende di tradursi in un successo che stenta a giungere a distanza di quasi mezzo secolo.
Quando il problema della disoccupazione è sembrato attenuarsi è perché cinquecentomila hanno dovuto accettare l’amara legge dell’emigrazione, non di meno per la Sardegna sul piano sociale i temi dell’occupazione sono rimasti senza adeguata risposta.
È un male antico. Questa conferenza nasce dall’esigenza di dare una risposta, perché dobbiamo attivare le politiche del lavoro non sostitutive di politiche di sviluppo, ma volte ad integrarsi con queste in modo da definire concordandolo quel programma di cui tanto si è parlato e che non costituisce oggetto misterioso per alcuno, visto che insieme alla proposta di bilancio pluriennale la Giunta Regionale ha proposto anche un programma economico di medio periodo che costituisce documento unico con il bilancio pluriennale e che noi abbiamo chiamato relazioni programmatiche, ma che riassumono gli indirizzi, i traguardi, gli strumenti che intendiamo realizzare o utilizzare per conseguire il duplice fine di incentivare lo sviluppo con particolare riferimento all’ampliarsi della base occupativa.
Sì, anticipo forse un argomento che si dovrà poi riprendere: non lo abbiamo chiamato programma perché abbiamo voluto dire chiaramente che questo documento non ripete concettualmente quello previsto dalla 33, della quale peraltro abbiamo proposto al Consiglio Regionale un’organica legge di riforma, cioè di riforma della programmazione, ma per ragioni politicamente legittime, corrette coerenti che io credo otterranno l’apprezzamento dei colleghi tutti, del Consiglio Regionale, degli stessi democristiani che capeggiando l’opposizione sono certamente protagonisti di autonomia e quindi sensibili, custodi e tutori di questo irrinunziabile valore politico.
La 33 prevede che il programma debba essere sottoposto all’approvazione del CIPE e noi siamo contrari, siamo contrari perché non dobbiamo inventarci una tutela non necessaria, perché non dobbiamo crearci uno stato minoritario, una condizione minoritaria che non ci spetta, perché vogliamo rivendicare una soggettività politica ed un protagonismo ed una responsabilità politica che ci chiama a risolvere, nell’ambito delle risorse di cui disponiamo, i nostri problemi, senza scaricare su altri vicini o lontani soluzioni che spettano solo a noi. La vecchia 33 parlava di approvazione del CIPE perché era disegnata sulla gestione di fondi provenienti esclusivamente dallo Stato e lo Stato voleva controllarli, ma qua noi gestiamo soldi nostri e non abbiamo nessun motivo di abbassare il livello dell’autonomia.
Credo che la Democrazia Cristiana come tutte le componenti politiche del Consiglio Regionale, ma la società sarda nel suo complesso e i nostri confronti con le forze sociali in queste settimane, ne sono testimonianza, abbiamo il diritto di concorrere a migliorare queste relazioni programmatiche (o se volete chiamarle meglio programma), a migliorare il programma. Ci siamo più volte incontrati con i sindacati, ci siamo più volte incontrati con le organizzazioni dei datori di lavoro, abbiamo sentito da loro apprezzamenti, abbiamo sentito da loro riserve, abbiamo sentito da loro proposte, indicazioni, ne abbiamo sentito formulare anche in questa sede e ne faremo tesoro. Io credo che il Consiglio Regionale sia una sede altissima, nella quale al cospetto di rappresentanza del popolo sardo questi problemi possono essere dibattuti ed io auspico che un partito dalle tradizioni e dalla forza e della responsabilità della Democrazia Cristiana vorrà confrontarsi con noi, criticamente, dialetticamente, con tutto il vigore e la capacità propositiva dei suoi uomini e dei suoi rappresentanti e non vorrà sfuggire a questo appuntamento ricorrendo ai capoversi di regolamenti che non risolvono problemi, che gli avvocati chiamano causidici ma che in sede politica non danno risposte.
È sul merito che vogliamo essere giudicati, la forma, ve l’abbiamo detto, è politica, non accettiamo approvazioni non necessarie né del CIPE né di altri in quanto queste non sono imposte da leggi esterne.
Nella logica di questo programma che ha linee definite ma rigide, noi, certo, poniamo come soggetto ultimo l’uomo con tutta la ricchezza delle sue capacità potenziali perché possano esprimersi ed esaltarsi al meglio, ma attraverso lo strumento dell’impresa. Guai a noi se pretendessimo di scaricare sul disoccupato il ruolo dello sviluppo e la responsabilità di questo complesso difficile travagliato problema, è l’impresa che deve crescere come forza di proposta, come capacità tecnologica, finanziaria e organizzativa. Noi dobbiamo attivare tutti gli strumenti che le consentano di inserirsi competitivamente sui mercati non solo risolvendo problemi di infrastruttura, che sono certo importanti ed essenziali ma non esaustivi di quell’insieme di moderna incentivazione che è costituita dai servizi reali, da un sistema bancario e finanziario di reale supporto e non di sfruttamento delle attività produttive.
È necessaria la verticalizzazione dei processi produttivi di base dal minero-metallurgico al chimico, tutti quei settori nei quali la Sardegna ha addirittura il primato nazionale nella produzione di materie prime realizzate da industrie di base ma che non hanno prodotto se non le classiche cattedrali dalle quali dobbiamo finalmente far emergere tutto l’indotto che queste industrie di base possono generare. Certo la ricerca è un elemento fondamentale, essenziale, che la nostra amministrazione ha ritenuto di privilegiare ben comprendendo che senza ricerca si invecchia rapidamente ma sopratutto non si crea il nuovo, non ci si ammoderna, non si percorrono gli spazi inesplorati nell’area post-industriale, di quelle nuove professionalità, di quelle capacità di creare valore aggiunto capace di per sé di vincere le diseconomie della stessa insularità. Ho ricordato in altra sede di avere firmato e di avere poi attivato con i colleghi della Giunta protocolli di intesa con le Università della Sardegna alle quali sono finalizzati, quando decolleranno i mitici piani di attuazione della 64, siamo già al secondo e noi abbiamo presentato progetti puntuali che attendono solo di essere finanziati perché sono stati già tutti approvati, abbiamo chiesto di poter finanziare la ricerca per oltre 60 miliardi con l’intervento straordinario. Ma già 24 miliardi li abbiamo messi a disposizione delle due Università di Cagliari e di Sassari e insieme ai colleghi della Programmazione e della Pubblica istruzione, insieme ai due Rettori e ai prorettori delle due Università, abbiamo già fatto una selezione di alcuni settori di intervento e per gli altri 20 miliardi dobbiamo intervenire in altri settori.
I finanziamenti dello Stato in materia di ricerca, e quelli delle industrie di stato non si sono avvicinate agli stanziamenti della nostra Regione; è chiaro che non bastano questi soldi, dovranno gli enti a partecipazione statale attivare interventi di maggior respiro.
Qualche riflessione noi dovremmo fare sui meccanismi del come gli stessi fenomeni incidano diversamente nelle realtà diverse: il consumismo è da noi un fenomeno devastante, ed è invece fortemente incentivante al nord, proprio perché da noi non esistono le strutture produttive che invece esistono al nord. Il consumismo al nord significa incentivare la produzione, ampliare la base produttiva, quindi occupativa, quindi di reddito, quindi di accumulazione di capitale, quindi di reinvestimenti, di ampliamento e diversificazione delle attività produttive, da noi significa solo esportare capitali, aumentare la dipendenza: consumismo può essere un fatto di sviluppo o di sottosviluppo.
Diceva il Professor Maurandi ieri, sta emergendo un dualismo anche nel mondo operaio, tra quella fascia di lavoratori che hanno occupazione qualificata, che hanno certezza del posto di lavoro, che hanno una serie di risorse a loro disposizione e i disoccupati di aree emarginate. Queste due realtà non si incontrano, non dialogano e c’è un dualismo manifesto: tutto questo ha una sua storia antica. Salvemini la denunziava agli albori di questo secolo, un certo partito in Sardegna l’ha denunziata sin dal suo primo costituirsi, oggi diventa scienza e studio rigoroso e scientifico delle nostre Università, ne stiamo prendendo coscienza, ne stiamo definendo gli aspetti. Di tutto questo prendiamo coscienza non per fare del catastrofismo, non per fare della lamentazione, non per chiuderci in un rassegnato pessimismo che non serve a nessuno, né in una querula protesta che infastidisce e non propone, ma perché ne prendiamo razionale consapevolezza, ci appropriamo del problema per gestirlo e avviarlo ad una soluzione.
Ho avuto l’onore di una avventura davvero eccezionale nella mia vita, quella di rappresentare come Presidente della Regione, la comunità sarda all’esterno, sentire tutta la dignità di un popolo che deve confrontarsi con gli altri non per sfidarli, non per denunziarli, non per combatterli ma per integrarsi dialogando con questi e trovando i necessari raccordi e le solidarietà. Certo partiamo da posizioni estremamente difficili, chi non sa che il sistema bancario sardo trasferisca il risparmio sardo in altre sedi più di quanto non investa in Sardegna? Queste cose ho avuto l’onore di dirle appena qualche giorno fa alla presenza del massimo dirigente di una delle più grandi banche italiane, ottenendo da lui, bontà sua, un cordiale e simpatico apprezzamento per le mie critiche.
Chi non sa che il sistema bancario sardo rappresenta un momento di rallentamento dello sviluppo e che una parte degli incentivi destinati alla produzione finiscono invece con essere loclupetati? Scusate questa parola antiqua, che tuttavia mi consente di esprimere meglio il mio concetto.
Pur partendo e muovendoci fra tante difficoltà, pur operando il governo della Regione in mezzo ad un terreno aspro e difficile, per merito della Giunta regionale, per merito degli imprenditori, degli operatori economici, per la forza morale, creativa, per la fantasia di tutti costoro, qualche passo avanti qualche scossone all’esistente si è dato, qualche indicazione d’inversione di tendenza è emerso.
Noi abbiamo assunto la responsabilità della Giunta nell’84 inoltrato. Abbiamo dovuto gestire non perché lo stiamo affermando, ma perché un riconoscimento unanime, una struttura amministrativa che si è invecchiata, che si è irrigidita, che dispone di meccanismi amministrativi non agili, non tempestivi, non dinamici che non consentono risposte in termini reali agli operatori economici. Abbiamo ereditato una legge per l’occupazione giovanile, la legislatura precedente, (dove noi non eravamo certamente maggioranza) non aveva potuto operare, non era riuscita a spendere una lira perché la legge era inapplicabile, perché era macchinosa, rugginosa, nata vecchia. Ebbene tutto questo nell’85 pian piano si è modificato, a cominciato a produrre i suoi frutti , e se è vero che l’85 registra ancora indici negativi nell’occupazione e nel reddito, è altresì vero che l’86 indica in termini molto precisi un’inversione di tendenza per cui la disoccupazione diminuisce e non per effetto solo dell’aumento dei posti di lavoro, ma per la diminuzione della domanda di lavoro sono due fattori positivi che s’incontrano.
Scendiamo dal 21,6 al 20,6 e i dati statistici che abbiamo sino a settembre del 1987 indicano una continuità in questa stessa direzione, continua a diminuire la disoccupazione di un punto netto. La Sardegna è l’unica regione del Mezzogiorno che possa esporre questo dato, in tutto il Mezzogiorno la disoccupazione (…)
i momenti; non c’è uscita dal mercato del lavoro da parte degli addetti che giustifichi tutto questo. C’è invece il concorrere di due fattori: minore domanda, evidentemente c’è un imprenditoria che risuscita e che non bussa alle porte degli uffici del lavoro, maggiore offerta di occupazione. Noi ci siamo anche chiesti da dove deriva tutto questo è abbiamo individuato nel terziario uno dei punti di forza; ma il terziario non è un fatto negativo, è un fatto positivo nel mondo, è un elemento che va crescendo nelle società più avanzate, dovunque è un 22% in più.
L’agricoltura non registra incrementi di occupazione, registra un 5%, mi pare, l’industria nell’occupazione. Non di meno l’agricoltura cresce, questo dimostra che è vero l’assunto che non sempre lo sviluppo economico comporta necessariamente l’ampliarsi della base occupativa. Per lo meno c’è una prima fase, in questo senso io credo che nel lungo periodo il crescere dello sviluppo in un determinato settore determina comunque aumento della base occupativa quanto meno per i reinvestimenti che i margini di utile nel settore crescita può consentire, e che il settore dell’agricoltura sia in crescita non lo dico io, Presidente della Giunta allegato a sospetto lo dice la Banca d’Italia, contro alcuni dati che sono stati esposti qui ieri in materia anche di operazione finanziaria delle banche nel settore del miglioramento non dell’assistenza, non della gestione nel settore quindi degli investimenti c’è un aumento del 29,2% quasi il 30% in più di erogazioni bancarie cui fanno riscontro ovviamente finanziamenti regionali, in più per gli investimenti . Anzi, un 29% in più in relazione al credito di esercizio. Sul credito di esercizio si va sul 12, in aumento, sul credito di miglioramento si va intorno al 30%.
E allora non ci si meravigli se l’export sardo aumenta del 29,6%, è un dato globale che certo incide in alcuni settori specifici ma è importante capire quali sono, perché in materia di vino noi nell’86 registriamo la vendita di 8.000.000 di pezzi, cioè di bottiglie, in più rispetto all’85, mentre il vino sfuso vende meno; questo che significa? Il vino sfuso lo vendevamo negli anni trascorsi, lo svendevamo perché doveva servire come vino da taglio per le produzioni di alto pregio francesi e di altre regioni, oggi lo stiamo vinificando noi.
Probabilmente è nel valore aggiunto che stiamo qualificando la nostra produzione, ma allora si spiega il fatto che siamo l’unica regione del Mezzogiorno ad esporre il più alto indice di prodotto interno lordo nel 1986, il 2,5 a livelli del Nord Italia, a livelli nazionali, mentre il Sud Italia espone 1,4.
Amici cari, questi sono dati, sono cifre, non sono chiacchiere, io gradirei essere smentito su questo punto.
Quest’anno il sistema produttivo sardo ha venduto 110 mila quintali di formaggio più dell’anno scorso, e non di pecorino romano, perché stiamo diversificando le produzioni, ormai il 50% delle produzioni industriali di formaggio non sono più di pecorino romano ma sono a rapido giro di capitale e la nostra agricoltura si va ammodernando, si vanno organizzando impianti di surgelazione per la conservazione a lungo termine del latte, per entrare nel mercato nel momento più opportuno e più favorevole e non nel momento della svendita. E allora si spiega il fatto che il prezzo del latte quest’anno ha potuto essere aumentato nonostante il diminuire del costo del dollaro. Si vende sui mercati internazionali, l dollaro si deprezza e il prezzo de latte aumenta, il che significa che la gestione dell’economia è un fatto positivo, confrontiamoci con le cifre non con i luoghi comuni.
Forse sarebbe stato meglio prima di parlare di grandi, residui passivi, che pure ci sono , vedere come la spesa pubblica regionale sta incrementandosi, come dagli 80 e poco più miliardi del 1983 in agricoltura si è passati agli oltre 700 mila miliardi, quasi 800 mila miliardi e di questi 500 mila miliardi della Regione sono andati agli investimenti e 500 dei privati, ecco il grande dato di cui vi prego di tenere conto, ciò significa che l’imprenditoria privata si sta raccogliendo nuovamente intorno alla Regione, si sta ricostituendo la fiducia, si guarda alla prospettiva con speranza, si investono i propri capitali, i propri risparmi.
La Sardegna è ridiventata un punto di forza per l’autonomia e noi vi chiediamo di guardare avanti raccogliendo tutte le energie perché lo ricordava ieri Selis, lo riconfermava oggi Mannoni, partiamo da posizioni estremamente fragili, da condizioni estremamente difficili.
Dobbiamo risalire una forte china perché ancora oggi i nostri dati sebbene le linee di inversione di tendenza abbiano un loro inequivoco significato, siamo ancora la Regione d’Italia e forse d’Europa a più alto indisse di disoccupazione, basta una stormir di fronda per respingerci indietro.
La nostra è una navigazione difficile, bisogna che tutti i rematori stringano veramente le mani intorno ai remi per remare tutti insieme, mai come oggi l’operare uniti in Sardegna è una comandamento prima ancora che politico, morale, mai come oggi la società sarda chiede unità d’impegno e di azione, chi perde questo appuntamento diserta la storia commette un errore che per quanto legittimato dalle considerazioni più corrette sul piano politico diventano però di fatto urna diserzione che sarà giudicata.
Certo che i provvedimenti sono vasti, complessi, sono numerosi, io non ripercorro tutte le puntuali indicazioni dell’Assessore, di tutte quelle argomentazioni che sono emerse nel valutare i diversi strumenti positivi, negativi, compreso il contratto di formazione professionale 770 mila contratti messi a disposizione di cui solo 7000 in Sardegna, 58.000 nel Mezzogiorno, 670 mila nel centro Nord. Questi provvedimenti che vanno benissimo per certe aree territoriali non sono applicabili in certe altre, la necessità dell’Autonomia si articola anche nei provvedimenti specifici, è inutile che il Governo ci dia i soldi per distribuirli fra le imprese se queste non ci sono, se le imprese sono solo al Nord e sono una finzione l’ eguaglianza di fronte alle opportunità.
Le politiche dello sviluppo debbono calarsi nelle realtà all’interno delle quali debbono promuovere iniziativa aggregare potenziali forze.
Noi oggi ci presentiamo al Consiglio regionale con un piano economico di medio termine sopportato da un bilancio pluriennale, lo abbiamo sottoposto con energia ma anche con molta umiltà alle forze sociali, lo abbiamo proposto con grande dignità, ma con grande apertura al Consiglio regionale e alle forze che ivi sono rappresentate, lo riproponiamo oggi in questa grande assemblea di popolo e chiediamo di essere giudicati per la sostanza dei tempi che proponiamo.
Lasciamo le disposizione giuridiche sulle quali per altro non abbiamo nessuna difficoltà a confrontarci, perché un emendamento a una legge nostra è sempre un fatto legittimo, quando la 33 noi, tutti gli anni scorsi, la emendavamo dicendo che non si presentava il programma pluriennale, che non si presentava il bilancio pluriennale, che presentavamo il bilancio annuale.
Quest’anno presentiamo il bilancio pluriennale diciamo con l’emendamento che non c’è bisogno di mandarlo al CIPE e questo è un fatto così sconvolgente, io credo che sia una conquista ed una vittoria e abbiamo molto apprezzato e siamo molto sensibili all’impegno col quale le forze sociali hanno accettato il confronto, hanno incalzato la Giunta con proposte, hanno arricchito con osservazioni critiche, talvolta severe, talvolta, perché no, secondo nostro giudizio ingiuste, ma sempre finalizzate ad ampliare l’orizzonte e a dare maggiore profondità alla prospettiva e concretezza al suo realizzarsi, abbiamo molto apprezzato tutto questo.
Sono certo che anche in sede di Consiglio regionale che è la sede più alta della democrazia sarda, che non può essere paralizzata per problemi di momento, di congiuntura, di maggioranza, di minoranza, che non può essere banalizzata, ma che deve esprimere i valori più alti, che si confrontano dinanzi alla opinione pubblica sarda ed italiana. Questa Regione che smette di lamentarsi e che propone e che ritrova in se stessa la capacità di programmare, di dare prospettiva e speranza ai giovani che nel momento in cui discute dei giovani, sente i giovani qui, critici, duri, severi, ma pieni a se stessi di speranza perché loro dialogano qui, sono venuti a darci il loro parere, sono venuti a darci le loro critiche, ma a dire anche che credono in un avvenire, che noi abbiamo il dovere di realizzare, non per loro, con loro dandogli gli strumenti.
Ecco l’agenzia di lavoro che è già un disegno di legge all’esame del Consiglio regionale, ecco l’osservatorio del lavoro che già un disegno di legge all’esame del Consiglio regionale, ecco le leggi di riforma della Regione, che sono tutte all’esame del Consiglio regionale, ecco, e con orgoglio dico la legge di zona franca, che si chiama zona franca perché questo era il nome tradizionale ma che a ben leggere è una legge di franchigia fiscale della quale beneficiano tutti, della quale beneficia tutto il Nord Italia, si chiama pure fiscalizzazione degli oneri sociali che sono miliardi a centinaia migliaia di miliardi, di cui tutto l’insieme dell’apparato industriale italiano per fare concorrenza e per restare competitivamente sui mercati beneficia, ma io vorrei che qualcuno, qualche ex sindacalista, ricordasse le proposte del sindacalismo italiano qui, nella sua Conferenza di Cagliari, quando la CGIL proponeva attraverso il suo esponente più qualificato Pizzinato, un sistema di esenzioni fiscali per alleggerire il peso della produzione nel Sud; non dobbiamo essere noi sardi a rinnegare questo beneficio.
Ho detto che non avrei polemizzato perché per polemizzare bisogna avere qualcuno di fronte, però all’opinione pubblica voglio dire questo: si trovi un solo finanziamento firmato da un rappresentante sardista per certe operazioni e poi si torni qui a discutere.
Vi ringrazio dell’attenzione e formulo i migliori auguri per tutti comprendendo che ho trascurato molte cose certo, partecipazioni statali, certo, tutta una serie di argomenti, confronto Regione-Stato, però queste cose il Presidente della Regione le ha realizzate nei fatti, dobbiamo soltanto dare esecuzione.