1. Premessa
1.1. Vivo apprezzamento per l’iniziativa che sottolinea i profondi legami che uniscono il mondo dell’emigrazione sarda ai problemi dell’Isola;
che si propone come significativo momento di aggregazione tra i circoli e le comunità di sardi presenti in Italia e all’estero (sono presenti anche delegati delle Leghe estere);
che mira a valorizzare in positivo il patrimonio di cultura, di professionalità, di esperienze di la voro e di vita acquisite dai nostri emigrati.
1. 2.. Un patrimonio che è nell’interesse stesso della Sardegna accrescere e non disperdere, ma soprattutto utilizzare al meglio, a tutto vantaggio di un effettivo arricchimento di conoscenze, di orientamenti ed anche di proposte tese ad individuare ed a rimuovere le cause profonde che ostacolano tuttora il pieno sviluppò dell’intera società isolana.
Un’esigenza particolarmente sentita dalle forze più vive della Sardegna, interne ed esterne ad essa, pronte ad impegnarsi sul terreno dell’analisi e dell’iniziativa politica, economica e sociale, per il suo sviluppo e la sua crescita civile; un’esigenza che anima ed informa anche i lavori di questo Convegno.
1.3. Un riconoscimento dell’impegno profuso e della capacità organizzativa dimostrati dai promotori, della sensibilità dei relatori e del vivo interesse dei partecipanti, che hanno contribuito a dar vita ad un dibattito tutt’altro che celebrativo; dibattito che ha messo in risalto, attraverso un riesame della storia recente, condotto sotto angolazioni diverse, i problemi nodali che emergono dal quadro delle attuali e difficili condizioni economiche e sociali della Sardegna.
2. La gravità della situazione di crisi e il suo duplice carattere di fondo
2.1. La crisi che incide pesantemente sulla Sardegna è senz’altro tra le più gravi (se non la più grave in assoluto) tra quelle sperimentate nel secondo dopoguerra. I dati sulla disoccupazione (143 mila disoccupati al giugno 1985, pari al 25% del totale delle forze di lavoro isolane), sul prodotto interno (che al 1984 risulta inferiore rispetto al livello raggiunto nel 1981), e sul reddito per abitante (pari a 3/4 del livello medio nazionale), ne mettono in luce gli aspetti più immediati e drammatici.
2.2. Una crisi che manifesta, in modo sempre più chiaro, il suo duplice carattere di fondo:
a – economico-sociale (quale crisi del sistema produttivo regionale e dei relativi assetti sociali);
b – istituzionale (quale crisi dei poteri d’autonomia regionale, in particolare del loro tratto costitutivo più caratteristico, cioè “la specialità” dello Statuto).
Le due crisi, per quanto originate da fattori diversi, in gran parte esterni alla stessa regione (essendo il portato di più vaste dinamiche internazionali e nazionali), interagiscono vicendevolmente, aggravando i nodi irrisolti del sottosviluppo regionale e rendendo altresì più difficili le strategie e le azioni di difesa dell’occupazione e di ripresa dello sviluppo.
2.3. Le contraddizioni più profonde in campo economico sono in larga misura conseguenti a processi di riassestamento dell’economia mondiale (nuovi e difficili assetti tra paesi industrializzati e paesi produttori di materie prime).
L’Italia, come peraltro l’Europa Occidentale, ha visto drasticamente ridursi i propri spazi commerciali in aree e settori rilevanti sui mercati internazionali, che ha determinato la parziale smobilitazione di importanti settori produttivi.
La Sardegna, che era stata investita da un processo di industrializzazione centrato in gran parte sulla chimica di base, è stata chiamata ai sacrifici più traumatici, attraverso un vero e proprio processo di blocco e di smantellamento di impianti appena realizzati, alcuni dei quali mai entrati in funzione nonostante fossero fra i più moderni d’Europa. Nei processi di riassetto della chimica italiana, la politica del Governo e delle Aziende a PP.SS. ed il ruolo svolto dall’apparato finanziario italiano (Medio-Banca) , hanno sostanzialmente penalizzato la Sardegna a tutto vantaggio della chimica privata (Montedison in particolare).
E tuttora persistono ulteriori tentativi striscianti di disimpegno soprattutto in settori nei quali in Sardegna operano i maggiori Enti di gestione delle imprese pubbliche. Da parte di tali Enti manca soprattutto qualsiasi programma volto ad esplicare quel ruolo di promozione dello sviluppo, che costituisce il loro principale compito istituzionale.
La crisi ha influito negativamente anche sugli altri più importanti settori dell’economia regionale. Il rallentamento registrato negli ultimi anni dall’espansione della capacità ricettiva in campo turistico (influenzata anch’essa dalla crisi italiana ed europea, nonché dalle strozzature dei collegamenti marittimi), si è ripercosso pesantemente sui livelli di attività e di occupazione dell’edilizia residenziale, soprattutto nei comuni e nelle aree costiere (seconde case).
Un settore questo in cui, a fronte dei ritmi di sviluppo e di crescita dell’occupazione sperimentati negli anni scorsi, attualmente si registra un cospicuo patrimonio di abitazioni invendute (stimato in 30 mila alloggi).
La conseguente situazione di forte indebitamento verso il sistema bancario, riguarda peraltro non solo quest’ampia fascia dell’imprenditoria edilizia. La maggior parte delle imprese locali di piccole e medie dimensioni, che costituiscono il tessuto prevalente dell’economia regionale, risulta infatti sottocapitalizzata ed esposta a gravi oneri finanziari e creditizi.
2.4. La crisi non si esaurisce però nei suoi, pur rilevanti, aspetti economici, ma investe, con effetti involutivi, l’intera organizzazione politico-amministrava della Regione
In quest’ambito si evidenzia un potere autonomistico sostanzialmente debole, incapace di reggere il duro confronto con i poteri esterni, da quelli politico-istituzionali degli organi centrali dello Stato, a quelli economici variamente fra loro collegati a diversi livelli, secondo logiche ed interessi che trovano definizione in sedi lontane ed esterne alla nostra Isola.
Occorre peraltro riconoscere che ad appesantire le dinamiche della società sarda, soprattutto in campo produttivo dove si rileva una tendenziale staticità imprenditiva ed organizzativa, ha indubbiamente contribuito anche il modello di organizzazione del potere autonomistico, strutturato secondo schemi ormai del tutto superati, mutuati dai vetusti apparati organizzativi dello Stato.
La Regione ha cessato di essere momento di guida, di propulsione e sostegno dello sviluppo, per diventare progressivamente un freno all’iniziativa e alle azioni poste in essere dagli operatori nei campi più diversi.
La crisi appare quindi un fenomeno, variamente articolato, suscettibile di connessioni derivanti in larga misura dall’esterno, ma che si esalta anche nei nostri ritardi, nell’incapacità di promuovere non dico il nuovo, ma anche il semplice adeguamento necessario a garantire la corretta gestione ordinaria.
3. Bilancio e prospettive dell’Autonomia
3.1. La consapevolezza della gravità della situazione in atto deve indurre pertanto ad un riesame critico globale sull’ “Autonomia” regionale.
A quarant’anni di distanza dalla fondazione dell’ordinamento repubblicano finalmente l’attenzione delle forze politiche e del Parlamento ha cominciato a rivolgersi verso le questioni istituzionali, con un’ottica di riforma e di adeguamento dell’impianto costituzionale nel suo complesso.
Gli stessi recenti risultati a cui è pervenuta l’indagine conoscitiva della Commissione bicamerale, presieduta dall’on. Cossutta, consentono di formulare valutazioni puntuali sulla situazione delle autonomie, così come è venuta configurandosi nel tempo, rispetto all’originario disegno costituzionale. Il bilancio in sintesi estrema – considerate l’ampiezza e la complessità della problematica – mette in luce in particolare:
a – l’intima contraddizione che caratterizza oggi lo Stato: un sistema di poteri orizzontalmente organizzati su base regionale inserito nella preesistente struttura rigidamente verticistica e centralizzata.
Deriva da ciò l’assurda antinomia fra Governo centrale e potere autonomistico (quasi che il primo rappresenti i valori dell’unità ed il secondo sia elemento destabilizzante e disgregatore);
b – il ruolo subalterno delle Regioni e la loro estraneità, di fatto, a forme di partecipazione e di concorso reale nell’esercizio dei poteri decisionali dello Stato su temi di maggior rilevanza;
c – i continui e sistematici attentati all’autonomia regionale, mediante:
– il surretizio ricorso a leggi ordinarie aventi solo il “nomen juris” della riforma economico-sociale, ma sostanzialmente indirizzate ad espropriare il potere autonomistico di reale capacità di governo;
– il ricorso alla creazione di numerosi ed importanti Enti settoriali, con compiti di intervento che disarticolano ed affievoliscono la capacità complessiva dei poteri regionali;
– la giurisprudenza della Corte Costituzionale, che si è rivelata, nei conflitti di competenze, sempre meno “giudice” e sempre più emanazione politica del potere centrale.
4. Per un nuovo modello di Autonomia regionale
4.1. Pur in presenza di così gravi incoerenze e limiti lo stato delle autonomie dimostra la sua vitale forza democratica costituendo punto di riferimento, sostegno e guida per le diverse realtà regionali nelle quali il Paese si realizza.
4.2. Questo non significa che l’obiettivo di una riforma dell’ordinamento statuale in senso regionale sia una meta di facile conseguimento.
Gli ostacoli e le resistenze da superare sono ancora notevoli e tali da richiedere un’ampia mobilitazione di tutte le forze politiche, delle parti sociali, dell’energie culturali, di tutto il popolo Sardo.
4.3. Per quanto riguarda la Sardegna è necessario:
– salvaguardare la specialità dell’ordinamento. La specialità regionale trova ancora la sua fondamentale giustificazione in un complesso di dati di carattere obiettivo ed inconfutabile espressi da una peculiare tradizione storica, giuridica, sociale e politica, nonché della sussistenza di presupposti di carattere materiale e territoriale.
– rafforzare i poteri autonomistici secondo i principi fondamentali della collaborazione (par condicio), del coordinamento e della solidarietà nazionale.
Questo modello di rapporti deve essere avviato a realizzazione con:
a . l’adozione di efficaci strumenti di raccordo fra i poteri centrali dello Stato (Parlamento-Governo) e quelli regionali, al fine di coinvolgere questi ultimi nel processo formativo della volontà legislativa e nelle grandi scelte in materia di programmazione e di ripartizione delle risorse;
b. il completamento dell’originario impianto statuario e del processo di trasferimento delle funzioni statali;
c. la riforma delle autonomie locali;
d. la ridefinizione di precise garanzie costituzionali per l’estensione della potestà legislativa in campo economico, finanziario e creditizio;
e. la nuova legge di attuazione dell’art. 13 dello Statuto, che deve essere legge di poteri e risorse.
La rinascita non è questione che riguardi la sola Sardegna: essa conserva la dimensione di un problema nazionale e continua a richiamare la necessità di invertire radicalmente la politica complessiva dello Stato, che ha finora costretto la Sardegna in una posizione marginale e subalterna.